sabato 23 giugno 2018

luoghi insoliti: Cosa c'è alla fine della salita

luoghi insoliti: Cosa c'è alla fine della salita: Cosa ci sarà mai alla fine di questa dannata salita? Me lo chiedo da un’ora, che qui si suda e si arranca, si arranca e si suda e...

Cosa c'è alla fine della salita







Cosa ci sarà mai alla fine di questa dannata salita?
Me lo chiedo da un’ora, che qui si suda e si arranca, si arranca e si suda e a ogni curva speriamo di vedere qualcosa che non sia lo stesso sentiero, le stesse pietre che torturano i piedi, gli stessi scalini naturali, che a scalarli si arranca e si suda come mai sudato prima.

Ma a ogni curva il paesaggio non cambia, giro l'angolo e davanti ancora sentiero, ancora salita, ancora pietre che spaccano i piedi, e schiene sudate e una processione di uomini e donne e qualche cane, tutti con qualcosa in comune, la stanchezza, il fiato grosso, la lingua penzoloni.

Ma cosa ci sarà mai alla fine di questa salita, che tutti non vediamo l’ora di arrivarci e più avverto la stanchezza, più aumenta il bruciore nei muscoli, più si annebbia la vista a causa del sudore che cola a litri negli occhi e più mi viene di accelerare il passo se non altro per porre termine a questa temporanea tortura.

E dopo due lunghe, interminabili ore di cammino verso l’alto, vana rincorsa al cielo, inseguimento di nuvole che non vediamo perché tutti stiamo attenti a dove mettere i piedi per non inciampare e rotolare nel bosco, chissà come, il fiato mi torna e il passo si fa regolare, uno-due, uno-due, uno-due, e inizio una pazza gimcana tra le schiene, evitando di prendermi le bacchettate sulle gambe, schivando chi decide di rifiatare con una sosta, superando i marciatori più lenti, e finisco così per guadagnare posizioni perché non ce la faccio più a camminare in salita e non vedo l’ora di sapere cosa c’è alla fine di questa maledetta salita.

Ma per quanto aumenti l’andatura, le cose non cambiano, davanti a me una fila di schiene sudate, zaini oscillanti, pietre che fanno male ai piedi e soprattutto salita, salita e poi ancora salita. Così per un’altra buona mezz’ora non penso, non mi chiedo cosa troverò, metto solo un piede avanti all’altro, spingo sul ginocchio buono e sull’altro che scricchiola, ma non rallento, solo vado avanti e salgo, salgo perché non c’è altro da fare.

Ma come tutte le cose che hanno una fine, all’improvviso lo scopro cosa c’è alla fine della salita.
Acqua, finalmente acqua per tutti, uomini, donne, cani, beviamo, ci ristoriamo, a fatica perché dobbiamo prima respirare ed entrambe le cose sono urgenti. E alla fine della salita trovo le persone, quelle arrivate prima, quelle che mi hanno seguito, quelle che mi hanno aspettato e quelle che mi hanno raggiunto, quelle che non conosco e che saluto perché hanno negli occhi la mia stessa stanchezza, la stessa voglia, le persone che mi hanno deluso e che ho perdonato, le persone che su di me hanno sempre contato. E tutti assieme ci ristoriamo che la salita non era infinita e tra poco si riparte.

Lo so bene, lo sappiamo tutti che ci aspetta una lunga e altrettanto faticosa discesa, l’altro versante è lì a due passi e ci accoglie nell’ombra. Si capisce subito che sarà peggio. Il sentiero è ripido e umido, le pietre sono bagnate e rotolano verso valle che è un piacere. La processione umana riprende a rilento che è tutto un frenare, un urlare di quadricipiti, un fischiare di menischi.
E qualcuno comincia a chiedersi abbastanza stupidamente, cosa ci sarà alla fine di questa discesa.

Ma la vita non è forse questo, uno scendere e un salire, un faticare e sudare, un cercare di resistere e di andare avanti finché c'è fiato?
Finché c'è qualcuno che cammina con noi e che si volta ad aspettarci se rallentiamo o ci sorride se ci giriamo indietro a vedere che non si allontani troppo?

E che importa se alla fine di questa discesa ci sarà un pianoro o se comincerà subito una nuova salita.
Berremo la nostra acqua e mangeremo e andremo avanti perché la giornata è ancora lunga e non sappiamo cosa ci riserverà la strada.





venerdì 22 giugno 2018

luoghi insoliti: le parole esatte

luoghi insoliti: le parole esatte: Quanto è difficile trovare le parole giuste. Tutti noi lo sappiamo, lo abbiamo sperimentato ieri, lo faremo domani. Scegliere...

le parole esatte







Quanto è difficile trovare le parole giuste.

Tutti noi lo sappiamo, lo abbiamo sperimentato ieri, lo faremo domani.
Scegliere le parole da dire a ogni occasione potrà sembrare a qualcuno un problema da poco, al contrario è importantissimo, fondamentale.

Selezionare aggettivi eleganti, limitare avverbi inutili, utilizzare verbi appropriati. Il tutto mettendo insieme un discorso che non faccia una piega, senza ripetizioni, balbettii, senza trascinare le finali troppo a lungo, insomma cercando di sembrare un minimo intelligenti. Almeno adeguati alla situazione.

Certo, per essere adeguati alla situazione è necessario conoscere chi si ha davanti. Per fare un esempio, se affrontiamo un colloquio di lavoro che può comportare una promozione, sarà bene mettere sul piatto un eloquio sciolto e fluente che dimostri competenza della materia e disinvoltura con le figure dirigenti. Tipo:
 - io… ehm… dicevo…. sì, stavo per direeee… cioè, volevo dire…

Se questo è il risultato, possiamo provare a puntare sulla simpatia:
-Bello il copricapo che indossa, dottoressa… mia nonna ne aveva uno simile al funerale del nonno…

Direi di lasciar stare anche la simpatia.

Dicevo che non è semplice trovare le parole esatte da dire, quando siamo costretti a improvvisare, quindi i più accorti prepareranno un discorso scritto, almeno una traccia. Come feci io in occasione di un lontano raduno familiare:
- bene, ora vi racconterò un aneddoto… dove l’ho messo… era nel taschino… accidenti… iniziava tutto nel ‘92… ero sicuro di averlo con me… qualcuno ha visto un post-it???

Non sempre l’idea di scrivere un discorso si rivela una buona idea, come vedete.

Quando improvvisiamo un discorso è importante tenere conto di un’altra cosa: Il tono con cui si parla.
Non possiamo convincere un vigile a toglierci una multa, urlando con voce caustica e polemica e con tutta l’aria che abbiamo nei polmoni. Nemmeno possiamo, al cospetto di un magistrato, sussurrare al minimo del volume e sfidarlo a sentire la nostra deposizione nonostante il brusio di sottofondo. Tantomeno è opportuno urlare nello studio del medico, rendendo partecipe la folla seduta nella sala d’attesa, dei risultati della nostra colonscopia.

Temo che a questi esempi, chiunque di voi possa aggiungerne di più coloriti e interessanti.

E’ così difficile comunicare qualcosa con le parole giuste, come vedete.
Per questo siamo affascinati da chi sa farlo.

Sono le persone che ci piace avere intorno a una cena.
Sono gli uomini e le donne che ci fanno perdere la testa.
Sono i collaboratori che si vorrebbe sempre insieme.

Per questo ci innamoriamo dei poeti e degli scrittori.
Anche se non siamo sempre bravi a riuscirci, abbiamo trovato chi lo fa per noi.

Chi sa scegliere parole che ci tocchino il cuore, che ci diano una spinta. Parole dure come pietre, dolci come miele, leggere come piume o graffianti come spine.

Chi ha il talento, l’abilità, la bravura di trovare sempre le parole esatte.

E la capacità di saperle mettere nell’ordine giusto.




domenica 10 giugno 2018

luoghi insoliti: Fila f, posto undici

luoghi insoliti: Fila f, posto undici: Arrivo, come tutti gli anni, immerso in una personale sacca piena di ansia. Quest’anno tocca punte vertiginose prossime al pa...

Fila f, posto undici








Arrivo, come tutti gli anni, immerso in una personale sacca piena di ansia.
Quest’anno tocca punte vertiginose prossime al panico.

Me la prendo col traffico in realtà inesistente, con la ricerca di un parcheggio che poi trovo appena svoltato l’incrocio, per ultimo con mia moglie la cui unica colpa è di sopportarmi.

Il teatro apre i battenti puntuale, come ogni anno, quindici minuti prima dell’inizio dello spettacolo.

M’introduco verso il mio posto risparmiando a tutti il problema di intrattenersi con un orso idrofobo e vado a decantare gli ultimi minuti di stress nel profondo della mia poltroncina.

Una volta seduto mi sento come un passeggero atterrito sul sedile di un Boeing. Provo a estraniarmi, dal momento che niente più dipende da me, accettando passivamente i secondi che mancano al momento del decollo.

E puntuale il decollo arriva annunciato dall'abbassarsi delle luci e dall'aprirsi del sipario.

Godiamoci lo spettacolo, penso ma il primo pezzo s’intitola “Niente è come sembra”…

E, infatti, il sogno comincia, come sempre, ma niente è più come sembra perché le danzatrici si presentano con maschere teatrali sorridenti sotto le quali si cela una smorfia di amarezza dipinta sui volti. E capisco subito che niente più sarà come sembra, che saremo catapultati in un mondo di musica e danza che ci urla di tossiche dipendenze, di mortale anoressia e solitudine, dove si raccontano problematiche storie d’amore omosessuale, tragiche vicende in cui ballerine vittime di stalking saranno uccise a colpi d’arma da fuoco, storie di donne colpite, umiliate, violate da uomini vigliacchi, inutili e inadeguati.

Non è uno spettacolo per deboli, questo in cui la danza ci illustra gli orrori della follia, ci mostra la sofferenza dell’autismo, la disperazione del vivere un’esistenza senza memoria, senza più passato né futuro, vittime della demenza e quest'ultimo tema strizza le lacrime dagli occhi, già irritati e sensibili dal primo minuto, come fossero spugne intrise d’acqua.

Non è uno spettacolo per cuori fragili e il sogno prosegue dandoci grandi bastonate sulla nostra tranquilla vita di persone “per bene” urlando di aprire le orecchie e gli occhi per non cedere mai più all’indifferenza.
Non mancano momenti di bellezza pura e di speranza come la gioia di vivere danzando fregandosene della disabilità.

Non è uno spettacolo per anime delicate e se lo siamo stati queste ballerine e questi ballerini ci hanno riportato all’ordine.
Ci hanno fatto volare ma anche svegliare, ci hanno spaventato e meravigliato, ci hanno fatto sorridere ma anche commuovere.
Ci hanno regalato emozioni e pensieri da elaborare.

E come ogni anno, io che pensavo di assistere a uno spettacolo di danza esco dal teatro con un uragano di sentimenti che fatico a comprendere e con tanta gratitudine verso questi artisti che con la loro grande passione sanno, ogni anno, farci crescere un poco di più.













domenica 3 giugno 2018

luoghi insoliti: Placide

luoghi insoliti: Placide: Il lavoro nobilita, si dice. Non so se sia vero, non mi sento più nobile, in ogni caso lavorare mi ha dato tanto. Tantissimo. Sotto div...

Placide







Il lavoro nobilita, si dice.

Non so se sia vero, non mi sento più nobile, in ogni caso lavorare mi ha dato tanto. Tantissimo.

Sotto diversi aspetti.

Sono cresciuto oltre che in età, professionalmente. Ho avuto la possibilità di fare innumerevoli esperienze. Sono cambiato e maturato.

A metà degli anni ottanta ero un teenager come tanti, con poca barba e molti ideali.

Leggevo e mi guardavo intorno. Certo, ero consapevole dei problemi ma il duemila era lontano e avevamo un mucchio di tempo per affrontarli e magari risolverne qualcuno.


A diciannove anni, con un nuovo lavoro, si è ottimisti, entusiasti e un po’ stupidi.

E così, con tanta stupidità e inesperienza ma con tanta speranza mi apprestavo a vivere e a osservare un mondo che sarebbe presto andato avanti.


La mia responsabile era una donna nata nelle colonie italiane del nord Africa e vantava una conoscenza della lingua francese al pari di un madrelingua. Parlava francese ogni volta che ne aveva occasione. Anche a sproposito.

Una mattina venne da me e mi presentò Placide.

Mi disse che per qualche mattino avrebbe fatto il turno con noi come tirocinante osservatore.

Placide era un giovane circa della mia età, credo nigeriano o forse senegalese ma per quanto ne capivo poteva anche essere del Congo o del Burundi. Poco m’importava. Un tipo silenzioso, calmo e timido, a volte imbarazzato.

La sua pelle nera come la notte faceva splendere la divisa bianca che gli avevano prestato.

Mi accorsi subito che parlava poco o niente italiano.

Mi porse la mano e si presentò traducendo il nome: Placido.

Sorrisi per la gentilezza e mi misi a disposizione.

L’esperienza di avere al fianco un tirocinante era per me una novità com’era nuovo tutto il resto, ma contribuiva a rendere le cose interessanti.


Placido osservava tutto, se poteva dare una mano, lo faceva, non badava alla mansione. Mi avevano detto che era qualificato ma avrebbe passato lo straccio sul pavimento se ci fosse stato bisogno.

La mia responsabile amava spiegargli le cose e tradurre le nostre parole e un po’ mi dispiaceva non poter parlare direttamente con quel ragazzo.

Non parlare non era un problema, Placide era bravo con stecche, gessi e bendaggi, praticava medicazioni e disinfezione con sicurezza, la sua timidezza spariva quando partivano le sue mani.


Una mattina si presentò al servizio una donna, non la ricordo bene, mi sembra di mezza età. Ricordo però molto bene cosa lei disse.

-Non mi faccio medicare da lui. Lui non mi tocca.


Ero di spalle ma sapevo che non era rivolta a me senza bisogno di vedere.

Fu come ricevere uno schiaffo.

Mi vergognai.

Provai vergogna come se fossi stato io a pronunciare quelle parole.

Mi vergognai perché non riuscii a dire nulla.

Provai rabbia perché nessuno dei presenti disse qualcosa.

Placide fece un passo in dietro e con grande dignità lasciò ad altri il compito.


Per me fu come quando si rompe qualcosa, un cristallo per esempio, stesso rumore, stesso danno irreversibile.

Credo che perdiamo un po’ per volta frammenti di purezza e di adolescenza, fino a diventare definitivamente adulti e quel momento per me rappresentò una grande perdita d’innocenza e candore.

Forse solo d’illusione.


Placide scomparve in silenzio com’era comparso. Un mattino non lo vidi più e basta.

Ho ripensato di rado a quel giovane, durante gli anni.

Venuto per imparare e andato via insegnando.

Spero che abbia avuto una buona vita e una gratificante carriera.

Anche la donna. Spero che sia cresciuta, che sia migliorata. Che sia cambiata.


Poi mi guardo intorno.