giovedì 21 febbraio 2019

luoghi insoliti: Zolle d'erba

luoghi insoliti: Zolle d'erba: Ho avuto la fortuna di poter giocare, per qualche anno, nella squadra di calcio aziendale. Fortuna, perché questo significa...

Zolle d'erba











Ho avuto la fortuna di poter giocare, per qualche anno, nella squadra di calcio aziendale.
Fortuna, perché questo significava in primo luogo avere un lavoro, secondo perché quel momento sportivo, quell’attività ritagliata nel tempo libero, permetteva un'integrazione immediata.
Sul campo di gioco ci si dava del tu e potevi entrare in contrasto col tuo dirigente o fare un assist gol al tuo capo. Nello spogliatoio il clima era cameratesco e ogni richiamo alla professione era azzerato.
Inoltre, al di là delle speculazioni su opportunità di carriera o facilitazioni varie, era un’attività divertente.

Giocavo a calcio fin da bambino e mi era sempre piaciuto.
Sono entrato in azienda molto giovane e inesperto, di rapporti di lavoro e soprattutto sulle cose della vita.
Attorno a me giocavano uomini fatti, con mogli e figli, avviati da tempo verso carriere brillanti, caratteri forti insomma. Gente che ci sapeva fare, che giocava a discreti livelli.
Capite come anche la più banale e inutile delle amichevoli diventava fondamentale quanto una finale di coppa. 
Vincere era d'obbligo.

Io a dire la verità sono sempre stato di fisico gracilino… alto quanto basta, sessanta chili bagnato, unico talento quello di correre e in mezzo a tipi alti quindici centimetri e pesanti venti chili più di me, mi sentivo fuori posto. Spesso la mia maglia aveva il numero tredici oppure il quindici sulla schiena. Passavo gran parte delle gare seduto in panca.
Ma essendo una squadra aziendale, c'era sempre qualcuno di servizio in ospedale che non poteva rispondere alla convocazione, chi aveva impegni importanti, e anche chi giovava spesso a metà tempo finiva la benzina…
C'era in squadra chi per paura di farsi male giocava dieci minuti e poi chiedeva la sostituzione.
Così finivo sempre per timbrare il cartellino con una presenza. In tutti i casi io avevo dalla mia la freschezza dei vent'anni e allora non capivo ancora la loro invidia.

Parliamo dei campi di gioco.

Spesso si giocava su prati tenuti abbastanza bene, dove, anche grazie alla poggia, l'erba vinceva la sua lotta per la sopravvivenza. Su altri campi, non ho mai capito perché, davanti alle porte, a delimitare l'area piccola, vedevi zone brulle, terra battuta e null'altro, chiazze di alopecia su cui il pallone sbatteva e rimbalzata in modo strano e spesso ingannava i portieri meno esperti.
Capitava di incappare in campi di gioco dove le zolle d'erba dovevi cercarle come i porcini in un bosco. A volte le trovavi ma erano così incolte e lussureggianti che andavano dribblate come il più ostico dei difensori. E spesso il pallone rimaneva fermo incastrato e ci facevi una figura barbina.
Campi con ghiaia a coprire le buche, pozzanghere che credevano di essere sabbie mobili. Sabbia bollente, che sembrava di giocare su una spiaggia.
Non stavamo a sottilizzare.

Il portiere si occupava di portare con sé guanti e pallone.
Chi organizzava ti faceva sapere l'indirizzo e ci si trovava al campo mezz'ora prima della partita per cambiarsi e fare il riscaldamento.

Ricordo che un pomeriggio il collega che fungeva da mister mi disse:
-oggi giochi dall'inizio, stai largo sulla fascia e cerca di essere veloce.
Io lo guardai senza fiatare. Contava su di me, anche perché eravamo pochi, ma questo è un altro discorso…
Io ero pronto. Misi la maglietta numero sette e andai sull’altro lato del campo.
Per tutto il primo tempo toccai la palla sì e no due o tre volte. I “grandi” non la passavano, s’intestardivano a scartare tutti fino a terminare il fiato a disposizione e solo allora, una volta persa la palla, mi chiamavano per rimproverarmi di non essere mai smarcato. Il risultato era bloccato sullo zero a zero. Gli avversari di turno si erano mangiati almeno tre occasioni d’oro per passare in vantaggio.

Nel secondo tempo mi trovai a dover fare avanti e indietro a due metri dalla panchina.
Il mio “cattivissimo” collega, con incarico di allenatore, sbraitava e sudava ma nessuno stava a sentire. Ovvio che dopo pochi minuti io diventai il suo capro espiatorio, se non altro perché così non doveva sgolarsi.

Dopo mezz’ora di gioco stagnante fatto di passaggi sbagliati ed errori di posizione da tutte e due le squadre, mi sentivo le gambe di gelatina e sinceramente ero un po’ stufo di correre invano.
All’improvviso il mio centravanti, stimato medico e mio ex docente, da centrocampo fece partire un forte lancio di quelli inutili, nella terra di nessuno, giacché gli avversari ci stavano dominando e noi eravamo tutti arretrati nella nostra metà campo.
Il passaggio, un filtrante rasoterra, era diretto verso l’area avversaria un poco verso destra. A quel punto mi accorsi che i difensori si erano distratti, dovevano aver giudicato che il pallone finisse innocuo nelle mani del loro portiere.
Il loro portiere era una specie di orso grizzly, un omone grosso e grasso di quasi due metri e doveva annoiarsi molto, perché dalle sue parti non succedeva molto d’interessante.
Io partii al galoppo, mi sentivo un cane al cinodromo e quel pallone, che diventava sempre più piccolo, era la mia lepre.
Qualcuno provò a recuperare la posizione ma era troppo tardi, la metà del campo di gioco non mi era mai sembrata così lunga e vedevo il pallone continuare a sfuggirmi e il portiere diventare sempre più bestialmente grosso.
Correvo e sbuffavo, correvo e intanto pensavo: non ce la farò mai, il portiere sta per arrivare sulla palla. Ma l’istinto mi diceva di andare avanti e rischiare magari di sbattere contro quella montagna umana, e uscire dal campo con onore e qualche frattura.
Ci trovammo faccia a faccia come in un duello, con il pallone impazzito al posto della pallottola letale e poco prima di schiantarmi ebbi l’idea di allungare il piede destro con un tocco che non era né un delizioso esterno né una rozza puntonata ma una cosa a metà.

Il portierone spalancò gli occhi dalla sorpresa e il pallone deviò la sua traiettoria passandogli incredibilmente tra i piedi e finendo beffardo in fondo alla rete.

Feci in tempo a vedere tutto come al rallentatore e mi fu possibile anche evitare lo scontro frontale con quella specie di autotreno umano e di tornare verso centrocampo per ricevere i festeggiamenti dei miei compagni di gioco.
Finì uno a zero e il giorno dopo al lavoro mi salutarono tutti con più calore.
Ero sempre un pivello ma tutto era cambiato.

Disputai molte altre partite con la squadra di calcio dell’ospedale prima di dedicarmi al calcetto. Tanti bravi atleti, nel corso di quegli anni, appesero le scarpette al chiodo, come si dice. Io ero più giovane e trovai altri colleghi che apprezzarono il campo più piccolo, in erba sintetica.

Niente più campi spelacchiati, niente più sparute zolle d’erba.
Un altro sport, altri movimenti, molti gol e molte soddisfazioni.
Mi misi a organizzare le partite di calcetto, mi piaceva e si poteva giocare anche al chiuso d’inverno.

Quando avevo il codino alla “Baggio” e ancora tutti i legamenti in ordine.
Ma questa è un’altra storia…








domenica 17 febbraio 2019

luoghi insoliti: Le scelte giuste

luoghi insoliti: Le scelte giuste: -Cosa facciamo adesso? -Andiamo al bar della stazione! La donna sorride e ribatte: -ma si è fatto tardi.  È quasi mezzan...

Le scelte giuste










-Cosa facciamo adesso?
-Andiamo al bar della stazione!

La donna sorride e ribatte: -ma si è fatto tardi.  È quasi mezzanotte e domani troverai una nuova scrivania.
Lui sorride a sua volta, andare al bar della stazione centrale è da anni un loro vecchio gioco.
Vanno.

Prendono due caffè e iniziano a fantasticare creando storie e passato delle persone che frequentano il bar.

Sono felici. Sposati da poco meno di due anni ma assieme da tanti di più.  Lui ha appena ricevuto una promozione. Avrà un nuovo incarico e un ufficio più grande.
Ha dovuto lottare per arrivare dov'è, stringere accordi, studiare strategie e soprattutto non avere riguardo per nessuno.
Lei è raggiante e piena di orgoglio. Sa di avere puntato sul cavallo vincente.
Farebbe qualunque cosa per suo marito. Sa bene che un uomo di successo deve avere al suo fianco una grande donna.
E lei fa di tutto per essere all’altezza.

-Lo vedi quello? Quello con l'impermeabile. Barba lunga, occhiaie, camicia stropicciata…
-Si, ha l'aspetto di un vecchio piazzista di ritorno da un viaggio di lavoro. Risponde la donna.
Suo marito osserva l'uomo al bancone mentre questo sorseggia un bicchiere di vino bianco.
-Hai ragione, ha tutta l'aria di uno che non riesce a vendere molto i suoi articoli. Non è colpa sua, il mestiere lo possiede ma è il mercato a essere cambiato. Inoltre non ha nessuna fretta di tornare a casa, vedi quanto ci mette a finire il suo bicchiere?
-Probabilmente a casa lo aspetta una moglie imbruttita e noiosa che gli rinfaccia il suo fallimento a ogni occasione. Aggiunge lei.

Lui sorride, col suo perfetto taglio di capelli e l'orologio costoso è l'immagine stessa del successo.
Poi si volta verso i tavolini e indica due belle ragazze, dalle lunghe gambe appariscenti, che chiacchierano nervose.

-E quelle due?
Lei ci prova: Due universitarie agitate e preoccupate per un esame?
Lui scuote la testa.
-A quest’ora? No. Quelle sono due escort.
-E tu come fai a saperlo? Chiede, maliziosa, la mogliettina.
-Guarda bene. Le unghie finte, le mani nervose che si passano un pacchetto di sigarette, sotto un trucco elaborato si vedono le rughe… vogliono apparire più giovani di quello che sono.
Lei è ammirata, ora che ha sentito, riesce a vedere meglio. I gioielli, il rossetto, le ragazze non sembrano più studentesse. Per niente.
Chissà come sono finite a fare questa vita. Sono le decisioni prese durante gli anni, le scelte, giuste o sbagliate, che possono cambiare il destino di una persona. Questo è quello che le spiegherebbe lui, le parole che le direbbe e lei gli crederebbe perché si fida.

All'improvviso nel bar l'odore peggiora. Arriva una zaffata di aria lercia, odore di urina e rifiuti.
È entrato un barbone con un cappotto scuro, unto e bisunto.
Qualcuno gli allunga qualche monetina, più per farlo allontanare che per vera carità.
La nostra coppia ha un sussulto, con quello ci sarebbe da sbizzarrirsi a inventare il passato, a ricamare sulla sua vita, sulle questioni che l’hanno portato a mendicare pochi spiccioli e a dormire su una sporca panchina fuori dalla stazione.
Ma non lo fanno, ormai è tardi, l'odore è disgustoso e non invita a giocare.
Lui cerca nelle tasche qualche moneta. Lei lo osserva, il barbone è giovane, avrà la loro età, non si era accorta di questo particolare al suo ingresso.
Il barbone zoppica e cammina chino, con lo sguardo sul pavimento per la debolezza e un po’ per vergogna.

Per un istante gli occhi del senzatetto incrociano quelli della ragazza.
Poi il marito, gli allunga due euro e, tappandosi il naso le dice di andare.
Ma la giovane donna ha visto gli occhi del barbone e pensa di averli riconosciuti.

Occhi chiari, di un azzurro quasi trasparente. Occhi da bombardiere, le viene in mente, senza motivo, questa citazione da un bel romanzo letto tanti anni prima.

Lei ricorda bene quegli occhi, impossibili da dimenticare, dai tempi della scuola, ultimo anno di liceo, ricorda quel ragazzo, strano, un genio secondo qualcuno, un disadattato secondo la maggioranza.
È sicura di averlo riconosciuto ma il barbone è già fuori dal bar, dentro è rimasto solo l'odore di uno che non si lava né si cambia da mesi.

-Perché, perché uno dovrebbe ridursi così male? Cosa l’ha costretto?

Suo marito attacca con il solito argomento.  - Sono le decisioni prese o mancate, le scelte sbagliate che ti fanno fallire, l'incapacità di cogliere le occasioni al momento giusto, di riconoscere le opportunità…

Ma sua moglie, per una volta, non lo ascolta più e pensa che forse quel poveraccio è solo uno che non è disposto a scendere a compromessi, che non ha voluto passare sopra altre persone pur di avere successo, che non ha cercato vantaggi dal male altrui.
E ha pagato cara la sua scelta.

Ha mantenuto salda la sua etica, anche se questo l’ha portato alla rovina.

Quell’uomo appartiene a un altro pianeta. 
Lei sa che loro due non potranno mai essere così forti, così determinati.

Poi si volta e segue suo marito a casa.








domenica 10 febbraio 2019

luoghi insoliti: HIKIKOMORI

luoghi insoliti: HIKIKOMORI: -           - Non vorrai di nuovo chiuderti lì dentro per tre giorni, come hai fatto la settimana scorsa, vero? -           -...

luoghi insoliti: HIKIKOMORI

luoghi insoliti: HIKIKOMORI: -           - Non vorrai di nuovo chiuderti lì dentro per tre giorni, come hai fatto la settimana scorsa, vero? -           -...

HIKIKOMORI









-          -Non vorrai di nuovo chiuderti lì dentro per tre giorni, come hai fatto la settimana scorsa, vero?
-          -Tre giorni? No, mamma, non tre giorni.


Poi chiusi la porta.
Quella è stata l’ultima volta che ho visto la faccia di mia madre.
Era il 4 aprile del 2017. Alle diciotto e quaranta, per essere precisi.
Essere precisa è fondamentale.
Annoto tutto sul diario, ogni cosa. Mi aiuta a essere viva. A non avere paura.


5 aprile 2017

Ho passato due ore a sigillare col nastro isolante le finestre del tetto. Ho chiuso gli scuri e assicurato i lucchetti. Dal piccolo vasistas nel bagnetto non può passare nessuno. Mi mancherà l’aria?

6 aprile 2017

Mamma non si è ancora stancata. Continua a bussare e bussare. Al mattino, al pomeriggio e alla sera, come se fosse un farmaco prescritto dal dottore, tre cucchiai al giorno…
Si lamenta, piagnucola, mi scongiura. Non vuole credermi, eppure sono stata chiara. Non scenderò, non ho bisogno del mondo.
E in questo mondo non c’è bisogno di me.

13 aprile 2017

Mi aveva guardato trascinare sulle scale la valigia di famiglia, quella grossa. Saranno stati venticinque chili. Mi aveva visto, eppure non aveva detto niente. Non che ci fosse molto da dire, con mia madre avevamo cessato presto di comunicare, non ricordo più in quale anno della cosiddetta adolescenza.

17 aprile 2017

I viaggi sulle scale con la valigia piena si erano ripetuti per giorni e giorni e giorni.
Ho l’armadio pieno zeppo di provviste e i vestiti accatastati, come sempre, sulla poltrona. Finalmente mia madre si è stancata di bussare, ora passa dei biglietti sotto la porta. Li uso per decorare una parete.

29 aprile 2017

Certo che è comodo avere un sottotetto con bagno, come cameretta. Manca la doccia ma con qualche acrobazia, riesco a lavarmi tutta, usando il lavandino.
Da qualche tempo hanno ricominciato a bussare, forse mia mamma o il suo compagno ma non li sento oppure mi sembra un rumore leggero, come un sogno, poiché passo gran parte della giornata dormendo.

16 maggio 2017

Questo non è e non vuole essere un diario, un’idea troppo fanciullesca, solo che ogni tanto mi va di annotare qualcosa.

3 giugno 2017

Ho dormito dodici ore filate. Questa è stata la decisione migliore della mia vita. Sono le tre del mattino e ho aperto la finestra. Espormi all’aperto mi mette paura ma il buio mi nasconde e mi protegge. Si vedono un pezzo del tetto e i rami del pioppo che sembrano ossa di uno scheletro, nella luce gialla del lampione in fondo alla strada. In lontananza si sente singhiozzare, potrebbe essere mia madre sul balcone qui sotto o forse è solo la mia immaginazione.

7 giugno 2017

Ho deciso di rispondere ai messaggi scritti, passando a mia volta pezzi di carta sotto la porta, all’inizio mia madre ha frainteso e ha provato a entrare. Non avrei voluto scrivere ma non posso cibarmi di cracker e succo di frutta per sempre, e poi stanno finendo!

29 giugno 2017

Comincia a fare caldo quassù, dormo quasi tutto il giorno in un bagno di sudore, per rinfrescarmi ho cominciato a coricarmi sul pavimento, non fanno così anche i cani?

16 luglio 2017

Scambio da sempre messaggi ed e-mail con Bene.
Bene è la mia amica e ha giurato.
Ha portato le cose che ho chiesto, le ha lasciate in corridoio ed è scesa in silenzio. Le prenderò questa notte. Poi ha sopportato due ore di pianti di mia madre. Cosa non farebbe Benedetta per me…

5 agosto 2017

Mia madre ha avuto una reazione isterica. Ha picchiato i pugni sulla parete, mi urla che sono pazza, che non si può vivere rinchiusi, non è umano, è da bestie.
Quanta incongruenza nelle cose che urla, perché gli animali possono vivere rinchiusi, poi? Di quale delitto si sarebbero macchiati? Le avrei risposto, allora le suore e i frati che fanno questa scelta? Sarebbero pazzi anche loro? Se solo avessi voluto parlarci. Così l’ho lasciata picchiare contro il muro e sbraitare. E la pazza sarei io…

16 agosto 2017

Ha sbattuto la porta. Era quella d’ingresso, ne sono certa.
Mamma è partita, Ha scritto una lunga lettera di cui ho letto solo le prime quattro righe. Il suo terapista le ha consigliato di uscire e svagarsi. La mia mamma ha un terapista, le note positive della mia scelta non finiscono mai!

20 agosto 2017

Di notte è più facile. Tutto è più facile.
La prima uscita è stata emozionante. Non in senso positivo.
La casa è vuota.
Avvertivo tutti i rumori, gli scricchiolii della casa vuota. Ogni ombra era pronta ad aggredirmi, a divorarmi. Le ombre, di notte, hanno lunghi denti affilati.
Ma il frigorifero è una meta troppo ambita per rinunciare. Avrei dovuto pensare a un piccolo frigo portatile per la mia stanza, ma potrei ordinarne uno su internet.

10 settembre 2017

Questa notte mi sono iscritta a un corso online.
Gli esami all’università non stavano andando male, prima del mio “ritiro” e non avevo previsto di smettere gli studi.
Contrariamente a quello che possono pensare le persone che credevano di conoscermi, non sono depressa, non ho pensieri suicidi, al contrario, ho energie nuove e vorrei tanto tornare a studiare.
Proverò l’università telematica, finché si potranno dare esami a distanza, non ho nessuna intenzione d’uscire.

20 settembre 2017

Il sistema dello scambio funziona.
Di mattino lascio fuori della porta un sacchetto con indumenti sporchi, quelli che non sono riuscita a lavare nel mio lavandino, e un sacco con i rifiuti. Non ho nessuna intenzione di vivere nel mio lerciume.
La sera tardi, solitamente quando mi sveglio, trovo il solito biglietto, che evito di leggere, sotto la porta e un pacco con cose buone da mangiare, biscotti, frutta fresca, e gli indumenti puliti.
Non sono stirati, ho chiesto di non stirare nulla, tanto nessuno può vedermi, ho scollegato la webcam per sicurezza.

3 ottobre 2017

Mancano pochi minuti a mezzanotte.
Sono emozionata. Saranno sei mesi, sei mesi, capite? Sono felice, sento i colpi accelerati del mio cuore nei polsi, la mia pelle resa ancora più pallida dalla luce al neon sullo specchio, sembra aver ripreso colorito. Qui non ho paura, sono al sicuro come una bambina nell’utero materno.

14 ottobre 2017

Ho una discreta collezione di dischi. Circa trecento.
Mi basteranno almeno un anno. Voglio imparare a memoria tutti i testi. Ho anche molti CD. La radio la evito, troppo rumore sporco del mondo esterno.
Per quello internet basta e avanza.

29 ottobre 2017

Il computer è invaso da zucche.
Ho la posta elettronica impazzita. Ma cosa prende a tutti?

11 novembre 2017

Ci dev’essere un guasto all’impianto di riscaldamento. Ho passato la notte, seduta davanti alla tastiera, con tre coperte sulle spalle. Tremavo tanto da non riuscire a digitare. Forse ho la febbre.

20 novembre 2017

Mio padre mi ha inviato una mail.
Intendiamoci, le mail dei genitori vanno dritte nello spam ma questa volta mi ha scritto dall’ufficio. Non credo l’abbia fatto apposta.
E’ incredibile, ha avuto il coraggio di chiedermi di ripensarci, di “scendere dalla mia montagna”, che incantevole metafora, vorrebbe che andassi a stare con lui! Con lui e con la sua compagna, per intenderci.
Hanno intenzione di sposarsi all’inizio del nuovo anno…
Mi sono affrettata a bloccare anche questo contatto.

7 dicembre 2017

Benedetta è stata male, una cosa da niente, influenza con la febbre, ma oltre al breve messaggio che mi avvertiva, questa settimana non si è fatta più sentire.
Spero non si stufi di me, è tutto il mio mondo.

19 dicembre 2017

Quante cose si possono imparare su internet. E quante si possono comprare.
Basta avere tempo e una carta di credito bella piena.
Io ho entrambe le cose. Mi manca Benedetta, non ha risposto ai miei messaggi, non vorrei che fosse una tattica di mia madre.
Pazienza.
Ho nuovi amici in rete.

2 gennaio 2018

Finalmente un po’ di silenzio.
Cosa ci sarà da festeggiare.
Fuochi d’artificio, petardi, ululati di cani, solo la casa è stata silenziosa e vuota. Ho approfittato per un raid notturno, bottino: una bottiglia di vino bianco e del vitello tonnato, stanotte bagordi.

12 febbraio 2018

Nessuno mi cerca più.
Sento di poter raggiungere lo stato di purezza che sognavo all'inizio del progetto.
Posso farcela. Dalla ragazza disastro che faticava a mantenere rapporti e relazioni e si sentiva scivolare via la vita come sabbia stretta in un pugno a uno stato di liberazione da vincoli e catene.
Mi sento leggera, mi sento libera.

27 febbraio 2018

Non so se sia giorno o notte. Ho aperto gli occhi ma gli scuri rendono la stanza buia, non sento rumori, solo un fastidioso ronzio. Lo schermo del portatile illumina fioco un angolo ma non mi avvicino, ricevo ininterrottamente centinaia di mail da tutto il mondo ma non mi va di rispondere.
Lo farò più tardi.

3 marzo 2018

Ho ancora tre pacchi di merendine per un totale di ventiquattro pezzi. Qualche tavoletta di cioccolato e quattro barrette iperproteiche. Acqua fresca quanta ne voglio, se il lavandino non mi tradisce.
Ieri sera non c'era nessun pacco di provviste dietro alla porta.

6 marzo 2018

Il ronzio all'orecchio non accenna a passare. Ora è doloroso.
Non mi sento bene.
Vorrei parlare con Benedetta ma ho finito per partecipare a una chat con un certo Ramhil Purtyachabhaar da qualche parte tra il Nepal e Madagascar.
Dice di avere problemi di pelle e di non comunicare con i genitori.

15 marzo 2018

Non sto bene.
Ho vomitato. Sento la febbre, ho la pelle che scotta, ma non ho un termometro.
Ancora una volta, ieri, niente vassoio dietro la porta.

20 marzo 2018

Mia madre lo fa apposta.
Le ho scritto di non stare bene. Ha infilato un foglio con la scritta: ESCI.
Vette di egoismo mai raggiunte prima.

23 marzo 2018

Ho provato a mangiare ma ho vomitato tutto. Lo specchio del bagno non riflette una bella faccia, ho occhiaie nere, forse perché sono le quattro del mattino. Ieri ha bussato alla porta un medico ma non mi sono fidata.

25 marzo 2018

Devo resistere. Tra pochi giorni sarà un anno. Tra i miei contatti sono un mito. Mi fa male l'orecchio ma la nausea è passata e sono riuscita a masticare due gallette.

30 marzo 2018

Ci siamo. Hanno deciso di tirarmi fuori. Non posso saperlo con certezza, la mia amica non si è più fatta sentire e i pochi amici li ho lasciati andare io…
Questa notte ho sentito passi fare su e giù per le scale. O forse era giorno, non ho capito. Ho idee confuse, ho avuto vertigini e vedo la tastiera doppia.

1 aprile 2018

Chi è?  Chi bussa? Avanti, è aperto… No, cosa dico, è chiuso, ho chiuso io con tutti, col resto del mondo, questo è il mio regno ed io sono la regina dei rifiuti, sul letto carte, fazzoletti e pannolini, asciugamani usati, una vestaglia sporca di sangue. Gira tutto, gira il mio regno, lo domino da quasi un anno, ce la faccio non ho bisogno di aiuto, anche se non bussano più, ora qualcuno armeggia con la porta. Devo nascondermi in bagno.
Sto male.




Irene fu ricoverata in clinica, con un trattamento sanitario obbligatorio, il 2 aprile alle due del mattino.
Morì due giorni dopo, il quattro.

Io ero suo amico.
Sono riuscito a salire nella sua stanza, nel suo regno come l’ha chiamato lei, con suo padre, per prendere le cose necessarie al ricovero.
L'odore era terribile. Mi ha fatto salire le lacrime.
Ho trovato, sul pavimento, il diario rosso con queste poche pagine, testimonianza del suo ultimo anno.
Troppo poco per capire.

Scusa Irene.
Non abbiamo compreso niente di te.

Perdonaci.

Ti abbiamo tradita.




lunedì 4 febbraio 2019

luoghi insoliti: Cade la neve

luoghi insoliti: Cade la neve: Cade la neve. Cade in silenzio. Come in silenzio si resta nei luoghi solenni. In silenzio, così come spesso, in silenzio, ...

Cade la neve









Cade la neve.
Cade in silenzio.
Come in silenzio si resta nei luoghi solenni.
In silenzio, così come spesso, in silenzio, sono progettati i cambiamenti più importanti.
Come in silenzio opera chi è capace delle cose migliori, tra tanti che urlano.
Cade la neve e non fa rumore.
E ogni rumore è in grado di azzerare.

Cade la neve e ricopre lenta tutte le cose.
Nasconde la neve, le strade imperfette, le buche, cela le crepe e le storture.
Copre i sacchetti dei rifiuti, abbandonati sui marciapiedi. Copre le macchie di olio motore e le foglie ammuffite. Rende pulita l'aria che prima era satura di polvere, inquinata e appestata da troppi vizi e poche virtù, che solo a respirarla ci rendeva più cattivi e più stupidi.

Cade piano la neve.
Non ha fretta, è un lavoratore ostinato e tranquillo, che niente e nessuno può fermare.  Scende lenta e inesorabile, un mare d'acqua congelata, cristallizzata, leggera come piume e pesante come cemento, che sembra galleggiare nell'attesa di impolverare la superficie delle cose.

Una pagina bianca, perfetta, come ci piacerebbe tante volte avere a disposizione, quando le cose non vanno come vorremmo e farebbe comodo ricominciare da zero.

Cade la neve e tutto sembra purificare.
Quello che ieri ci sembrava anonimo e scontato, brutto e sporco, oggi ci appare puro, poetico e artistico.
Un'infinità di bianche opere, di fredda bellezza.

Cade la neve su di noi.
E ci rende puliti e perfetti, o a volte
solo bagnati e intirizziti.