Croniche collaborazioni










“L’uomo che porta i giornali.” 




La facciata barocca dell’ospedale cittadino funge, oltre che da meraviglioso arredo della piazza, anche da paravento alle disparate attività che ad ogni ora fervono all’interno dello stesso. Dopo le lunghe e silenziose ore notturne una dolce e rosea luce proveniente dalla via maestra invade la piazza e colora le sue facciate. 
Alle sette improvvisamente la corsia si sveglia. C’è il cambio turno e il personale sbadigliante e con la faccia assonnata del mattino subentra a quello ancora attivo e con la faccia ben sveglia che invece ha terminato il lungo turno di notte. 
Fuori fa freddo ma dentro l’odore del caffè si spande lento ed inesorabile assieme al suono del chiacchiericcio, segue il serpeggiare del corridoio e si infila in tutti gli anfratti e va a svegliare chi, per diversi motivi il caffè non lo può bere. 
Dalle camere di degenza escono i consueti rumori. Voci roche, colpi di tosse, peti, qualche lamento ed altri suoni non di provenienza umana raggiungono il corridoio percorrendo a ritroso il percorso dell’aroma del caffè, tra questi distinguiamo il bip-bip regolare di una pompa di infusione elettronica, il gorgogliare dell’ossigeno nella vaschetta di acqua sterile che serve da umidificatore e che ricorda tanto il suono dolce e stimolante delle fontane e delle cascatelle. 
A questa varia colonna sonora, presto si andrà ad aggiungere il fastidioso cigolio delle ruote del pesante e sovraccarico carrello pieno zeppo di biancheria pulita e padelle e cotone e sapone che segnerà il definitivo crollo di ogni speranza di chi desiderava aggiungere qualche prezioso minuto alle brevi ore di sonno. 
Ma non ancora; le infermiere ed il restante personale stanno ancora condividendo informazioni, caffè bollente, consegne sul da farsi e criticità della giornata che verrà. 
All’improvviso sentiamo il per nulla silenzioso ronzio dell’ascensore e delle sue porte che si aprono al fondo del corridoio. 
Ne esce silenziosamente una persona. Ha un pacco voluminoso sotto il braccio e va a sedersi con discrezione sulle sedie di plastica rossa davanti la porta dell’ascensore stesso. Non cerca nessuno e non chiama nessuno, sta seduto lì e lì aspetterà con pazienza e senza disturbare che il personale passi a fare la prima delle molte pratiche assistenziali del turno, il lungo e faticoso giro letti. Osserva in silenzio, per ingannare il tempo, l’alto e grandioso albero di Natale ed il presepe preparato con cura dal personale nell’angolo opposto all’ascensore. Gli piace ed anche ai ricoverati piace. Li fa sentire più a casa. 
Il carrello col personale al seguito passa di stanza in stanza. In alcune la sosta è breve, in altre viene parcheggiato fuori dalla porta, nel corridoio oramai illuminato a giorno e dove le voci ora corrono libere ad un volume decisamente più alto, dove il campanello suona ininterrottamente e dove tutto non è più sommesso ed ovattato. 
In alcune stanze, al contrario, il carrello viene pesantemente trascinato dentro per non uscirne più. Seduto di fianco all’ascensore l’uomo con il pacco sotto al braccio saluta con un sorriso tutto il personale che prima o dopo gli passa davanti. Conosce tutte le infermiere e tutte, chi più chi meno, conoscono lui. E’ l’uomo che porta i giornali. 
Se ci avviciniamo e guardiamo bene ciò che l’uomo ha sotto al braccio non è un pacco ma un involto con una dozzina, forse di più, di quotidiani. Non appena il carrello viene spinto pesantemente fuori da una camera, l’uomo fa capolino con la testa da dietro la porta e timidamente chiede se qualcuno desidera leggere le notizie del giorno. Sa bene che troverà i degenti della camera ben svegli, puliti, con il letto rifatto, in attesa della prima colazione e pronti per affrontare la lunga giornata. 
Se qualcuno degli occupanti della stanza gli fa un cenno non entra e rimane sulla soglia finché non gli dicono che può entrare e solo allora si avvicina al letto dell’interessato e poggia con delicatezza il giornale sul copriletto. Ha sempre le tasche gonfie e tintinnanti di monete per dare il resto. 
Per lui questo non è semplice volontariato, questa è una missione. Si sa come le persone, seppur malate, infortunate, operate o convalescenti, abbiano bisogno di non staccare il contatto col mondo circostante, di essere informate sui fatti del giorno, insomma di leggere il giornale. Per assolvere questa missione l’uomo dei giornali ha dovuto superare la sua atavica repulsione per tutto ciò che è comune trovare nei reparti e nelle camere di degenza, cose come sofferenza, sangue, dolore, cattivi odori, visioni ripugnanti di sacchetti, bacili, catini e barattoli pieni di liquidi e sostanze biologiche di varia provenienza. Per assolvere questa missione l’uomo dei giornali ha imparato a fare una cosa per niente facile: avvicinarsi ad un letto in cui giace un malato. 
Con infinita pazienza percorre il reparto in tutta la sua lunghezza prima di passare all’altro reparto e per poi ritornare per il secondo giro. Perché c’è sempre qualche ricoverato che non ha potuto interpellare, perché chiuso in bagno, perché gli stavano praticando un’iniezione o perché magari era sceso in radiologia ad eseguire un esame o per mille altri motivi. L’uomo dei giornali non dimentica mai nessuno ed ha nel taschino una penna ed un notes per segnarsi eventuali richieste riguardanti riviste, allegati o libri che lui si procurerà scendendo all’edicola che c’è nella piazza appena terminato il primo giro. 
Sì, perché l’uomo che porta i giornali tornerà a percorrere i corridoi dei reparti di degenza anche una seconda, e se serve una terza volta, almeno fino a quando i preparativi per il giro visita dei medici non gli impediranno di tornare. 
Ogni tanto qualcuno del personale gli offre una tazza di caffè. Qualcuno gli chiede chi glielo fa fare. Lui alza le spalle, fa un sorriso, si gira e se ne va. 




N.d.A. Tutti i personaggi e le vicende che incontrerete in queste cronache riguardanti l’ospedale, per ovvi motivi legati a privacy e segreto professionale sono invenzioni letterarie. Tutti tranne l’uomo che portava i giornali. Lui è veramente esistito ed ha fatto davvero quello che descrivo nella cronaca. E sempre per dover di cronaca, l’uomo che portava i giornali era mio padre. 


Giorgio Papa








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