giovedì 23 dicembre 2021

Cena di Natale

 





-Per favore, passami il vassoio con il lardo!

-Non esagerare, lo sai che ti fa male…

-Afllora pefrché lo comfphrate? Ugo risponde a bocca piena, s’ingozza che nemmeno i maiali.

Rita lo guarda male ma lo sa che sotto la rispostaccia sgarbata del marito c’è un fondo di verità. Anche se suo marito ha il colesterolo alle stelle, per questo cenone ha comprato, oltre al lardo, mezzo chilo di gorgonzola, un trancio di salmone, sei metri di salsiccia e insaccati come se stesse arrivando la fine del mondo. Inoltre ha preparato con le sue laboriose manine, una cheese cake ai frutti di bosco e farcito i panettoni di crema pasticcera e panna montata.

Se si andasse a giudizio, potrebbe configurarsi omicidio premeditato anzi carneficina di familiari con aggravante alla crema.

A proposito di familiari, Ugo non è il solo che si strafoga come un maiale, poco distante c’è suo cognato Nicola che addenta lo stinco arrosto, dopo aver finito tutte le patate. Tra i due non corre buon sangue e ci mancherebbe, con tutto il grasso che circola in quelle vene… In mezzo, tra Ugo e Nicola sta seduto il piccolo Ennio, otto anni, occhialuto e sagace bimbo della serie “so tutto io”, che al momento non mangia perché ha appena ricevuto un tablet in dono e non vuole ungerlo con le dita sporche. Si limita a lanciare occhiare a destra e a sinistra e a sorvegliare che nessuno gli sottragga le costine che ha nel piatto.

La tavolata è chiassosa e disordinata, come impone la tradizione, a capotavola c’è una matrona di novanta chili, nonna Mariangela, a sorvegliare che nessuno rimanga senza pietanza nel piatto. Da dieci minuti non fa che assillare Luana, la nipotina di diciassette anni, magra al limite dell’anoressia, che secondo cuore di nonna non sta bene anzi, nasconde qualcosa. Mariangela non fa che ripetere a suo figlio Alberto che la ragazza è malata e che la devono far visitare, che non è normale che sia così magra, che dovrebbe costringerla a mangiare di più. Luana, dal canto suo, quando è a pranzo dalla nonna, sembra fare apposta a non assaggiare che qualche briciola e stare sempre in chat al cellulare, con qualche sua amica, anche quando si sta seduti in tavola. Roberta guarda male la suocera Mariangela e sussurra dell’orecchio del marito: -Perché non le dici che Luana sta benissimo e che lei dovrebbe occuparsi dei fatti suoi? Ma siamo a Natale e Alberto non vuole rovinare la festa a nessuno, così non apre bocca.

Irina, la badante del nonno, mangia a tavola con il resto della famiglia perché ne è parte e perché il nonno l’ha già ingozzato, come fa di solito, con due omogeneizzati, gli ha cambiato il pannolone e l’ha ficcato a letto, ora è lì che sbrana una costina di maiale tenendola per gli spuntoni ossei e imbrattandosi la faccia di salsa barbecue.

–Signora, mi passa il sale, favorisca?

–Sei in Italia da otto anni e ancora devi imparare che si dice “per favore”? E’ il commento antipatico del piccolo Ennio, che non si prende neppure il fastidio di alzare gli occhi dallo schermo. Irina lo ignora ma si rivolge a nonna Mariangela che le ha sporto la saliera. –Per favore?

– Spasibo, nonna! Irina guarda male il ragazzino ma stavolta è lui a ignorarla.

- Troppo sale fa male, Irina… s’intromette Ugo. Rita gli da un calcio sotto il tavolo, conoscendo l’inspiegabile predilezione del marito per le donne dell’est. Lui diventa paonazzo e per poco non si soffoca col boccone.

-Abbiamo notizie dell’avventuriero? Il tono e l’epiteto usato fanno capire che Rita non desidera davvero avere notizie del cognato Luca. L’avventuriero, come lo chiamano ormai in famiglia, è Luca, trentaquattro anni, amante dei viaggi e alle prese con una nuova fidanzata. L’ennesima.

-Quando metterà la testa a posto, non sarà mai troppo presto. Sentenzia nonna Mariangela.

-Se n’è partito per l’Irlanda con quella sciacquetta dai capelli rossi, ma chi va in Irlanda a Natale… pontifica Rita che a quanto par di capire non gradisce né il paese né la ragazza.

Nessuno risponde. Mariangela ha fatto a fette due panettoni e tutti si sono lanciati come piranha sulla preda, perfino il piccolo Ennio, che per l’occasione ha riposto il suo tablet nella confezione.

Mariangela osserva tutti con possessiva benevolenza, tutti tranne Luana, che ha rifiutato la fetta di dolce e ha iniziato a sbucciare un mandarino che forse assaggerà tra mezz’ora.

Comanda a Irina, che non è mai fuori servizio, di prendere il “sacchetto” della frutta secca, un osceno involucro di due chili che Irina deposita a centro tavola.

Come ogni anno, dopo si giocherà a carte, tutti si perderanno nei propri cellulari a fare gli auguri a chiunque al mondo, ignorando i presenti, poi ci si scambieranno regali, costituiti da pigiami spaventosi, calzettoni agghiaccianti e centrotavola indecenti e ci si daranno frettolosi baci sulle guance, degno epilogo di chi non vede l’ora di lasciare la scena e rientrare al sicuro, nel proprio caldo appartamento.

Irina strizzerà in un soffocante abbraccio Ennio, sapendo che il ragazzino odia gli abbracci, Ugo e Nicola si stritoleranno la mano a vicenda, pronunciando un ruvido “buon Natale” e Luana si costringerà a ringraziare nonna Mariangela per la squisita cena.

Forse arriverà la videochiamata di Luca, dall’Irlanda ma non è detto, dipende dal campo.

Tutti dimenticheranno velocemente perché sono lì e cosa si stia mai festeggiando.

E inizierà il conto alla rovescia dei giorni mancanti al prossimo Natale…

Che per queste persone si limiterà a essere un dies natalis solis invicti qualunque.

 

 

 







sabato 18 dicembre 2021

Regali inaspettati

 





Il vecchio Arnaldo, detto Aldo, non ne combina mai una giusta.

Questo almeno a sentire lui. Non ne combino mai una buona, è solito annunciare quando si presenta alla gente. In paese è conosciuto e nessuno ci fa più caso e per dirla tutta, molto spesso l’affermazione corrisponde al vero. Anche e soprattutto durante il periodo natalizio.

Tutti ricordano quando ha regalato una bottiglia di "Maximum" Blanc de Blancs, al suo amico Renato, appena dimesso dall’ospedale, con una cirrosi epatica. Renato prese la bottiglia, ringraziando Aldo ma appena questo uscì da casa, versò l’intero litro e mezzo nel lavandino, non senza aver versato anche qualche lacrima.

Aldo lo venne a sapere e il suo commento, lo indovinate, fu il solito, non ne combino mai una buona… ma Aldo era un caparbio. L’anno dopo riuscì a regalare una penna Special Edition Rollerball Parker al cugino Renzo, dimenticando un piccolo particolare. Renzo aveva completato con fatica la quinta elementare e non scriveva una frase da quando aveva spedito l’ultima lettera dalla caserma, quarant’anni prima, alla mamma. Renzo riciclò subito il regalo, donandolo al nipote, che andava a scuola per diventare geometra e aveva ripetuto due volte la terza, ma almeno lui qualche diavoleria sul diario la scriveva.

Aldo ci tiene a fare bella figura e per lui il Natale è un periodo durante il quale non si deve badare a spese.

Qualche anno fa comprò un bellissimo paio di cuffie ROLAND RH-300V alla zia Anna, che non solo era diventata mezza sorda, ma aveva anche dato via lo stereo per poche lire, insomma la donna accettò il regalo e poi mise un annuncio in parrocchia per rivenderlo.

Sarebbe bello se tutto si limitasse a questo, ma la lista delle figuracce e dei regali imbarazzanti di Aldo è ancora lunga.

Un paio di guanti al vecchio amico Luigi, mutilato di guerra e con una mano sola.

Un libro intitolato “Le cento ricette per dolci e torte” al vicino Ernesto, affetto da grave diabete.

Un kit di creme anti-età alla nipote quindicenne della signora Franca, sua dirimpettaia.

Un sassofono all’ex alpino Angelo, un ottantenne obeso e con l’enfisema, che vive perennemente con l’affanno.

Un accendino zippo a Giorgio, noto in tutto il paese per le sue campagne antifumo.

Un pacchetto “Fuga romantica” tutto incluso a Mario una settimana dopo il suo divorzio dalla moglie.

State pur certi che se Arnaldo vi farà un regalo, sarà una vera tragedia.

Ma Aldo è un uomo buono.

Stasera l’ho visto passare nella grande piazza del paese, si teneva il colletto alzato, si capisce siamo sotto zero, ho visto che allungava qualche moneta al mendicante che si posiziona sempre sotto il portico della chiesa, per riparare dal gelo e per verificare se le persone che escono dalle funzioni sono davvero misericordiose. Aldo non è uno che frequenti ambienti sacri ma si è avvicinato all’uomo. Ho notato che aveva con sé una borsa capiente, ha tirato fuori una vecchia coperta di lana e l’ha sporta al barbone. Gli ha dovuto regalare anche un fazzoletto, perché quello si è messo a piangere come un bambino. Poi Aldo si è allontanato, e il mendicante è tornato a sedere al suo posto ma si vedeva che era felice.

Sono sicuro che Aldo starà comprando qualche genere di paccottiglia, costosa, imbarazzante e inservibile, da regalare agli sfortunati parenti ma per quest’anno almeno un regalo è riuscito ad azzeccarlo.

Una persona ha gradito il gesto inatteso.

Qualcuno ha ricevuto un bellissimo dono.

Ci vuole così poco, dopotutto.





domenica 5 dicembre 2021

Italian Pasta

 




 

Io sono un mediatore.

Ho lavorato con un’accozzaglia di strani individui in passato. Molti stravaganti, qualcuno violento, alcuni di un’ignoranza colossale, altri con scarsa istruzione scolastica ma con cervello molto fino, tutti senza dubbio pericolosi.

Ci sta, se consideriamo che sono un mediatore della mala.

Vedete, se un’organizzazione, diciamo, sopra ogni sospetto, un sindacato, una società immobiliare, una offshore, ha bisogno di “rimuovere” un ostacolo che rallenti o impedisca il rapido raggiungimento degli obiettivi, allora chiama un mediatore e lo paga bene, attendendo gli sviluppi.

Se l’ostacolo di cui sopra è una persona, poco male, il mediatore si rivolge a specialisti che sanno come togliere l’ostacolo.

Niente di personale, solo business.

Sono affari costosi e delicati, nessuno si sporca e quasi nessuno si fa male. A parte ovviamente l’ostacolo in persona.

Ho lavorato con innumerevoli professionisti, non ho problemi o pregiudizi o forse qualcuno sì. Ho gestito affari con gente di nome Whitzel, Vetthelheim, Wolberg e così via, ma non avevo mai lavorato con Vittori. Strano, perché qui nel Queens è pieno di Italiani, forse non come a “Broccolino”* ma questo è un altro discorso. Intendiamoci, non ho problemi con gli italiani, conosco un paio di “Luigi” dove si mangia molto bene, ma non mi disturba che se ne siano andati quasi in massa a sud di Newark o in Pennsylvania, appena accumulati un po’ di dollari.

Tornando a Vittori, mi sono informato. L’ultimo lavoro che ha svolto è stato grande. Deve essere un fottuto genio, tipo Da Vinci, tanto per intenderci.

Il committente non voleva pagare. Il motivo era che l’ostacolo da rimuovere, un certo John Dale, si era suicidato prima che Vittori si fosse mosso. Ovviamente non era così e alla fine hanno sborsato il loro mezzo milione.

Quel genio di Vittori ha architettato un piano degno di Machiavelli. Ha organizzato una serie di party sui terrazzi dell’isolato, musica, escort e coca di alta qualità, invitando tutto il quattordicesimo piano, sede di lavoro di John Dale. E’ riuscito a hackerare il sistema informatico della ditta di Dale, in modo da impedire all’uomo di partecipare, talvolta per incarichi che lo tenevano in ufficio fino a mezzanotte, un'altra perché bloccato in ascensore da un black out di tutto l’edificio. John Dale non vedeva l’ora di poter partecipare a una di quelle bellissime e costose feste e quando arrivò l’invito con un sms, non ebbe dubbi e una volta salito sul terrazzo, forse colpito da depressione, non avendo trovato nessuna festa ad attenderlo, si era suicidato (o forse era stato suicidato da qualcuno che lo aspettava nel buio), lanciandosi dal ventottesimo piano.

La bravura di Vittori è stata quella di disseminare di messaggi e post partite dalla mail e dai profili social di Dale, a contenuto tragico che lasciavano trapelare la sua velata depressione e la tendenza suicida.

Un fottuto genio.

Persino la sua famiglia ci ha creduto. Il N.Y.P.D. ha dovuto archiviare il caso e alla fine il committente ha pagato.

Ora, vedete, il mediatore ha la sua buona percentuale ed io, essendo stato messo in contatto per un lavoro grosso, un big business, non ho perso tempo, sapendo su che cavallo puntare.

Vittori fa al caso mio.

Non importa se è un mangia pasta, non importa se non si chiama Whitzel oppure Vetthelheim e nemmeno Wolberg!

Certo, lo avrei preferito ma se si tratta di un genio, va bene anche un Italiano.

Un fottuto genio.

 



*Brooklyn




martedì 30 novembre 2021

Le cose che si riparano

 





-Passami quella pallina verde. No, non quella, quella è blu. L’altra, sì, quella verde.

-Non è presto per fare l’albero?

Nella stanza vediamo due uomini. Uno, sui quaranta, è accovacciato ai piedi di un abete sintetico alto un metro e venti, di quelli economici, che si trovato nei supermercati. Si affanna da dieci minuti a rendere meno spogli i rami, con discutibile successo.

-Non direi, domani è il primo dicembre…

L’altro avrà un’ottantina d’anni, se ne sta seduto su un divanetto con in mano due sacchetti di decorazioni. Ha radi capelli bianchi che una volta devono essere stati chiari o rossi. Non sembra essere avvezzo a quelle elaborate preparazioni.

-Quando ero giovane, si usava fare il presepe, tutte statuette fatte a mano, di terracotta, qualcuna tenuta insieme con la colla. Quando ero giovane, non si buttava niente…

-Quando eri giovane le cose si riparavano, lo so, lo so.

-Poi si faceva il giro delle case dei parenti ed era tutta una gara a chi aveva costruito il presepe più bello e grande.

Il più giovane ha messo quasi tutte le palline e ora fa un giro attorno all’albero per osservare il risultato. Sembra soddisfatto. Fuori sta giungendo la sera.

-Di lato manca qualcosa, mi passi due o tre palline rosse, per favore?

L’uomo anziano rovista nel sacchetto, poi tira fuori tre palline e le porge all’altro.

-Ma queste sono viola, possibile che tu non riconosca il colore rosso? Eppure ricordi tutti i colori delle squadre di calcio…

-Fiorentina?

-Viola! Risponde con orgoglio il vecchio.

-Cesena?

-Bianco e nero!

-Pistoiese?

-Arancione! Quasi lo urla per affermare la propria preparazione calcistica.

Eppure le palline sono viola, quasi fucsia, e non rosse come aveva chiesto, ma vanno bene lo stesso, così il giovane le piazza sui rami mezzi spogli. Non importa come verrà l’albero di Natale, quello che conta è che l’altro sia lì a farlo con lui.

-Dammi il cavo delle lucine, per piacere. Ora te ne faccio una difficile: Milan?

L’uomo anziano ride e le risate si trasformano presto in un accesso di tosse.

-Nemmeno ti rispondo! Rosso e nero!

E’ un vecchio gioco, che facevano tanti anni prima, fin quando il quarantenne era un ragazzino e suo padre scambiava e confondeva i colori.

Ora che sono state piazzate le lucine, il giovane raccoglie la spina che penzola da un’estremità dell’albero, come una coda senza vita, e la infila nella presa di corrente. Il risultato è qualcosa di piacevole, nella penombra della stanza. All’improvviso si volta verso l’uomo anziano e gli chiede, serio:

-Perché sei qui?

-Volevo aiutarti a fare l’albero di Natale. Risponde l’uomo sul divano.

-Ma se non lo hai mai fatto, l’albero, e soprattutto non lo hai fatto con noi, era una cosa che non ti apparteneva…

 Potrebbe sembrare un rimprovero ma non lo è, il giovane lo dice senza rancore, solo come un elemento di cronaca. Una cosa che così è stata e non si può cambiare.

-Lo so, risponde il vecchio, ma non per questo ora non mi fa piacere passare un po’ di tempo con te!

Un po’ di tempo con me, pensa il giovane e una fitta di nostalgia gli attraversa il corpo facendo un male cane. Lo sa che di tempo assieme ne hanno passato molto e ci sono stati momenti importanti, ben impressi nella sua memoria, anche se gli sarebbe piaciuto averne molti di più.

-Certo che voi aggiustavate tutto, non è così?

-Mica tutto, solo le cose che si potevano riparare. Perché hai qualcosa di rotto?

-No, no, tranquillo. E’ tutto a posto.

Mica può dire all’uomo anziano, che se ne sta seduto sul divano a guardare fuori dalla finestra, che è il suo cuore quello a essere rotto ma che nessuno lo può riparare?

Il giovane sorride. E’ contento di avere avuto un po’ di quel tempo per parlare, per ricordare. L’albero di Natale sembra finito ed è ora di accendere la luce perché fuori il crepuscolo ha lasciato il posto alla sera. Si alza con le ginocchia che scricchiolano. Accende la luce.

L’albero è carino, piacerà ai bambini.

Osserva la stanza silenziosa, il divano vuoto, stacca la spina dalla presa di corrente prima di uscire.

Con l’albero spento la stanza sembra più triste.

Il giovane esce da casa, pensando alle cose che una volta venivano riparate.

E mentre esce, sorride di nuovo.

Perché è così che si riparano le cose.





venerdì 19 novembre 2021

Le cose perdute

 






A volte Francesco pensa che le cose perdute non ci lascino per sempre.

Che facciano uno strano e contorto percorso, per poi rientrare nelle nostre vite.

Secondo lui anche gli oggetti hanno un’anima che si lega alla nostra e che le cose che per noi hanno un valore affettivo, sentano questo legame e in qualche maniera non possano tradirlo.

Francesco considera anche: lo credo che tutti mi prendono per lo “strano” della compagnia, con i pensieri che mi vengono in mente…

Ma questo, come molti altri concetti, scompare veloce.

E’ stato inevitabile, stamattina, pensare alle cose che si credono perdute e che ritornano.

Francesco adora girare tra la merce dei mercatini, frugare fra oggetti di dubbio gusto o dal presunto funzionamento, non prive di un certo fascino. Ama la musica e gli piace, ogni tanto, acquistare un trentatré giri in vinile, ed è questo che ha fatto oggi. Rock anni sessanta, roba buona, per intenditori, Bill Haley & the Comets, Buddy Holly, i Platters, Chuck Berry e i Beach Boys, Fats Domino, tutti nello stesso disco, imperdibile!  Francesco non vede l’ora di arrivare a casa e mettere il disco sul piatto, sperando che la puntina non salti troppe volte. Purtroppo i dischi usati hanno questo inconveniente e i primi due brani sono quasi inascoltabili, poi l’attenzione di Francesco è attratta da qualcosa che vede nella copertina del disco. Quello che subito è scambiato per un plico di fogli, magari contenenti i testi delle canzoni, si rivela essere un fascio di buste. Francesco è incredulo, gira la copertina e sul tavolo del salotto piovono cinque buste postali, con il francobollo della Repubblica Italiana da centocinquanta lire. Destinatario e mittente sono scritti a penna con una grafia sottile e regolare. A scrivere è una certa Catia di Savona e il destinatario, scritto in stampatello forse per evitare errori postali, è Gualtiero di Milano.

Francesco è incuriosito dal ritrovamento, le buste sono aperte, di certo lette da Gualtiero e conservate, chissà perché, dentro una copertina di un disco. Francesco si lancia sulla prima e tira fuori un foglio di carta sottile, pieno di fitte parole, intervallate da cuoricini. Senza dubbio sono lettere d’amore, provenienti da un tempo in cui, non esistendo cellulari e tantomeno chat su internet, si poteva comunicare solo in differita, aspettando magari per giorni e giorni la risposta dalla persona amata. Francesco ha un tremito dettato dall’imbarazzo, continuare e leggere quelle righe così intime lo disturba, avverte come un senso di pudore, non vorrebbe intromettersi nelle vite di due estranei, anche se sono passati quasi cinquant’anni. Il disco è stato pubblicato nel millenovecento settantatré e le lettere portano la data del settantacinque. La curiosità è troppo forte, Francesco si dice che quelle persone potrebbero anche essere morte e sepolte, in ogni caso lui non ha idea di chi possano essere, e ritiene di non poter arrecare loro alcun danno, così comincia a leggere la prima.

Sono effettivamente delle semplici dichiarazioni di amore, quasi puerili, di una ragazza che aspetta di rivedere il suo amato nei fine settimana. Parlano di buoni sentimenti, di mancanza, di lacrime di gioia e di regali e di treni che avvicinano. Chiedono quando potersi riabbracciare e di avere una foto per i momenti di solitudine. Francesco è commosso e ammira la delicatezza e la nitidezza dei sentimenti espressi dalla giovane donna, ma non sa cosa pensare di lui.

Gli piacerebbe poter credere che la storia d’amore tra i due si potesse essere conclusa bene, riconosce di essere un inguaribile romantico ma quale uomo perde le lettere d’amore della propria fidanzata?

Questo Gualtiero era solo un ragazzo distratto, tradito magari da un trasloco in cui si perde qualunque cosa? Oppure aveva nascosto le lettere nella copertina di un disco per celarle ai genitori? Forse aveva un padre dispotico che non accettava una ragazzina dalle umili origini per il proprio rampollo? Oppure, peggio ancora, Gualtiero le ha nascoste perché già fidanzato nella sua città, o addirittura sposato? Francesco, senza capire perché, comincia a detestare Gualtiero. Ma d’improvviso ha un sussulto e fantastica uno scenario più drammatico, forse quell’amore è stato troncato da un incidente oppure Gualtiero è stato falciato da una malattia giovanile, costringendo, dopo decenni, gli anziani genitori a sbarazzarsi dei dischi, regalandoli a qualche mercatino…

In tutti i casi quelle lettere meritavano un’attenzione maggiore, un maggior rispetto.

Ed è con rispetto che Francesco le vuole trattare.

A distanza di quasi mezzo secolo quelle lettere dense di sentimento vivo e reale, meritano di non essere dimenticate.

Francesco sa che oggi le possibilità per rintracciare una persona ci sono, viviamo un’epoca in cui i mezzi informatici e l’utilizzo delle piattaforme social lasciano ben poco spazio alla privacy.

L’unica remora, la questione che lo attanaglia è una, non vorrebbe mai fare del male a qualcuno e il pensiero che quelle lettere possano suscitare tristezza o dolore, lo frena.

Si propone di dormirci su, domani penserà a cosa fare.

Nel frattempo, deposita con cura le lettere riposte nelle proprie buste, in una scatola di metallo e mette la scatola sul ripiano dei ricordi.

Domani saprà cosa fare.

Se il destino lo vorrà, come tutte le cose che rientrano nelle nostre vite, anche quelle lettere, dopo tanti anni torneranno da chi le ha scritte.

O forse da chi le ha perdute.

Francesco si addormenta con un sorriso, pensando a quell’amore di tanti anni prima, in cui si è imbattuto, per caso, quel mattino.

E alle cose perdute, che non ci lasciano per sempre.

 

 




sabato 6 novembre 2021

Lo scemo del villaggio: Hemingway

 





Al bar del villaggio, anzi scusate, del paese, si sono seduti, nel corso degli anni, innumerevoli scemi.

Me compreso. Ma non siamo qui per parlare dei presenti.

L’altra domenica mi è capitato di fermarmi per un aperitivo, sapete come vanno quelle domeniche, verso le dodici, che non avete voglia di tornare a casa e il timido sole autunnale vi promette un po’ di tepore e v’invita a sedere ai tavolini in piazza. Decido di accettare l’invito e mi accomodo, quando dalle mie spalle arriva un saluto. Riconosco Hemingway dalla voce, accidenti, non mi ero accorto di lui ma ormai è troppo tardi.

-Gigio, tuona con voce tenorile, porta uno Spritz per il mio amico!

In realtà non siamo così amici, forse non ricorda neppure il mio nome ma quando c’è da accettare un giro al bar, non faccio troppo lo schizzinoso.

Mi siedo e aspetto Gigio il barista, che arriva con le solite pizzette stantie e col suo ghigno malefico di chi ti sta dicendo: Ti sei fatto beccare come un allocco, vero?

Afferro il calice senza dare soddisfazione a Gigio, trangugio il primo sorso, mormorando un laconico: Prosit.

Hemingway solleva il suo di calice, non credo per niente che sia il primo, e risponde con gli occhi. Poi si scola il liquido colorato in un unico lungo sorso, che nemmeno fossimo nel Sahara!

Lascio che beva, intanto saluto don Lurio, il nostro parroco ballerino, che passando ci benedice con un gesto elegante della mano, fa un volteggio e se ne va. Per poco non è investito da Forchetta, il diabolico ragazzino aggiusta tutto, che sfreccia ai settanta all’ora sul suo monopattino home-made, modificato… Hemingway tira fuori il taccuino e annota qualcosa. Sapete, oltre a bere tutto il giorno lui scrive, non nel senso che pubblica libri, scrive solo, di tutto, su qualunque supporto gli capiti. Negli anni settanta ha pubblicato un paio di poesie su una rivista del settore e da allora si atteggia a poeta maledetto. Per meglio calarsi nella parte si è annegato di whiskey doppio malto invecchiati sedici anni e altri liquori ameni come Calvados e Gin, Rum e Tequila.

Poi il suo medico gli ha imposto di produrre più versi e inghiottire meno distillati, pena una dieta perenne. Così Hemingway si limita a qualche Spritz la domenica e al tè freddo le altre sere…

Ma non gli manca mai un maglione dolcevita, che fa tanto artista, una matita da masticare e un blocco per appunti.

Che cosa scriva nessuno lo sa.

Forse un giorno si deciderà a pubblicare qualcosa e potremo leggere.

Fino ad allora lasciamogli fare il personaggio.

Qui da noi, lo scemo del villaggio può farlo anche un letterato…

 







venerdì 22 ottobre 2021

Ipoacusia

 





“Non credere a tutto ciò che dice la gente!”

Angela guarda verso la sua amica Daniela, le fa un cenno da lontano ma pensa di non aver capito quello che l’altra le vuole dire.

Non devo credere a Bice, la mia parente?

Che cosa intendeva? L’unica cosa da fare è andare dalla cugina Bice e chiedere di più. Bice è una chiacchierona e la confonde con disparati argomenti, ultimo dei quali la salute, propria e altrui. “Anche Aldo è a letto con l’influenza, pare l’abbia presa…” Angela se ne va salutando e intanto medita sulla questione.

Aldo è andato a letto con Enza ed è stata un’impresa?

Incredibile, Enza si è appena fidanzata con Sergio, si sposeranno alla fine dell’anno, ma che combinazione, sta arrivando Sergio, cosa fare? Angela lo saluta con imbarazzo… Sergio la abbraccia e le racconta del fidanzamento. “Sono così felice che mi sembra di volteggiare, Enza ed io ci completiamo”. Angela corre via sconvolta mentre Sergio la osserva stupefatto. Angela non avrebbe mai voluto sentire quelle parole da Sergio.

Sto con Bice per pareggiare, con Enza vomitiamo.

Oddio, perché Bice farebbe quest’affronto a suo marito Lucio e a Enza, andando a letto con Sergio e tradendo tutti? Angela è inorridita ma non sa cosa fare. Forse dovrebbe parlare con Lucio, dunque si dirige al bar dove l’uomo lavora.  Angela saluta Lucio, che da dietro al bancone traffica con la macchina del caffè. “Ciao Angela, lo gradisci un espresso?” Angela si arrende e deve ammettere.

Sì, lo so cosa è successo…

Lucio la guarda interrogativo, poi decide di far finta di nulla, “Hai visto Bice presto, stamattina. Cosa ti ha raccontato?” Angela sbotta: “Come ti permetti?” Esce sbattendo la porta, nessuno le aveva mai rivolto la parola in quel modo…

Cosa ti dice la testa stamattina, hai svalvolato…

Ma come si permette, ci credo che la moglie gli mette le corna con Sergio che a sua volta è tradito da Enza, con la complicità di Aldo! Che gente, che depravazione, che manicomio, Angela è sconvolta, ma come fa Daniela a sapere sempre tutto di tutti? L’unica cosa da fare è interrogare Daniela ma dopo tre telefonate senza risposta pensa di arrendersi. Daniela la richiama mentre lei è sull’autobus di linea. “Sento male, la linea è disturbata…”

Io starei male, sarei disturbata?

Ma cosa prende a Daniela, non mi aveva mai parlato così… “Magari ti sento più tardi, così mi racconti un po’ di cose…”. 

Dimostro evidenti ritardi… forse mi sono fatta una dose?

Basta, non sopportando di essere insultata ulteriormente, Angela chiude la comunicazione. Il telefono squilla ma lei veloce blocca il numero, cancellando mentalmente Daniela dalla lista delle sue amicizie. Trema e piange, un uomo si accorge del suo stato e le offre il posto. “Vorrebbe sedere al mio posto?” le dice gentile ma lei capisce:

Ha un bel sedere, l’ho visto!

Si allontana veloce dal maniaco di turno scendendo alla prima fermata. Ma cosa succede a tutti, oggi? Pensa afflitta e amareggiata, Daniela la attacca, Lucio, il marito di Bice la insulta, tutti tradiscono tutti e gli sconosciuti, sui mezzi, la molestano… Non è giornata, Angela decide che ne ha abbastanza, non vuole più sentir parlare di tutti quei matti, Daniela, Bice, Aldo, Enza, Sergio, Lucio, gli sconosciuti sull’autobus…

Che andassero tutti al diavolo, nessuno merita la sua amicizia. Sarebbe stata meglio senza quelle persone nella propria vita, era tempo di fare pulizie! Era per colpa loro se ora vagava per vie sconosciute, in una zona della città dove non era mai stata. Si trovò così davanti a un negozio di dispositivi e rimedi contro l’ipoacusia. Ecco cosa cercava da qualche tempo. Decise di cominciare la sua nuova vita, provando un apparecchio nuovo per l’udito.

E si sarebbe fatta nuovi amici.

Così, felice delle sue decisioni, Angela entra nel negozio.

 

 






lunedì 11 ottobre 2021

Lo scemo del villaggio: orso Bruno!

 




Nel nostro paese non manca mai lo scemo del villaggio. Anche più di uno.

A volte si danno il cambio, altre lo fanno in contemporanea.

Lo scemo del villaggio è qualcuno che non ha niente di meglio da fare che andarsene a zonzo tutto il santo giorno, gettare briciole ai piccioni, pezzetti di pane ai pesci del torrente, occhiate alle studentesse di passaggio che lo ripagano con la loro giovane, arrogante bellezza.

Lo scemo del villaggio, al momento è il Bepi, attacca bottone con i passanti, commenta il clima con colossali luoghi comuni, fa cenni ai baristi, sorride di un’allegria rinforzata al Tavernello e non manca mai di salutare. Anche se non vi conosce.

Perché il Bepi sarà anche un po' scemo, ma non è maleducato.

A differenza di Bruno.

Bruno è un paesano sulla sessantina. Mai visto uno più scorbutico, mai incontrato nessun altro così scostante. E’ troppo scontroso anche per essere candidato a scemo del villaggio del mese.

Un vero orso. In paese, infatti, tutti lo chiamano l'orso Bruno.

Appropriato anche se un poco cattivo.

Ma Bruno si merita l'appellativo come nessun altro.

Cammina molto e incontra molta gente ma ci fosse una volta che salutasse. Eppure qui ci conosciamo tutti. Bruno passa e, semplicemente, tira dritto, fa finta di non vedervi, avanza come un caterpillar. Dà la sensazione che, se non siete voi a scansarvi, potrebbe travolgervi con la sua enorme mole da orso, e calpestarvi senza nemmeno accorgersene.

Insomma, in poco tempo Bruno è diventata la persona più detestata del paese.

Finché un giorno non capitò l’incidente.

Lo scemo designato del mese, il Bepi era lì a perdere tempo, leggendo con interesse un manifesto comunale su cui vi era stampato un bando scaduto da due anni, quando vide arrivare l’orso Bruno.

Da scemo beneducato si apprestò a salutare e ben presto il suo agitare di mani si tramutò da saluto ad avvertimento di pericolo. Fu inutile: Bruno andò a picchiare la sua enorme facciona contro il palo del divieto di sosta. Bepi era l’unico che avrebbe fatto qualcosa per aiutare chiunque, compreso l’orso Bruno e, infatti, lo aiutò. Gli procurò dei tovagliolini di carta, rubati sui tavolini del bar della piazza, per arrestare l’emorragia e per pulire quello scempio. Poi aiutò Bruno a rimettersi in piedi e si offrì di accompagnare l’uomo.

Bepi prese Bruno per un gomito e lo portò nel posto che secondo lui sarebbe stato più utile a quello scontroso. Era un negozio.

Bruno provò a protestare ma non ci fu verso, Bepi insistette così tanto che non ci fu scelta.

Il negozio era un ottico.

Bruno uscì da lì con un paio di occhialini tondi, che facevano molto John Lennon ma col naso gonfio sembrava più Rocky suonato…

Il paese diventò nuovo, il mondo di Bruno cambiò. Vide la signora Pagani e la salutò con la mano, poi incrociò don Lurio, il prete del paese e lo apostrofò con un improprio “eccellenza”, poi si accorse che dall’altra parte della strada c’era il maresciallo Winchester con la moglie e li salutò alzando un copricapo immaginario. Subito dopo urlò un “ciao, Forchetta” a un ragazzino che stava passando sul motorino sgangherato.

Tutti ma proprio tutti guardarono a lungo Bruno, come si guarda uno che si stenta a riconoscere.

L’unico che non era stupito fu il Bepi che, nonostante l’incarico di scemo del villaggio, aveva capito che Bruno non era misantropo, asociale o solitario, era semplicemente miope.

Dal canto suo Bruno smise di vedere tutti i volti come degli ovali rosacei con segni disordinati che avrebbero potuto essere nasi come sopracciglia, ma riconobbe le facce dei paesani che finalmente non mancarono di offrire un sorriso all’ex orso del villaggio.

E naturalmente a quel simpaticone del Bepi…








domenica 3 ottobre 2021

Testa o Croce

 





Caterina Ballestreri è una giovane donna. A ventisette anni non sei più una ragazza ma a volte manca ancora qualcosa per essere una donna fatta. A Caterina non manca niente per la verità, lo vedi dalla luce che ha negli occhi, dall’intensità con cui affronta le giornate. Abita al terzo piano, è taciturna ma non manca mai di salutare quando la incroci per le scale e neppure di tenere il portoncino aperto quando passa la Ivaldi, col suo deambulatore. Caterina è una giovane per bene, quando è venuta ad abitare nel nostro stabile, le donne della scala hanno storto il naso ma lei non ha mai dato motivo di lamentele, non organizza feste, non ascolta musica a tutto volume. “Una giovane che vive sola, attirerà uomini di tutti i tipi e porterà guai nel palazzo!” Ha sentenziato la moglie del portiere ma Caterina, un giorno dopo l’altro, con la sua condotta l’ha smentita. Non per questo qualcuno ha smesso di osservarla con sospetto, quando passa. Abita qui da poco più di un anno e nessuno sa cosa faccia per vivere, si è sparsa la voce che abbia smesso di studiare, abbandonando l’università e gli esami, e questo ha fatto storcere altri nasi, come se la cosa riguardasse l’intero condominio. Negli ultimi mesi ha spesso fatto da babysitter a Franceschina, la bimba di quattro anni, figlia dei Rossi che stanno all’ultimo piano. La nonna si è ammalata e quando la bimba non va alla scuola materna per qualche motivo, Caterina sale in casa Rossi con un libro di favole e sorveglia la piccina. I Rossi sono gli unici ad avere avuto dei rapporti con la giovane, da quando vive qui. Hanno raccontato un giorno, di avere saputo che Caterina passa tre mattine alla settimana al centro per anziani, giù nel quartiere, a fare volontariato. Spesso si occupa anche di distribuire generi alimentari alle famiglie in difficoltà e la moglie del portiere, non fidandosi, è andata a fare un giro, raccontando di averla vista mentre distribuiva borse con pasta e biscotti e farina e latte, e sorrisi a quanti si presentavano per ricevere quei beni. Ha anche aggiunto che lei lo aveva sempre detto che quella ragazza, anzi quella giovane, oltre a essere molto bella, aveva qualcosa di speciale, un’aura di santità.

Caterina è veramente bella e sorride spesso ma non si lascia andare in chiacchiere e pur essendo molto gentile non ha mai raccontato a nessuno del suo attivismo nel mondo del volontariato.

Dopotutto è così che si dovrebbe fare, non è che uno fa del bene agli altri per poi vantarsene o dirlo pubblicamente, no?

Una sera sono rientrato molto tardi, avevo terminato una riunione di lavoro straordinaria e tornando si era forata una gomma, per di più non si trovava un parcheggio, così ero stato costretto a girare a vuoto per venti lunghi minuti e alla fine avevo lasciato l’auto a un chilometro da casa. Era davvero tardi e rientrando a piedi avevo incrociato una donna piegata in avanti a rovistare nel vano motore di un’utilitaria. La donna aveva tacchi altissimi e calze a rete con la riga, su due gambe lunghissime, una gonnellina di pelle corta e attillata che fasciava i fianchi stretti. Insomma l’abbigliamento non lasciava equivoci sull’attività praticata dalla signorina. Alla mia età non sono certo il tipo da perdere tempo a fissare le gambe di una squillo ma la donna sembrava avere problemi con la macchina e mi dispiaceva non poterla aiutare. Lei si accorse del mio indugiare e si sollevò dall’auto chiedendo se ne capissi di motori. Io risposi che non ci capivo niente, tutto quello che potevo fare, era darle un passaggio fino a dove fosse diretta. Era buio, la donna era truccata pesantemente ma si capiva che era giovane, poi lei si portò le mani alla bocca e cercò di ritrarsi. “C’è qualche problema…” stavo per continuare quando restai in silenzio. Con un attimo di ritardo rispetto alla donna, anch’io l’avevo riconosciuta. Lei cercò di scusarsi, di voltarsi ma riuscii a chiamarla. “Caterina…”

 

Si voltò e mi chiese di dimenticare di averla vista, m’implorò di non farle perdere l’appartamento che aveva trovato, che non avrebbe saputo dove andare.

Nemmeno per un secondo mi era passato per la mente di comportarmi con una tale bassezza, chi ero io per esprimere giudizi o per condannare la vita di quella ragazza. “Come posso aiutarla, Caterina?” Fu l’unica cosa che riuscii a pronunciare, vincendo l’imbarazzo di entrambi. “Potrebbe darmi un passaggio?” Lei era paralizzata e impacciata, la accompagnai fino alla mia auto, vedevo le facce dei passanti osservarci, chi con sdegno, chi con un sogghigno, un anziano signore che si accompagnava a una giovanissima donna di facili costumi. Feci finta di niente e così lei. La feci salire in auto sotto gli occhi di una coppia matura che si era girata a guardarci mormorando oscenità. Mi diede un indirizzo nel centro città e la portai. Arrivati al portone, pronunciò delle scuse frettolose e si fermò un secondo a guardarmi con gratitudine. Poi scese e scomparve dentro allo stabile.

Tornai a casa.

Pensai molto all’episodio ma dentro di me non avevo mai avuto dubbi.

Per me lei era la stessa Caterina di sempre, la giovane donna con lo sguardo fermo e deciso, la ragazza silenziosa che a volte faceva la babysitter a una bambina di quattro anni e che passava tre mattine la settimana, come volontaria in un centro per anziani.

Qualcuno potrebbe obiettare che rimane pur sempre una donnaccia, una peccatrice, lo so.

Ma quando studiamo una moneta, forse ci fermiamo a osservare solo una faccia? La valutiamo solo per la testa che ha inciso o per la sua croce?

Mi dico che solo l’intera moneta rappresenta il suo valore. Che non esistono persone completamente buone o totalmente negative.

Poi quello che fa per vivere quella donna, non è cosa che competa ai condomini e finché questa cosa dipende da me, non sapranno niente.

E’ passato qualche tempo da quella sera.

Incontro Caterina per le scale o all’ingresso di queste e lei mi saluta con gentilezza, cedendo il passo e abbassando gli occhi.

Di questo abbiamo bisogno nel palazzo.

Di persone gentili.

Poi vado al lavoro, sereno.

 




domenica 19 settembre 2021

Sogno o son desto?

 





Sogno o son mesto?

 

Come mi piacerebbe fantasticare di stare sognando. Immaginare di dormire e vivere un incubo che cesserà appena aperti gli occhi. Ma so che non è così. Sono sveglio. E sono circondato da esseri che non credono alle evidenze. Non solo. Nemmeno accettano che ci sia una moltitudine che, a differenza loro, alle evidenze sa di poter credere e, contro quella moltitudine, reagiscono con violenza ottenendo solo un muro contro muro.

Come vorrei essere addormentato, invece sono sveglio e questo mi precipita nella mestizia.

 

Sogno o son lesto? 

 

Ogni mattina ti svegli e sai che devi correre, e questo ormai è noto non solo in Africa. Perché c'è sempre qualcuno già sveglio che con opportunismo sta lavorando per avere vantaggi e benefici, ben consapevole che il prezzo da pagare lo lascerà a te. Meglio essere lesti e reattivi se non vogliamo accontentarci delle briciole.

 

Sogno o son pesto?

 

Ma quando non si è abbastanza rapidi con cervello e parole, si rischia di battere i denti, di prendere tante di quelle bastonate, non sempre metaforiche, che davvero sarebbe meglio non uscire dal letto la mattina. E nonostante tutto, pur essendo un tipo mattiniero, resto umano e le bastonate le prendo ugualmente, così mi ritrovo certe sere livido e pesto.

 

Sogno o son questo? 

 

Saremo fatti della sostanza dei sogni, come scriveva il drammaturgo inglese, ma siamo anche di carne e sangue. I lividi fanno male e anche certe persone. Sarà che mi perdo in mondi fantastici, sarà che mi piace sognare ma quando sono sveglio, reagisco alla mestizia, sono veloce quanto basta e all'occorrenza so piazzare un colpo efficace. So fare male, non ho imparato da un tutorial ma dalla vita, che toglie e dà in un continuo turbinio privo di logica o giustizia.

 

 E quando non sogno, resto vigile e lavoro duramente per mantenere tutto in equilibrio.

Questo sono.

 

Con amore.