venerdì 30 giugno 2023

Urania, figlia delle stelle

 





 


Urania ha quindici anni, una memoria prodigiosa e una fame insaziabile di libri.

Certo che a scuola tutte queste caratteristiche non la rendono la più popolare delle ragazze.

Lei non veste seguendo le mode del momento, non le interessa indossare collane e bracciali, gli occhiali non sono un orpello ma una necessità, non si fa decorare le unghie, non guarda certi programmi televisivi, dove giovani e anziani cercano di fidanzarsi, anzi guarda pochissimo la televisione...

Non ha niente in contrario, per carità, non ci trova nulla di male a seguire le mode o a farsi dipingere le unghie, alcune mani delle sue compagne le trova molto belle, gli altri possono benissimo passare il tempo come credono, semplicemente il tempo è limitato e lei ha altre priorità.

È stata sempre abituata a fare di testa sua, a non dare importanza a quello che dicono gli altri, immaginiamo quello che ha dovuto passare con un nome come il suo.

Suo padre e sua madre sono appassionati di fantascienza, lettori accaniti e per anni hanno fatto a meno di acquistare un televisore e l’hanno preso solo per vedere i film di genere.

Urania legge di tutto, oltre ai libri consigliati dagli insegnanti.

Legge manuali e saggi scientifici e ha letto tutti i libri di Hawking sull’universo.

Le piace Bradbury, trova alcuni racconti struggenti come poesie d’amore.

Ha provato Asimov che ha uno stile scientifico anche quando scienza non è, ha scoperto John Wyndham e Jack Finney ma le sembra che sfocino a volte nel genere horror.

Così ha anche iniziato a leggere un certo Stephen King.

Inutile dire che porta con orgoglio il proprio nome e non vorrebbe chiamarsi in nessun altro modo.

Questa estate ha già pronta una pila di tascabili sul comodino e ora che la scuola è finita, ha già l’acquolina in bocca.

A proposito di scuola.

Quest’anno hanno parlato di una donna vissuta ad Alessandria d’Egitto al termine del quarto secolo. Una donna di nome Ipazia.

Ipazia è stata una delle prime donne a imporsi nell’allora comunità scientifica. La professoressa ha affermato che se fosse nata nel ventunesimo secolo sarebbe senza dubbio diventata una star mondiale con milioni di follower…

Ipazia studiava in continuazione e univa il metodo scientifico alla filosofia diventando così una delle voci più autorevoli della comunità culturale e, poiché donna, destando invidia, scalpore e scandalo.

Molti la ammiravano e arrivò a condurre la scuola neoplatonica della città ma fu presto, da parte di alcuni, accusata di essere un’incantatrice, una specie di fattucchiera e durante i tumulti le fu teso un agguato e fu uccisa dai suoi detrattori.

Ipazia era solo una donna che guardava le stelle e cercava, attraverso la matematica, di capirne i segreti. Fu probabilmente la prima grande scienziata donna mai esistita.

Quella lezione restò impressa nella mente di Urania e le stimolò la fantasia.

Le sarebbe piaciuto diventare come Ipazia, avere la sua intelligenza, la sua curiosità e soprattutto il suo coraggio.

Lei stessa in passato era stata dileggiata e chiamata “strega” ma grazie allo studio di quel personaggio, aveva compreso che chi ti ostacola e t’insulta forse lo fa solo perché non riesce a capire quello che dici, non comprende quello che comprendi tu, e forse ha solo paura di te.

Urania aveva anche studiato l’origine del suo nome.

Nella mitologia greca Urania era figlia di Zeus e di Mnemosine. Urania è una delle Muse, protettrice di astronomia, geometria e matematica.

Urania non avrebbe potuto essere più felice perché poteva così identificarsi completamente col suo nome.

Corse da sua madre, con la quale ultimamente i rapporti erano diventati tesi e conflittuali e la abbracciò dicendole quanto fosse grata che i genitori avessero scelto per lei proprio quel nome.

Quella mattina aveva deciso che sarebbe stata in biblioteca e avrebbe fatto due chiacchiere col ragazzo gentile che c’era al bancone. Le piaceva un poco ma questo non l’avrebbe mai confessato a nessuno.

Quella giornata sarebbe stata dedicata alla ricerca e allo studio ma quando sarebbe arrivata la sera, aveva sempre la sua pila di libri ad aspettarla sul suo comodino.

Urania finì la sua colazione e uscì ridendo.

Non era una strega e studiare non era mai stato così bello.

 

 

 




sabato 24 giugno 2023

Le mucche di Tea

 





 

 

Tea ha quasi diciassette anni e il fuoco nel cuore.

Gli occhi azzurro chiaro e i capelli biondi come il fieno seccato al sole.

Lavora tutti i giorni della settimana, al ritorno da scuola, tranne la domenica, quando suo padre le concede un giorno di riposo. È lei che vuole così, non potrebbe stare senza le sue mucche.

Il padre di Tea è il maggiore allevatore del paese, lo sanno tutti, e può permettersi una decina di dipendenti ma Tea non vuole rinunciare alle sue mansioni.

La grande stalla, da poco rimodernata, ospita quaranta animali e anche di più quando arrivano i vitellini.

Una volta, quando era più piccola, aveva provato ad assegnare un nome a tutte le vacche della stalla. Al tempo erano la metà di oggi. Aveva usato i nomi dei mesi, declinati al femminile e il fattore si era trovato i bigliettini su ogni posto, con scritto: Gennaia, Febbraia, Marzina, April e così via di questo passo. Terminati i mesi, i nomi erano diventati quelli delle quattro stagioni e per quelli che rimanevano, aveva utilizzato i pianeti. Tea conosceva a memoria gli animali della sua stalla e sapeva distinguere Mercuria da Inverna oppure Agostina da Luna. Non si sbagliava mai.

Inoltre Tea era golosa di latte appena munto.

Sarebbe vissuta di latte e biscotti a colazione, pranzo e cena tutti i giorni della sua vita, certo solo i biscotti fatti in casa da sua nonna. I più buoni del mondo.

Il latte le piaceva sempre tanto, anche se dopo i quattordici anni aveva iniziato a metterci dentro anche il caffè.

Un pomeriggio suo padre la vide abbracciata stretta alla nonna che singhiozzava. Chiese cosa fosse successo e la donna, laconica, rispose: Niente, cose femminili. Suo figlio aveva capito che era meglio non insistere e, abbassato il capo, era tornato al suo lavoro.

Tea stava crescendo.

Tea passava i pomeriggi tra i libri e le sue mucche, anche se avrebbe potuto evitare di andarci, non poteva farne a meno. Lei sapeva che quelle bestie così grandi e placide avevano un enorme cuore e riconoscendo i suoi modi gentili, la ricambiavano restando in salute e producendo un latte sopraffino.

Un giorno si venne a sapere che la televisione di stato sarebbe arrivata in paese per realizzare un documentario sui prodotti e sulle bellezze delle loro colline. Arrivò il regista assieme al produttore, con un paio di tecnici a parlare col sindaco e anche suo padre fu coinvolto nell’organizzazione. Lo avrebbero intervistato e sarebbe stato un bene per tutti.

I giorni delle riprese furono diversi. Vennero alla stalla e registrarono l’intervista, poi prepararono una bellissima tavolata, decorata da fiori di campo e imbandita con i prodotti più buoni, formaggi, ricotte, salumi e grandi brocche piene di latte.

A Tea fu dedicata anche una lunga ripresa e un primo piano, mentre portava a tavola il suo sorriso e un vassoio di dolci biscotti.

Quei giorni conobbe Angelo, un giovane alto e con larghe spalle da nuotatore, che girava costantemente con una telecamera sulla spalla destra. Andarono a chiacchierare sul prato del pendio sopra la stalla.

Sembrava tutto perfetto quando lui, con una smorfia, le chiese come facesse a sopportare l’odore.

Quale odore? Chiese lei senza capire.

Questa puzza. È dappertutto, anche adesso. Controlla le scarpe, forse hai pestato qualcosa.

Ma lei capì che non erano le scarpe, perché quel prato non era frequentato dagli animali. Si alzò e scappò via da quel giovane per rifugiarsi da sua nonna.

Quanto pianse, la bella Tea, la nonna non sapeva come consolarla e si limitò a tenerla stretta per proteggerla da quel mondo dei grandi al quale si stava affacciando.

Tea smise di piangere solo una volta entrata nella stalla per accarezzare Sabatina, che era tra le bestie più longeve. La vacca continuò placida il suo ruminare ma qualcosa metteva in mostra il suo apprezzamento al contatto delle mani di Tea.

Quell’animale ti ama.

La voce giovane ma salda del ragazzo la fece sussultare. Non si era accorta che qualcuno era entrato.

Chi sei? Chiese Tea.

Cercavo tuo padre. Sono Tito il nipote del sindaco. Domani questi se ne andranno, finalmente. Questa sera vorrebbero organizzare una riunione di commiato al palazzo vecchio del comune.

Tito prese a carezzare con energia Sabatina e arrivò perfino a stampare un bacio sul manto lucido dell’animale, sussurrando: sei davvero una bella bestia.

Tea gli chiese: Non ti da fastidio la puzza?

Quale puzza? Questa stalla è più pulita di una corsia d’ospedale. Non c’è nessuna puzza. Poi sorrise, i suoi occhi erano profondi e neri come due pozzi in un giorno di pioggia.

Tea ci si perse in un momento.

Poi Tito la salutò e si girò.

Tea lo chiamò e gli chiese:

Ti piace il latte?

Lo amo. Fu la risposta di Tito.

Ti piacerebbe assaggiare i biscotti di mia nonna? Sono i migliori del mondo…

Ok.

Allora vieni su in casa.

Il giovane la seguì nella casa, dove sua nonna stava cantando una vecchia canzone.

 

Tea ha quasi diciassette anni, i capelli color paglia lasciata al sole, un grande amore per le sue mucche e la passione per i biscotti della nonna.

E la fiamma di un'altra passione, appena nata nel suo cuore.

 

 

 





giovedì 22 giugno 2023

La seconda vita di Rosa

 






Come ti trovi qui?

La domanda è retorica e molto umana.

Lei, se di lei si può ancora parlare poiché in questo posto il genere è un concetto del tutto antropico, non sa come rispondere.

Qui è tutto magnifico, tutto perfetto.

Mai, in nessun modo concessole, avrebbe sperato di trovare tutto ciò che la avvolge. Perché dove è adesso, sempre che di concetti come adesso, prima o dopo si possa parlare perché anche questi concetti fanno parte dell’effimera e breve vita terrestre, dov’è adesso, dicevamo, tutto avvolge e si è parte di tutto.

L’impatto è stato magnifico e allo stesso modo devastante.

Perdere in un istante tutte le convinzioni, le certezze, le acquisizioni apprese durante una vita intera potrebbe essere drammatico ma di fronte alla conoscenza e alla realizzazione di ciò che si è divenuti, diventa facile e dolce il trauma del passaggio e si ha la consapevolezza che nessun termine di qualunque lingua, dialetto, idioma mai apparso, possa descrivere questa emozione.

Detto questo, l’entità piena di luce rinnova la domanda.

Come ti trovi qui?

Allora l’anima (non è accordato definirla altrimenti, sulla base dei miei limiti) prova a rispondere.

Qui è infinitamente meglio di quanto potessi mai chiedere, quando ero una persona e pregavo, non avrei mai potuto immaginare questa bellezza, questa pace.

La risposta è affrettata ma l’entità appare soddisfatta.

Lei lo capisce ed entra immediatamente a far parte di questa soddisfazione.

Ho potuto ritrovare l’essenza più intima delle persone che mi erano mancate e questa è fonte di gioia.

Anche questa precisazione provoca soddisfazione in questo mondo, nel quale spazio e tempo non esistono ma abbondano le sensazioni.

Ricordi il tuo nome? Chiede l’essere che tuttavia non nasconde la capacità di conoscere tutte le risposte alle domande passate, presenti e future.

Sì, certo, risponde lei, ricordo tutto, il mio nome, i momenti felici e anche quelli amari ma questi ultimi non mi danno più dolore.

Sai che dovrai scegliere cosa diventare?

Mi sembra di saperlo così come mi sembra di sapere infinite cose da quando sono qui.

La luce circonda tutto e permette di vedere oltre l’essenza delle cose fisiche.

Allora avrai capito che puoi scegliere. L’eternità è un periodo molto lungo senza un compito da portare a termine, detto in vocaboli molto umani.

Rosa o perlomeno colei che è stata Rosa, apprezza il modo in cui quell’entità così potente e magnifica, si è approcciata, quasi come se fossero due comuni persone che parlano, dopo un incontro in una via di paese.

Il concetto di paese applicato all’universo le pervade i sensi di una muta e allegra risata.

Sì, ho pensato cosa vorrei diventare.

Ti avverto, si tratta di un compito di grande responsabilità. Nessuno può obbligarti e saresti comunque nella grazia e nella pace anche se non volessi farlo.

Ma io voglio.

Bene. Allora presto vedrai molto meglio e saprai ancora più cose.

Lei appare quasi incredula che si possa vedere meglio di così ma è felice di sentirlo pronunciare.

Sai già di chi dovrai prenderti cura?

Mi sembra di avere capito e non sai quando mi renda felice.

Credimi, lo so. E so che svolgerai bene i tuoi compiti.

In termini umani siamo sempre stati soddisfatti di come hai condotto le cose, della serietà e dell’impegno e della preghiera con cui ci hai sempre affidato tutto. Non potrai che fare bene.

Rosa è entrata da poco in questo mondo ma già la sua luce è incredibilmente potente.

Tra le cose che saprai ci sono i dettagli umani, la bimba nascerà tra poco meno di un anno, porterà con sé gioia, amore e sapienza e così sarà chiamata.

Sarà il sole della sua famiglia e porterà con sé, come fanno tutti i nuovi nati, l’odore e il sapore della magnificenza di cui disponiamo qui. Tu dovrai essere pronta per quel momento.

L’entità un tempo chiamata Rosa è consapevole, sa che sarà pronta e sapere che avrà questo compito è per lei un’ulteriore benedizione.

Secondo concetti prettamente secolari, il perpetuarsi di una famiglia attraverso una nascita è uno dei doni più preziosi che ci siano e sapere che accadrà nella sua famiglia, la colma di gioia.

Bene.

Lei è attorniata da quanti formavano la propria famiglia in vita e che la attendevano per esultare della sua presenza e ora che le è stato affidato questo compito prezioso, aumenta ancora, se possibile, la sua felicità.

S’immagina che sulla terra qualcuno possa fantasticare di lei come un essere dotato di grandi e candide ali, come siamo ingenui e ignari prima di giungere in questo mondo, e il pensare all’essere con le ali la farebbe ridere ma qui concetti come pensiero e risata sono limitanti perché semplicemente fanno parte dell’essenza di tutte le cose e sono costantemente parte anche di lei.

È felice di poter custodire questa bimba che verrà e sarà felice di poterlo fare quando nascerà una bimba da questa e per quella che verrà ancora dopo, senza limite di tempo.

Né di amore.

È questo che fanno gli angeli.








domenica 18 giugno 2023

Le paure di Querida

 





Mamma, non riesco a dormire.

La cameretta è invasa da giocattoli e vestiti in ogni dove e l’aria è satura di paura.

Querida ha gli occhi arrossati come chi ha pianto da poco e il respiro affannato come se avesse fatto una corsa. Il suo letto è un turbine intricato di lenzuola.

Vieni, piccola mia, lasciati abbracciare.

Susanna è accorsa appena il pianto della piccola l’ha richiamata dal mondo dei sogni.

Avrai fatto un brutto incubo, ora passa tutto.

La bimba non smette di singhiozzare.

No, mamma, non è stato un incubo, non riesco a dormire…

Querida mia, vorresti venire nel lettone?

No, mamma. Preferisco restare nella mia cameretta, solo lascia la luce accesa perché sono le ombre a farmi paura.

Susanna ci rimane un po’ male, le piace quando la sua cucciola va a riparare nel suo letto, quando si lascia stringere e consolare in un caldo abbraccio che serve in realtà ad ambedue. Ma ultimamente Querida non cerca più il contatto fisico come quando era più piccola.

La stringe a sé e dondola leggera ascoltando il respiro della bambina che rallenta e diventa più silenzioso.

Mamma?

Cosa c’è piccola mia?

Perché papà ci ha lasciate?

Susanna accusa il colpo, sente una lama di ghiaccio ficcarsi nell’anima e per un momento non riesce a parlare, poi si riscuote.

Papà non ti ha lasciata, ha lasciato solo me.

La bambina tira su col naso, non è soddisfatta e insiste.

Sì ma, perché l’ha fatto?

Perché non ci amavamo più, non voleva più vivere con me, ma non per questo ha smesso di volerti bene, anzi, te ne vuole tanto.

Ma se mi vuole tanto bene, perché non viene la notte, quando le ombre mi fanno più paura?

Susanna vorrebbe parlarne, liberarsi, sfogarsi ma la sua bimba ha solo tre anni e domani dovrà andare all’asilo. Non può permettersi che una notte insonne la tenga a casa.

Non ci pensare ora, Querida, vieni a dormire con me, nel lettone di mamma c’è tanto posto.

Susanna sa che la bimba la seguirà e che si addormenterà presto, come fa sempre. Ma pensa con amarezza che tutto quel vuoto pesa a entrambe e che le ombre che nella cameretta hanno spaventato Querida, in camera da letto sono solo più grandi e spaventano anche lei.

Solo che lei è un’adulta e come tale si deve comportare. Deve pensare in maniera razionale, deve consolare sua figlia e non può lasciarsi andare a pianto e singhiozzi come se fosse una bambina di tre anni.

Vorrebbe dire a sua figlia che anche lei è terrorizzata da ombre che le scorrono tutta la notte ma anche tutto il giorno davanti e infestano le sue giornate. Vorrebbe chiedere di avere qualcuno cui aggrapparsi, da cui rintanarsi quando la notte si fa più buia.

Ma lei è una madre e le madri sconfiggono le ombre.

Quindi si porta sua figlia nel lettone e lascia la lampada accesa.

Mamma?

Dimmi Querida.

Un giorno papà tornerà?

Di nuovo la sensazione di quella lama gelata.

Non lo so se tornerà da me. Non credo. Ma di sicuro tornerà da te e non ti lascerà mai.

Ne sei sicura?

Si Querida, e vuoi sapere perché io lo so? Perché anche papà, proprio come me, ha bisogno di te e non può fare a meno di abbracciarti.

Al momento le ombre sono scomparse, dissolte. Fantasmi e mostri non esistono quando c’è una madre che ti tiene tra le sue braccia.

Querida si addormenta con un’espressione serena sul faccino e osservandola, anche Susanna torna ad addormentarsi.

Nella camera nessuna ombra osa affacciarsi.

 

 





sabato 17 giugno 2023

Pandora

 





 

La prima volta che sentii Paolo cantare fu alla festa di Natale dell’azienda, un anno fa.

Me lo trovai di fianco per caso, e fu una sorpresa.

Era con noi da poco e aveva una voce meravigliosa.

Credetemi, io canto da una vita, cori parrocchiali e karaoke ma anche in una corale di gospel e di voci ne ho sentite, ma Paolo aveva un timbro incredibile e un’intonazione rara.

Alla festa che era seguita, mi avvicinai e glielo dissi. Lui sorrise imbarazzato e non sapendo cosa rispondere si allontanò. Paolo lo vedevo quasi tutti i giorni, alla sua scrivania, sempre serio e concentrato sul lavoro, ordinato e composto, con i capelli a spazzola e senza un’ombra di barba, sempre perfetto.

Era difficile entrare in comunicazione con Paolo, troppo timido, troppo chiuso. Si limitava allo stretto necessario, usava modi cortesi e educati per le comunicazioni di lavoro e i saluti. È sempre stato molto gentile e piacevole ma non era uno che trovavi alla macchinetta del caffè a chiacchierare di calcio o di auto con gli altri colleghi, il lunedì mattina.

Intuivo che c’era qualcosa che nascondeva e non ci avrebbe mai raccontato.

Ma noi donne sappiamo essere caparbie, quando vogliamo.

Dopo diversi tentativi e approcci per approfondire quello che era un asettico rapporto di lavoro, tutti inevitabilmente andati a vuoto, mi ero convinta di lasciar stare, cosa m’importava di quell’uomo, se era lui a non aver piacere ad aprirsi e a confidarsi con i suoi colleghi d’ufficio, allora che se ne restasse nel suo mondo.

Mi ero immaginata che fosse un tipo ossessivo, con una personalità immatura, incapace di accettare un contatto umano o di provare empatia verso le altre persone, una specie di maniaco che forse viveva ancora con gli anziani genitori e si lasciava trattare come un adolescente.

 

Poi questa primavera, al compleanno del capo, ordinammo una mega torta e cantammo il classico motivetto di auguri. Mi piazzai davanti a Paolo e le mie orecchie furono nuovamente deliziate da quella voce meravigliosa. Due ottave più alta della media maschile, leggermente roca e dolcissima, mi ricordò quella di Freddie Mercury!

Mi voltai e gli chiesi: Tu sei un cantante?

Lui si schernì e mi rispose arrossendo: No, no, canto solo in queste occasioni.

Fu la frase più lunga che mi aveva detto in sei mesi.

In quel preciso momento decisi che dovevo scoprire cosa nascondeva Paolo a noi colleghi. Sapevo che non erano fatti nostri, fatti miei. Ma la curiosità era tanta e quel giovane così taciturno e riservato era tanto misterioso quanto intrigante.

Certo che doveva essere un abitudinario di quelli tosti. Mai un ritardo al mattino, mai una volta che si fermasse alla fine del turno. Inforcava il suo scooter e spariva nella sua nebulosa vita per poi riapparire il mattino dopo puntuale come un orologio a cucù svizzero. Avevo deciso di seguirlo e quella sera presi anch’io il motorino, un cinquantino sgangherato della mia amica Silvia, con l’auto sarebbe stato impossibile stargli dietro. Paolo abitava a pochi chilometri, in un quartiere chiassoso, pieno di negozietti di souvenir e mercatini, pieno di chiasso e pedoni. Tutto molto pittoresco, i vicoli stretti, affollati da gente rumorosa e con le piante rampicanti che scendevano dai balconi.

Paolo entrò in un portone lasciato aperto e sparì alla vista. Spensi in mio catorcio e lo appoggiai a un muro scrostato. Non avevo un piano. Cosa mi ero messa in testa di fare non lo sapevo nemmeno io. Decisi che quei vicoli mi piacevano e ne avrei approfittato per cenare con un bel gelato doppio in barba a tutte le diete. Avrei aspettato di vedere se Paolo fosse uscito e in caso negativo me ne sarei tornata a casa.

Finito il gelato, bighellonai per quelle stradine, comprai un paio di braccialetti di legno, fui approcciata da due giovani ma se ne andarono presto con le braccia sulle spalle a tenerli uniti.

Quella zona mi metteva di buon umore, non sapevo perché. Mentre tornavo verso il motorino, vidi lo scooter di Paolo che usciva dal portone. Per poco non me lo persi, riuscii a mettere in moto, pedalando come una forsennata e a stargli dietro senza farmi vedere. Il sole era calato e la città aveva acceso le sue luci. Lampioni che si rincorrevano veloci, saracinesche di negozi che calavano, insegne luminose che proiettavano luce sui viali. Paolo rallentò e parcheggiò lo scooter, il traffico era intenso e riuscii a vedere dove era entrato, La porticina di legno fiancheggiava un disco pub dall’insegna sgargiante. Musica dal vivo, diceva la scritta in vetrina.

Fui sul punto di andarmene ma alla fine decisi di entrare.

Poca gente ai tavolini, un cameriere dagli occhi verdi e i modi molto effemminati si avvicinò e mi chiese: Che cosa bevi, amore?

Sorrisi a quella confidenza, chiesi una birra leggera e mi sedetti.

Dopo mezz’ora i tavoli erano affollati, l’atmosfera era festosa e le luci basse.

Si accese un riflettore che illuminò un palco e il cameriere di prima annunciò con orgoglio l’uscita di Pandora, la queen con la voce più bella della città.

Da una tenda rossa uscì un’artista stupenda. Con un vestito nero e lucido che fasciava i fianchi stretti, da cui scaturivano due sbuffi di tulle nero a coprire le spalle e che si apriva verso il basso in una larga gonna a pieghe che toccava il pavimento e si allungava dietro in un breve strascico, mostrava il suo magnifico volto una bellissima creatura che sfoggiò il suo sorriso perfetto, arricchito da un rossetto importante e da un trucco deciso. La parrucca di capelli corvini sfoggiava un’acconciatura complessa fatta di trecce legate in alto da un fiocco. Quell’apparizione, sul piccolo palco, manifestò una bellezza fuori dal comune e una sensualità irresistibile. Attirò da ogni lato applausi, fischi e grida di apprezzamento e quando finalmente gli applausi terminarono partì la base musicale e iniziò il canto.

Ogni sguardo in quel locale, compreso il mio, era concentrato sulla cantante, ogni orecchio deliziato, ogni cuore infranto.

Pandora terminò la sua performance improvvisando un duetto col pubblico, pieno di energia e provocazione e i presenti non si fecero pregare. Li aveva rapiti e conquistati tutti.

Quella voce era qualcosa di straordinario.

Ed io la conoscevo.

Tornai a casa col motorino della mia amica ma quella notte dormii poco.

Come avrei fatto a dire a Paolo che conoscevo il suo segreto?

Per giorni lo osservai, alla sua scrivania, senza avere il coraggio di salutarlo, pensavo che non fosse giusto intromettermi così nella sua vita privata.

Poi, un bel giorno, fu lui che venne da me.

Mi sentii imbarazzata e confusa. Gli chiesi come potevo aiutarlo.

Mi sorrise e mi rispose:

Mi ha fatto felice vederti al pub. Davvero. Mi chiedevo se ti sia gradito lo spettacolo, se tornerai e se ti sia piaciuta Pandora.

Arrossii e ammirai il suo coraggio. Non doveva essere facile per lui.

Decisi di arrendermi e di essere sincera.

Sì, lo spettacolo mi è piaciuto ma Pandora no…

Paolo mi guardò perplesso.

La verità è che mi sono innamorata di Pandora!

Allora sorrise e fu il primo sorriso in poco più di un anno che eravamo colleghi.

 

 

 




domenica 11 giugno 2023

L'ultimo giorno di scuola

 





Olivia se ne sta seduta sul muretto a osservare la scena e a godersi la solitudine.

Dalla piazza si leva una moltitudine di voci gioiose e di urli di ringraziamento.

L’ultimo giorno di scuola è per molti una liberazione e anche per Olivia lo è, anche se per motivi diversi.

Lei non vorrebbe che la scuola finisse, le piace studiare, è brava in quasi tutte le materie e poi gli insegnanti non la deridono per il suo aspetto, almeno non davanti a lei.

Per lei l’ultimo giorno di scuola rappresenta la fine, seppure temporanea, di scherzi e brutture, d’isolamento e bullismo, di frecciatine e ingiurie.

Nonostante la fatica dei professori, i deficienti in classe e nei corridoi la vincono sempre.

Ora, seduta ai margini della piazza, osserva le ragazzine che schiamazzano e si schizzano con l’acqua della fontana, strette nei loro top neri e aderenti, con le pance piatte e gli ombelichi adornati dai piercing, con le gambe magre e lunghe inguainate nei leggins, con i loro fisici asciutti e acerbi, fasci di ossa e tendini, pertiche e canne soggette ai soffi di vento.

Una è in pantaloncini corti e neri e calze a rete a maglie larghe. Si è contornata gli occhi con un eyeliner nero!

Sembra Mercoledì Addams anoressica al ballo scolastico.

Urlando, s’inseguono, si lanciano gavettoni d’acqua raccolta in bottiglie di plastica, in palloncini, in contenitori di fortuna, un ragazzino usa perfino il portapenne vuotato del suo contenuto.  Ridono felici e leggeri, ricchi di un’improvvisa libertà e dotati di una freschezza che li fa sentire immortali.

Giocano a inseguirsi, ad acchiappare i compagni, a spingersi, i più maliziosi approfittano per assestare una palpata sui sederi magri e sui petti precoci e ancora piatti.

Olivia no.

Lei non gioca con gli altri.

Se ne sta lì per non arrivare troppo presto a casa e doversi sottoporre alle domande sconvenienti e imbarazzanti della madre.  Se ne sta lì perché Martina, la sua migliore amica, la sua unica amica, l’ha convinta a esserci, la festa per la fine dell’anno scolastico è troppo divertente e importante perché sia disertata.

Si è fatta convincere ma è già pentita e ora che qualcuno si è accorto che lei è ancora completamente asciutta è troppo tardi.

Bagnamo Olivia! Prosciughiamo la fontana!

Urla qualcuno e subito uno sciame di ragazzini la circonda e la schizza, la investe con bicchierate piene di acqua fredda e le inzuppa capelli e vestiti e lei si costringe a ridere per non essere solo vittima passiva ma per sembrare partecipe divertita di quel gioco scemo.

Prova a sperimentare una complicità che suona di falso e, infatti, non inganna nessuno.

Finalmente il gioco finisce e i più fanno rientro a casa in piccoli gruppi o a coppie.

Olivia scende dal muretto e imbocca il viale. Martina abita dalla parte opposta e la saluta alzando il braccio, Olivia le risponde con un cenno della testa. Non alza mai la mano perché si vergogna della carne in eccesso che ballonzola molle e bianca dal suo braccio nudo.

Olivia rientra a casa così bagnata che sua madre sarà contenta. Contenta che la figlia sia stata finalmente inclusa in quella tribale usanza scolastica, che abbia fatto un passo verso quell'integrazione cercata per tutto l’anno e mai trovata.

Lei glielo lascerà pensare, mentre si chiuderà in camera sua a cambiarsi il vestito.

 

Olivia questa primavera ha sfiorato i novanta chili di peso e indossa solo palandrane e mantelli che sembrano sacchi.  Enormi sacchi per immondizia, per nascondere al mondo le sue forme e non dover ripugnare gli altri oltre che sé stessa

 Sua madre le urla che il pranzo è pronto.

Perché oggi urlano tutti? Pensa Olivia. Si pettina i capelli e si aggiusta la coda di cavallo uscita dall’elastico e finalmente arriva a tavola.

Pensa per un momento di rinunciare al primo, sua madre proprio non ce la fa a capire, poi decide che ha troppa fame e resta in silenzio a masticare.

Per festeggiare la fine della scuola ho preparato il tiramisù!

La mamma di Olivia è piena di amore e sollecitudine verso la sua bambina e non si accorge che Olivia è piena e basta.

Su, Olly, non fare quella faccia, domani riprenderemo la dieta, oggi non ci pensare.

E Olivia, che è una ragazza ubbidiente, prende una porzione di dolce e non ci pensa più.

Ha tutta l’estate per fare la cura dimagrante.

Perché proprio oggi che è l’ultimo giorno di scuola?