giovedì 26 maggio 2016
luoghi insoliti: Al momento dello scatto
luoghi insoliti: Al momento dello scatto: La foto era sepolta tra altre, dimenticata in uno sportello. Lo scatto, preso in una giornata molto luminosa, è leggermente so...
Al momento dello scatto
La foto era sepolta tra altre,
dimenticata in uno sportello.
Lo scatto, preso in una giornata
molto luminosa, è leggermente sovraesposto, i colori sono sbiaditi e i volti un
poco pallidi.
Sul fondo si perde una viuzza
apparentemente deserta e sul lato un'alta inferriata.
I due soggetti sono stati ripresi
a tre quarti, in piedi.
Il più giovane col braccio destro
cinge le spalle all'uomo più anziano.
L'uomo indossa jeans celesti, una
camicia e sopra di questa, al posto della giacca, una tuta sportiva rossa con
le maniche nere. Il ragazzo ha jeans più scuri, una camicia arancione e una
giacca a vento rossa. Il collo del giovane è avvolto da una sciarpina rossa e
nera.
Anche se la foto non è nitida, si
può riconoscere l'espressione sui volti dei due, un sorriso sincero, forse un
po' timoroso ma che rivela la gioia di essere lì, assieme, in quel preciso
momento.
I due sono partiti la sera prima,
aggregati a un gruppo di circa cinquanta persone, dall'Italia, per essere questa
sera allo stadio Non Camp del Barcellona Calcio e assistere alla finale di
Coppa dei Campioni.
Per gli appassionati di questo
sport si tratta di uno dei massimi eventi dell'anno e questo spiega
l'incertezza percepita sul sorriso dei due.
Ma forse non si tratta di
qualcosa nell'immagine, piuttosto di un frammento nei ricordi.
Nella foto c'è ancora la luce del
giorno, è evidente che è stata scattata nel momento di recarsi dentro lo
stadio.
I due ancora non sanno come andrà
la gara, come sarà giocata, se la loro squadra saprà dominare gli avversari, se
riuscirà a portare a casa il trofeo.
I due nella foto non sanno che i
novanta minuti saranno gioia pura, abbracci forti e applausi da spellare le
mani, il figlio non sa che dopo l'ennesimo goal prenderà in braccio suo padre e
che ubriachi di gioia salteranno e canteranno come due bambini felici.
Soprattutto c'è una cosa che il
giovane ignora al momento dello scatto.
Questa giornata, e soprattutto la
serata che gli si sta per aprire davanti sarà uno dei ricordi più belli e
limpidi che sapranno dare consolazione quando, adulto, ripenserà all'uomo da
anni scomparso.
E se quella sera tutto è stato
gioia, allegria, follia e una lacrima di felicità oggi, a riguardare lo scatto,
quasi tutto torna a galla e la lacrima è di emozione.
Ma il sorriso è lo stesso di
allora, meno incerto anche perché oggi, questa sera, non c'è una gara da
giocare, solo una manciata di ricordi che solleticano l'anima.
lunedì 16 maggio 2016
luoghi insoliti: VISIONI
luoghi insoliti: VISIONI: Mi sento bene finalmente. Non esattamente bene, diciamo che ho raggiunto l'equilibrio da qualche tempo cercato. Equilibrio...
VISIONI
Mi sento bene
finalmente.
Non esattamente
bene, diciamo che ho raggiunto l'equilibrio da qualche tempo cercato.
Equilibrio tra
dolore e benessere, tra sofferenza e godimento, tra fastidio e piacere.
Adesso mi sento
bene, non il bene chimico regalato da molecole e droghe, o quello spirituale
raggiunto con l'illuminazione.
Piuttosto un
"bene" fatto d’inerzia, di silenzio, di annullamento.
Sto talmente
bene da sentirmi neutro, non so se mi spiego.
Era da qualche
tempo che non mi sentivo così leggero, pulito, neutro insomma!
Senza grandi
sforzi immagino di esser leggero come una piuma, di poter volare soffiato da un
vento fresco che non sa dove andare, e, infatti, spinge prima da un lato, poi
si arresta e vira dall'altro, poi sorregge e mi porta in alto per gettarmi in
una folle picchiata, penso che sia divertente, come andare sulle montagne
russe, se non fosse che fa un po' freddo.
Dall'alto vedo
un disco di luce provenire dal suolo, come una moneta d'argento investita dai
raggi del sole. Mi avvicino e scendo di quota, in realtà è il vento che
rallenta e mi fa cadere dolcemente verso questa sagoma luminosa e avvicinandola
mi accorgo che si tratta di un lago dalla superficie liscia e calma.
Sono colto dalla
paura, non voglio finire nell'acqua, ho freddo e non sono sicuro di saper
nuotare.
Non c'è niente
da fare, mi piaceva volare e godere del panorama nella tiepida luce del
crepuscolo, ma il vento è cessato e ho scoperto di aver riacquistato il mio
peso perché ora sto precipitando sempre più veloce verso la superficie
dell'acqua.
Ho paura, sento
freddo, so che mi farò male perché l'altezza è notevole. Nessuno può cadere da quest’altezza
senza farsi male, anche se sull'acqua.
Chiudo gli occhi
prima dell'impatto, un attimo prima di capire cosa succederà, un attimo prima
di cadere in preda al panico.
Stranamente il
contatto con l'acqua non è doloroso, apro gli occhi e mi accorgo che la luce qua
sotto è fioca e fa freddissimo, annaspo e capisco che vado sempre più sotto,
come un mattone lanciato in una vasca, è evidente che non so nuotare, l'acqua
fredda e sporca m’invade tutti gli orifizi, entra negli occhi, penetra nel
naso, ostruisce i pori, non vedo che sporco e buio, non posso respirare e i
polmoni sono trafitti da milioni di aghi e urlano di dolore e mentre dalla
bocca spalancata esce un liquame freddo al posto della voce.
Le tenebre in
cui sono sprofondato stanno invadendo anche i pensieri e quella che sembra
essere l'ultima immagine consapevole, si rivela come un buco sul fondo del lago
da cui fuoriesce una penombra come da uno spiraglio di una porta aperta.
So che non è
possibile che sul fondo di un lago ci sia una porta socchiusa, non più di
quanto ci sia stato un vento capace di farmi volare, almeno.
Ma non m’importa,
ormai non respiro più aria da un pezzo, i polmoni sono spugne gonfie d'acqua,
gli arti sono pezzi di carne semicongelata, e si muovono non di propria volontà
ma spinti dalla corrente.
Mi stupisce che
nella mente ottenebrata ci sia ancora un filo di funzionalità che permette pensieri
elementari. Mi chiedo quanto ci vorrà per perdere definitivamente coscienza e
nel frattempo raggiungo il fondo fangoso del lago. La corrente trascina il mio
corpo inerme verso la fessura e piano piano, rotolando come una carpa, questo raggiunge
la singolarità. Poi ci casco dentro e avverto uno strappo doloroso.
Non è un dolore
come quando ci si frattura un osso oppure quando ci si lacera la pelle, no, è
proprio come quando si strappa una stoffa ma a livello cellulare, come miliardi
di strappi che non fanno davvero male ma che dividono, separano.
Sono seduto.
Faccio fatica a
crederci. È come se quanto successo nel lago e prima in aria appartenga a un’altra
persona o a un’altra vita.
Mi rialzo in
piedi. Non sento niente, respiro come nulla fosse, aria profumata, ascolto il
ronzio degli insetti e il brusio di esseri piccolissimi tra l'erba del prato.
Comincio a
camminare e presto le vedo.
Il campo da
verde si macchia prima di chiazze rosse per diventare presto un’infinita
distesa purpurea.
Rose
dappertutto, non ho mai visto tante rose di un colore così intenso e di un
profumo così assoluto.
Cammino in mezzo
alle rose e non ho ancora capito dove andrò a finire. Il cielo sembra
rispecchiare il colore di quell'oceano infuocato, potrebbe essere il tramonto
quanto l'alba.
Gli occhi mi si
riempiono di lacrime di commozione, gioia e altro che non so definire, forse
amore.
Ora vedo, in
lontananza, la sagoma luminosa di quella che sembra una città.
Continuo a
camminare, non ho altro posto dove andare.
Quando mi
accorgo di essere sveglio mi morde un senso di disperazione. Sono più che
dispiaciuto, sono arrabbiato che fosse tutto un sogno, le immagini, le
sensazioni, era tutto così vivido e reale.
Mi faccio forza
e mi alzo.
Continuare e
andare avanti, come tutti i giorni, mi dico.
Poi, facendo il
letto, scopro un petalo rosso sulla federa del cuscino.
E il mio cuore è
inondato dalla speranza.
giovedì 12 maggio 2016
luoghi insoliti: Si stava meglio quando si stava peggio.
luoghi insoliti: Si stava meglio quando si stava peggio.: La frase "si stava meglio quando si stava peggio" rivela una tristezza assoluta. Ripetendola e ascoltandone il suon...
Si stava meglio quando si stava peggio.
La frase "si stava
meglio quando si stava peggio" rivela una tristezza assoluta.
Ripetendola e
ascoltandone il suono aumenta la depressione latente e si risveglia un’ansia
repressa. Sembra tipica di chi non coltiva più speranze e di chi è abituato a
lamentarsi senza costrutto.
Come si può affermare
che oggi, epoca di conoscenze e di agiatezza, di libertà e cultura, il
benessere sia diminuito rispetto a un passato buio, fatto di privazioni e
povero di certezze?
Ho provato a guardarmi
intorno.
Quando sono alla guida e
mi fermo al passaggio pedonale, la gente attraversa senza degnare di uno sguardo
l’insolito autista che mostra questa premura (oltre a rispettare il codice) e
non solo ma dietro c'è sempre un caprone che suona per farmi ripartire alla
svelta.
Cedo il passo sempre,
per esempio entrando nei locali e tengo sempre la porta aperta a chi entra o
esce dopo di me ma spesso la persona oggetto di quest’attenzione mi guarda come
si guarda un alieno, e poiché alieno senza capirne lingua, usi e costumi.
Incrocio visi familiari,
concittadini, vicini di casa e mi viene da salutare ma gli sguardi che ricevo
di rimando sono aridi quanto un deserto d'estate quando non mostrano
un'ostilità palese.
Allora osservo i bambini
che sono lo specchio della società, nelle piazze dove ancora sciamano
rumorosamente dietro a un pallone, per le vie dove si spostano in gruppuscoli,
non c'è n'è uno che saluti, che si faccia da parte se il passaggio è stretto, che
non schiamazzi e urli come se al mondo non ci fossero altri.
Ragazzi, non ci siamo.
Non starò a spiegare,
perché chi non capisce da sé queste cose, non si può riabilitare.
C'è stato un tempo in
cui per rivolgere la parola a un adulto bisognava chiedere il permesso ed era proibito
interrompere, un tempo in cui si dava del lei. Un tempo in cui era importante
cedere il posto a sedere e fare strada ad altri, un tempo in cui era naturale pronunciare
parole come “scusi”, oppure “per favore”, o addirittura “grazie”!
Un tempo in cui non era
scontato avere ragione, neppure se si alzava la voce.
Un tempo in cui si
facevano ragazzate, come oggi, ma se ti pescavano venivi punito e te ne
vergognavi a lungo.
Un tempo in cui stavi
attento a non farti male e a non litigare con altri bambini perché altrimenti
quando tornavi a casa c'era "il resto"!
C'è stato un tempo in
cui quando parlava un adulto si stava ad ascoltare e non era questione solo di
autorità bensì di autorevolezza.
Ecco, si dirà,
l'ennesimo brontolone, quello cui non va più bene niente, quello che sa solo
lamentarsi.
Non devo spiegare
niente.
Perché chi non capisce
da sé queste cose, non si può riabilitare.
Mi rivolgo ai trentenni
che hanno dei bambini piccoli, ma molto piccoli e a chi avesse intenzione di
avere dei figli.
Fate attenzione a ciò
che insegnerete ai vostri bimbi.
Non fategli credere di
essere già i primi, non sapranno mai migliorarsi.
Non fategliele passare
sempre tutte lisce, quello non è amore.
Non ingannateli crescendo
loro nella convinzione di avere continuamente ragione, non sarà sempre così.
Non insegnate loro a
usare la forza e la violenza, un brutto giorno potrebbero rivolgerle contro di
voi.
Parlate di queste cose
con i vostri genitori e con i vostri nonni. Sentite come la pensano. Fate in
modo che fra quindici o venti anni non sarete voi a lamentarvi di un mondo che
non vi piace.
Mi rivolgo a chi capisce
queste cose.
Perché chi non ha
capito, non si può riabilitare.
lunedì 9 maggio 2016
luoghi insoliti: UN SALTO NEL PASSATO
luoghi insoliti: UN SALTO NEL PASSATO: Circa diciassette anni fa usciva nelle sale italiane il film “The Truman show” diretto da Peter Weir, regista tra gli altri de L’...
UN SALTO NEL PASSATO
Circa diciassette anni fa usciva
nelle sale italiane il film “The Truman
show” diretto da Peter Weir, regista tra gli altri de L’attimo fuggente, e interpretato dall’ecclettico Jim Carrey, fino
a quel momento considerato dalla critica un eccellente attore comico, e da un
grandissimo Ed Harris.
Il film ha ottenuto ben tre
nomination per il premio Oscar del 1999 e si è aggiudicato tre Golden Globe
nello stesso anno (miglior attore in un film drammatico, miglior attore non
protagonista e migliore colonna sonora originale).
Il film non si limita a irridere
e rendere paradossale il successo dei reality show, il film non è solo un’originale
rappresentazione della finzione scenica, non è solo una grande metafora della
menzogna della vita, non è solo un affresco delle paranoie e della solitudine
umane. Il film è tutto questo, narrato con incredibile leggerezza e con grande
coraggio.
Il personaggio di Christof (Ed
Harris) rivelando se stesso a Truman (Carrey) si dichiara il Creatore e dice la
verità quando afferma tutto il suo potere, tutto il suo controllo e tutto il
suo amore verso il nostro protagonista.
Il film è pregno di richiami e
riferimenti, dai nomi dei personaggi, Marlon, Meryl, a quelli dei luoghi
(Lancaster Boulevard) e richiami nemmeno troppo velati a opere come 1984 di
George Orwell.
Tutto è finzione sullo schermo,
tutto tranne Truman come richiamato anche dal suo nome (true man).
Tutto è finzione tranne le
emozioni che legano il pubblico in struggenti abbracci e lo sciolgono in calde
lacrime.
Il film è arricchito da una
meravigliosa colonna sonora scritta da Philip Glass, che peraltro fa una
piccola apparizione al pianoforte suonando la propria musica e che culla
piacevolmente lo spettatore portandolo alla commozione.
Per chiudere citando il nostro
Truman Burbank, vi saluto dicendo:
“Buongiorno… e caso mai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buona sera e
buonanotte!”
Ma ci rivedremo perché questo è
un film di cui non ci stancheremo mai.
Perché in fondo siamo tutti un poco Truman.
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