Una volta ho letto da
qualche parte che ogni barca, su acque tranquille, ha un buon capitano.
Non ricordo chi l’ha
detto o scritto ma è chiaro cosa intendesse.
Navigo sulla mia barca
da tanti, forse troppi anni e di posti ne abbiamo visitati.
Porti tranquilli, con
lavoro da sbrigare, carico e scarico, manutenzione e altre normali attività. La
sera una bevuta di vino scadente nella taverna più vicina e via, senza
ricordare cosa si è fatto, cosa si è visto.
Luoghi più bizzarri e
affascinanti, dai profumi forti e i colori accesi, posti con uccelli dalle
piume variopinte e predatori letali, posti che ammaliano. Qualcuno ci si è
perso, inghiottito nei vicoli chiassosi tra giocatori di carte o tra le braccia
di qualche avvenente ragazza dagli occhi verdi.
Posti pericolosi, in
cui appena messo piede sulla terraferma, sai che sta per succedere qualcosa di
brutto. Posti dove è meglio non camminare soli, in cui nelle locande avete
tutti gli occhi addosso e il taverniere è perennemente impegnato a lucidare la
lama del suo coltellaccio, posti su cui è meglio non indagare, non addentrarsi,
dove è più prudente passare la notte sulla branda della barca o nella stiva,
posti in cui non ci si addormenta facilmente e il consumo di alcool è
indispensabile al sonno.
Ho viaggiato tanto su
questa vecchia imbarcazione e qualche volta non ce la siamo vista bene.
Giornate fiacche, senza vento e notti in cui scendeva una nebbia spessa e le
onde nere sembravano muri di una fortezza. Notti in cui ci sembrava di tornare
in dietro al punto di partenza e di navigare in tondo.
Ho fatto viaggi che
sembravano non finire mai, con la sensazione di perdere continuamente la rotta
e di avere tutte le bussole fuori uso. Viaggi in cui il capitano era ubriaco
quasi tutti i giorni e quando non lo era se ne stava rintanato in cabina a
smaltire i postumi. Viaggi che abbiamo portato a termine solo grazie all’esperienza
di uomini di mare, alla forza di volontà di qualcuno e, perché no, anche grazie
alla disperazione.
Non è facile vivere su
una nave, vi assicuro, non per la nausea che il mare grosso vi ficca nelle
viscere col suo muoversi su e giù, a quella ci si può abituare, non perché avete
visto il mozzo finire in acqua per un’onda improvvisa e sparire per sempre in
quel nero gelido, dopo un po’ ci si abitua anche ai funerali, non è mai facile
ma sapere che si è governati da qualcuno che è sempre ubriaco, a volte
corrotto, spesso fuori controllo, questo è peggio.
Fa paura lasciare un
porto sicuro e dirigere la prua in mare aperto, non sapendo cosa ci sarà ad
aspettarci nella notte.
Si è costretti a
fidarsi, perché non c’è scelta, fidarsi degli altri marinai, dell’onestà di
qualcuno, della scaltrezza di altri, dell’esperienza di tutti, perché è quella
che vi salverà.
Una notte, eravamo
stati svegliati dalla campana della vedetta, all’arrivo di una bufera e in meno
di cinque minuti la barca era stata presa a schiaffi da un mare arrabbiato e
cattivo che avrebbe voluto rovesciare quel vecchio guscio e spingerlo in
profondità, nell’abisso. Così, in piena notte, schiaffeggiati da una pioggia
fredda e dura, sballottati da onde maligne, eravamo stati costretti a governare
una nave che per poco non era stata spezzata dalla violenza della natura, tutti
urlavano per farsi sentire ma il ruggito del mare era più forte e spaventoso,
il capitano lanciava insulti e sputava bestemmie ma era chiaro che non riusciva
a comprendere quale fosse in problema da affrontare, qualcuno gli ruppe una
bottiglia sulla testa e questo fu il momento in cui tutti cominciarono a fare
le cose giuste. Mi trovai al centro di quella specie di ammutinamento, in tanti
mi chiedevano consenso a fare ciò che già sapevano fare, fui continuamente
cercato, con le voci, con le braccia e con gli sguardi. I marinai avevano
bisogno di un riferimento ed io trovai naturale prestarmi a quella necessità.
Certo era che anch’io
morivo dalla paura di non farcela. Nessuna nave dovrebbe cambiare timoniere
durante una bufera, certe cose vanno pianificate, ma a volte se vuoi salvarti,
devi fare delle scelte e devi farle veloce.
Quella notte la nostra
velocità di pensiero e di azione ci salvò la vita e al mattino guidai la nave
verso il porto più vicino. Il capitano aveva una vistosa ferita alla testa e
diceva di non ricordare niente. Si chiuse in cabina e uscì solo quando eravamo
sbarcati tutti. Non si fece più vedere e questo fu un bene per noi tutti ma
soprattutto per lui.
Quanto a me, continuo a
navigare, non saprei fare altro, e affronto a testa alta la brezza profumata
del mattino e il vento di tifone con lo stesso animo sereno. Perché è questo
ciò che i marinai si aspettano, non la paura, non l’incertezza, ma sapere la
rotta che percorreremo e specchiarsi in uno sguardo fermo e sicuro.
So che non sarà mai
facile, che le tempeste arrivano senza invito ma quello che cercherò di fare è
governare quest’imbarcazione meglio che posso e condurla ogni volta in un porto
tranquillo.