domenica 29 luglio 2018

luoghi insoliti: Emivita

luoghi insoliti: Emivita: Emivita: In farmacologia, il tempo che occorre perché la concentrazione di una sostanza farmacologica nel sangue si riduca alla metà...

Emivita








Emivita: In farmacologia, il tempo che occorre perché la concentrazione di una sostanza farmacologica nel sangue si riduca alla metà del valore iniziale. (Definizione Devoto Oli 2008) 



Ettore era andato allo scaffale alto a tirare giù il pesante volume per capire meglio quella parola ostica. Da ragazzo, con gli amici, si divertiva a fare un gioco. Sceglievano dei termini il più possibile sconosciuti e provavano a darne, in forma anonima, una definizione credibile. Più era verosimile e più era votata dal gruppo. Ovviamente vinceva chi raccoglieva il maggior numero di punti.

Erano anni che non ripensava a quel passatempo e quella parola trovata per caso in un articolo glielo riportò alla mente.

Pensò che ora avrebbe volentieri giocato con i vecchi amici. Avrebbe pensato una definizione diabolica, qualcosa di assolutamente plausibile, qualcosa alla quale tutti avrebbero sottoscritto senza tentennare.

Emivita… gli piaceva molto quel vocabolo mutuato forse dalla fisica.
Emivita.
Con un po’ di fantasia, quel termine si sarebbe potuto definire come un periodo dell'evoluzione delle persone, come l’infanzia o l’adolescenza. Solo che l’emivita compariva tardi, verso i quaranta e i cinquanta. A metà vita, infatti.
Ettore pensò che lui fosse nel pieno di quella fase. A metà per l’appunto.
E questo pensiero lo fece disorientare un momento. A metà? Ma chi lo aveva detto?
Poteva accadergli qualunque cosa, un incidente o una malattia che fosse in grado di abbreviare quella stima.
Con terrore ripensò alle cose fatte e a quelle, tante, ancora da fare.
Non voleva fare bilanci, i bilanci si fanno al termine, mentre lui era nel pieno… dell’emivita.

Ecco, visto? Funzionava!

Meglio pensare ad altro. Meglio ideare una diversa definizione.

Emivita come vita parziale, vita non vissuta appieno. Vita lasciata scorrere passivamente, delegando ad altri la responsabilità di decisioni importanti, di scelte decisive.
Emivita come filosofia del non impegnarsi, guardare il corso delle cose come uno spettatore al cinema.
Vita fatta di rinunce e di occasioni mancate come quando lui aveva rinunciato a frequentare un corso all’estero che gli avrebbe aperto le porte a nuove opportunità. Come quando un amico aveva presentato domanda per lavorare su una nave di lungo corso e gli aveva proposto di fare altrettanto ma Ettore aveva scelto una strada più comoda e soprattutto più vicina.
Come quando si era sposato nonostante avesse mille dubbi perché sapeva che quella del “sistemarsi" sarebbe stata la scelta più gradita da tutti.

Tante strade evitate, tante decisioni rimandate, tante svolte mancate. Una vita a metà, un’emivita, precisamente!

Ma Ettore non avrebbe votato nemmeno questa definizione perché ingiusta, perché incompleta.

Ettore sapeva che la definizione giusta era e sarebbe stata sempre quella del dizionario.
Quanto a lui, era felice così, stava bene ed era soddisfatto.

Il passato era certo molto importante ma ancora più importante erano i giorni che sarebbero venuti.

Lui era pronto.
E come a dimostrare ciò a se stesso, recitò nella sua mente la frase:

Tre, due, uno… si parte!




domenica 22 luglio 2018

Tre giorni







Norman è un tipo molto regolare. Un abitudinario.
Un brav'uomo senza dubbio, uno bene educato, un lavoratore corretto e puntuale e un marito devoto e presente.

Norman non ha mai dimenticato una ricorrenza, un compleanno, un anniversario. Sua moglie Lara è al primo posto, non le mancano cioccolatini e fiori. Mai!

Lara pensa che suo marito sia il meglio che una donna possa trovare. Lui la ama, la venera, la colma di attenzioni e di regali. Sempre!

Quello che le manca sono le sorprese, i colpi di testa, i battiti di cuore accelerati, le deviazioni improvvise dalla quotidianità.
Norman, fedele al suo nome, è una persona troppo normale, troppo stabile, non è capace di un colpo di scena.

Si avvicina il compleanno di Lara e lei si aspetta la solita camicia, il solito mazzo di fiori, la solita cena al ristorante. 

Norman quest’anno la sorprende.
Lei si lascia guidare per mano con gli occhi bendati. Lui la conduce sulla soglia di casa e le toglie la benda con un movimento delicato.

Lara, stordita da questa sorpresa e dalla modalità non insolita ma totalmente nuova, subito non vede nulla poi si accorge che dall’altra parte della strada c’è un’auto parcheggiata e dentro l’auto le sue due migliori amiche che stanno ridendo come matte.

Questa volta Norman è riuscito a stupire sua moglie Lara.


-Tre giorni al mare, tutti per noi, ma ci pensate?
-Quando tuo marito l’ha proposto, non riuscivamo a crederci!
-Tutto pagato, spiaggia, SPA e Resort con casinò compreso!

Lara è stupefatta, guarda fuori dal finestrino mentre la sua amica Chicca guida felice e seduta dietro Marzia, euforica, le fa il solletico e lancia commenti piccanti dietro gli uomini che passano.

Tre giorni tra donne, tre giorni da trascorrere in spensieratezza, prendendo il sole, sorseggiando Martini, puntando alla roulette, flirtando con i giovani esuberanti turisti!

Tre giorni dove tutto è concesso, tutto è possibile e non ci sono marito o fidanzati a guastare la festa, a frenare le risate che scaturiscono per niente, tre giorni in cui si può far tutto senza freni, senza rimorsi!

Tre giorni per godere della vacanza, per ballare fino a tardi e magari ubriacarsi, per colmare la mente e il cuore di estate e di sabbia prima di rientrare in città, al lavoro e alla solita routine.

Tre giorni per essere chi non si è mai stato, per staccare la spina e abbandonare la vecchia vita, per spegnere il cellulare ed evadere dalla realtà senza lasciare traccia.


E quando i tre giorni finiscono Norman si aspetta di vedere apparire l’utilitaria di Chicca davanti alla porta di casa ma questo non avviene.
Questo preoccupa molto l’uomo che fino a quel momento aveva evitato di chiamare la moglie per non disturbare quella vacanza tra amiche.

Ora, quando digita il numero risponde la voce automatizzata dell’operatore a dirgli che sua moglie non è al momento raggiungibile, ma allora quando?

E quando la macchina di Chicca parcheggia davanti alla casa di Norman e le due amiche nell’abitacolo litigano perché nessuna vuole essere quella che gli parlerà, che cercherà di far capire quello che è successo senza far impazzire quel marito tradito e abbandonato, lui nemmeno se ne accorge perché troppo preso dalla voce dell’operatore telefonico che lo avverte che Lara ha il telefono spento.

Al momento non è raggiungibile, ma allora quando? 













sabato 14 luglio 2018

luoghi insoliti: Inutili brevi ritorsioni

luoghi insoliti: Inutili brevi ritorsioni: A Tina mancano quattro o cinque anni per andare in pensione. Forse cinque, pensa disperata. Non ne può più di stare die...

Inutili brevi ritorsioni










A Tina mancano quattro o cinque anni per andare in pensione.
Forse cinque, pensa disperata.
Non ne può più di stare dietro quel maledetto sportello. Tutti i giorni le stesse banali domande, tutti i giorni gli stessi stupidi utenti che ti guardano con la loro faccia ebete e si arrabbiano perché non hanno capito la risposta.

Come se non bastasse Tina ha una madre di settantotto anni che la chiama per qualsiasi cosa. Una madre con un carattere impossibile. Una madre molto cattiva.

Nel bel mezzo della mattina lavorativa Tina è costretta a interrompere il servizio per rispondere al cellulare.

- Non vede che sono occupata? Stia un momento lì e aspetti in silenzio!
Urla da dietro il vetro.

L’uomo è molto anziano e sussulta quando si sente redarguire a quel modo. Non gli era mai capitato prima. Non lo meritava. Si era rivolto gentilmente a quella donna allo sportello ma per tutta risposta era stato trattato peggio di una bestia.

L’uomo si chiama Camillo, è una persona mite, prende la cardioaspirina e un altro farmaco per il ritmo. E’ evidente che le terapie non lo proteggono abbastanza perché abbandona lo sportello e mentre Tina ancora parla al telefono con l’anziana madre, si dirige all’esterno alla ricerca di aria fresca da respirare e, appena fuori, si porta le mani al petto e stramazza in mezzo alla strada.
Dentro l’ufficio la coda avanza con sollievo.

Vittoria ha settantotto anni ed è ancora abituata a fare quello che le viene meglio da tutta una vita: impartire ordini.
-Devi venire, ho bisogno del mangime per i canarini, mi devi bagnare le piante sul terrazzo, non ho chi mi faccia la spesa… non è perché sono anziana che ora mi abbandonate… manda tuo figlio, quel debosciato, si… facciamolo muovere che passa le giornate tutt’uno col divano e quel suo telefonino!

Vittoria non è una abituata a sentire ragioni, nemmeno quando la figlia le risponde che sta lavorando e che ora non può parlare!


Alberta si sente un po’ in colpa, suo padre Camillo non dovrebbe andare in giro da solo, è anziano e malato. Ma lui insiste, vuole rendersi utile e lei lo lascia fare, affinché lui si senta ancora d’aiuto, in effetti la sta aiutando poiché è andato a sbrigare una noiosa incombenza burocratica che nessuno avrebbe voglia di eseguire.

Quando Alberta risponde al telefono è come se le parlassero da un altro pianeta.

L’ambulanza arriva dopo un quarto d’ora. Gli inutili presenti coprono d’insulti barelliere e autista, non danno una mano e a malapena si spostano rendendo il soccorso un disastro. La vittima, un uomo molto anziano che respira a fatica, viene caricata sulla lettiga e trasportata all’ospedale più vicino.

Robi è un diciassettenne lungo e ossuto, cinquanta chili bagnato, pallido e stupido come molti tra i suoi compagni di classe.
Un ragazzino senza fantasia né ambizioni. La sua vita sociale e tutte le attività ludico-motorie stanno racchiuse in quello che è diventato un’appendice del suo corpo, il suo telefonino.
Ma stamattina la madre gli rompe le palle così tanto che sarà costretto a uscire da casa per andare a trovare quella megera di sua nonna Vittoria, una tirchia di prima categoria che non gli ha mai sganciato un euro extra… ma non si può mai sapere!


Tina è esasperata. Blocca nuovamente la fila ed entra in pausa. La gente mormora e lancia insulti pesanti. Lei li ignora com’è abituata a fare e chiama il figlio a casa.
-Devi andare da tua nonna! Devi andarci ora! Scolla il culo da quel divano e molla i videogames… Non te lo ripeterò due volte. Se mi chiama un’altra volta ti taglio i viveri, capito?
Il ragazzo sembra avere capito. Bofonchia qualcosa che nella sua lingua significa: Sì mamma, vado subito.
Intanto fuori tuona che è una bellezza.

Alberta guida raramente, di solito usa i mezzi pubblici o pedala la sua bicicletta. Ora tira fuori la vecchia utilitaria di suo padre, sale a fatica la rampa dei garage facendo ingolfare il motore mentre grossi lacrimoni le scendono sulle guance. Curva entrando in strada salendo sul marciapiede con la ruota posteriore e striscia due auto parcheggiate lasciando come firma sull’asfalto lo specchietto retrovisore esterno.
Non perde nemmeno tempo a fermarsi per osservare il danno.

Robi scende in cortile trascinando i piedi. Sa già che sua nonna non sarà generosa, anzi approfitterà della sua visita per riempirlo di rimproveri e per rinfocolare il suo senso di colpa.
Non vieni mai a trovarmi… non vuoi bene alla nonna… cose del genere.
Robi mette in moto il vecchio scooter e parte con poca convinzione. Non ascolta i tuoni.

Alberta guida a tutta velocità, per quanto possibile al vecchio catorcio, perché in ospedale le hanno detto che il tempo è poco e suo padre è grave. Ha gli occhi pieni di lacrime e come se non bastasse il temporale è arrivato colorando di grigio il giorno.
Purtroppo, proprio mentre la pioggia diventa un rovescio violento, i tergicristalli smettono di funzionare rendendo la visibilità una speranza…

Tina da dietro il suo sportello pensa a suo figlio e spera che Robi abbia guardato il cielo, pregando che non abbia pensato di usare il motorino proprio oggi.


Vittoria è arrabbiata e rancorosa, Alberta è ansiosa e disperata, Tina è maleducata e irritabile, Camillo è incosciente e intubato, Robi è distratto e annoiato. Il botto è inevitabile.


Nessun testimone, nessuno fa caso al motorino rovesciato sotto quel diluvio, un tuono copre ogni rumore, Alberta nemmeno se ne accorge, Robi sì.

Aspetta incosciente molti minuti, sotto la pioggia, che l’ambulanza, la stessa di prima per un diabolico caso, venga a raccoglierlo.


La sera stessa nella sala d’attesa al primo piano dell’ospedale ci sono due donne sedute. Non hanno cenato. Piangono in silenzio.
Si guardano, poi si siedono vicino.

-Sa, mio padre è grave, forse non ce la farà…
-Io sono qui per mio figlio, è in rianimazione in prognosi riservata…

Conversano così. Senza nemmeno ascoltarsi. Poi proseguono.

-Mi dispiace per il suo ragazzo…
-Sono addolorata per suo padre…

-Dicono che abbia avuto un attacco dopo essere stato maltrattato a uno sportello, vorrei sapere chi ci lavora…
-Il mio Robi è stato investito da un pirata della strada. Spero che lo trovino…

Per un momento si osservano senza dire una parola.

Poi tornano a piangere. 

Stavolta su due sedie lontane.



sabato 7 luglio 2018

quell'estate non si parlava d'altro








Quell’estate non si parlava d’altro in viale dei Pini.
Anche se a dire il vero l’estate stava chiudendo i suoi giorni, non si sarebbe parlato d’altro almeno fino alle feste Natalizie.

Quando Tobia nacque tutte le neomamme del nido si giravano, non viste, a guardarlo e molte dedicavano poco tempo al proprio bimbo per ammirare con colpevole invidia quello spettacolo di neonato.
Questo fenomeno non riguardò i genitori di Tobia, per i quali il figlio era sì il più bel bambino del mondo al pari di altri genitori innamorati.

All'età di sei anni Tobia andò a scuola.
Le varie maestre che, a causa del precariato, si avvicendarono durante la scuola primaria, non riuscirono mai a non considerarlo un bambino speciale, a non trattarlo con una particolare cortesia, ammaliate dall'eccezionale bellezza del pargolo. Molte mamme iniziarono ad accompagnare i propri figli in classe ma appena varcata la soglia si attardavano ad ammirare Tobia.

Questo problema lo seguì anche durante il ciclo delle medie per poi peggiorare durante le superiori. Ragazze di tutte le età e delle varie classi inciampavano per le scale, sciamavano nei corridoi, perdevano lezioni tra risolini imbarazzati. Alcune a costo di fallire interrogazioni e di perdere anni scolastici! Tutte le studentesse della scuola, compresi molti maschi, avevano una cotta per Tobia che continuava ad andare per la sua strada senza fare troppo caso a nessuno di loro!

Già. Perché Tobia non mostrava nessun interesse per le altre ragazze, né per i ragazzi. Tobia in tutti gli anni della scuola non era riuscito ad allacciare lo straccio di un’amicizia, non aveva mai voluto bene a nessuna maestra.
Qualcuno lo avrebbe definito anaffettivo, ma non avendo problemi o sintomi particolari, Tobia non era mai stato valutato da un medico o da uno psicologo.
Perché farlo, visto che, se c’era mai stato un bimbo che piaceva a tutti, era proprio lui.

Mai un problema, mai un richiamo, tutti e tutte volevano fare i compiti, studiare, giocare con Tobia ma a lui semplicemente non interessava la compagnia e stava bene da solo.

Una volta entrato nel mondo universitario, alla facoltà tutti iniziarono a girarsi al passaggio di quest’Apollo, studenti e studentesse, docenti e personale, donne delle pulizie e conducenti di autobus.
Tobia non ascoltava i commenti, non prestava attenzione alle frenate e ai vetri infranti agli incroci, non si curava di fischi e richiami né dei continui sguardi lascivi, ammiccanti e complici e tantomeno degli inviti sia impliciti sia espliciti.

Certo, con quegli occhi verde ghiaccio, impossibili da evitare, quella fronte alta e quei capelli color della paglia, quella pelle perennemente abbronzata che lo faceva sembrare un marinaio appena sbarcato, quella rada barba che gli scuriva e gli rendeva maturo il viso, avrebbe potuto trarre vantaggio come, quando e con chi avesse voluto, ma lui niente, non sentiva il bisogno.

Al contrario, per non ascoltare più inviti disperati, velati ammiccamenti, esplicite offerte sessuali, pianti e singhiozzi di cuori infranti, Tobia aveva iniziato ad amare la montagna e i luoghi isolati, posti in cui poteva far lunghe passeggiate e stare con se stesso, l’unica persona che amasse davvero.

A Tobia non importava niente di nessuno, passava piacevoli ore in compagnia di se stesso e la cosa migliore che gli potesse capitare era incontrare uno specchio d’acqua in cui poter ammirare la perfezione del suo essere.

Questa fu molto probabilmente la causa dell’incidente e chi lo ritrovò, restò inorridito, con che autorità la morte si era presa una persona di quella bellezza? Con quale potere?

Anche quell’autunno non si sarebbe parlato d’altro in viale dei Pini, la strada che portava verso il cimitero monumentale.

Il passaparola delle vedove si era allargato a macchia d’olio tra i visitatori del triste luogo e le visite erano già aumentate.
Tutti passavano dallo stesso vialetto, ad ammirare quella foto, per fermarsi a guardare quel giovane che anche da dietro un marmo non aveva smesso di far girare le teste.

Il custode prevedeva problemi…