giovedì 21 febbraio 2019
luoghi insoliti: Zolle d'erba
luoghi insoliti: Zolle d'erba: Ho avuto la fortuna di poter giocare, per qualche anno, nella squadra di calcio aziendale. Fortuna, perché questo significa...
Zolle d'erba
Ho avuto la fortuna di
poter giocare, per qualche anno, nella squadra di calcio aziendale.
Fortuna, perché questo
significava in primo luogo avere un lavoro, secondo perché quel momento
sportivo, quell’attività ritagliata nel tempo libero, permetteva
un'integrazione immediata.
Sul campo di gioco ci
si dava del tu e potevi entrare in contrasto col tuo dirigente o fare un assist
gol al tuo capo. Nello spogliatoio il clima era cameratesco e ogni richiamo
alla professione era azzerato.
Inoltre, al di là delle
speculazioni su opportunità di carriera o facilitazioni varie, era un’attività
divertente.
Giocavo a calcio fin da
bambino e mi era sempre piaciuto.
Sono entrato in azienda
molto giovane e inesperto, di rapporti di lavoro e soprattutto sulle cose della
vita.
Attorno a me giocavano uomini
fatti, con mogli e figli, avviati da tempo verso carriere brillanti, caratteri
forti insomma. Gente che ci sapeva fare, che giocava a discreti livelli.
Capite come anche la
più banale e inutile delle amichevoli diventava fondamentale quanto una finale
di coppa.
Vincere era d'obbligo.
Io a dire la verità
sono sempre stato di fisico gracilino… alto quanto basta, sessanta chili
bagnato, unico talento quello di correre e in mezzo a tipi alti quindici
centimetri e pesanti venti chili più di me, mi sentivo fuori posto. Spesso la
mia maglia aveva il numero tredici oppure il quindici sulla schiena. Passavo
gran parte delle gare seduto in panca.
Ma essendo una squadra
aziendale, c'era sempre qualcuno di servizio in ospedale che non poteva
rispondere alla convocazione, chi aveva impegni importanti, e anche chi giovava
spesso a metà tempo finiva la benzina…
C'era in squadra chi
per paura di farsi male giocava dieci minuti e poi chiedeva la sostituzione.
Così finivo sempre per
timbrare il cartellino con una presenza. In tutti i casi io avevo dalla mia la
freschezza dei vent'anni e allora non capivo ancora la loro invidia.
Parliamo dei campi di
gioco.
Spesso si giocava su
prati tenuti abbastanza bene, dove, anche grazie alla poggia, l'erba vinceva la
sua lotta per la sopravvivenza. Su altri campi, non ho mai capito perché,
davanti alle porte, a delimitare l'area piccola, vedevi zone brulle, terra
battuta e null'altro, chiazze di alopecia su cui il pallone sbatteva e
rimbalzata in modo strano e spesso ingannava i portieri meno esperti.
Capitava di incappare
in campi di gioco dove le zolle d'erba dovevi cercarle come i porcini in un
bosco. A volte le trovavi ma erano così incolte e lussureggianti che andavano
dribblate come il più ostico dei difensori. E spesso il pallone rimaneva fermo
incastrato e ci facevi una figura barbina.
Campi con ghiaia a
coprire le buche, pozzanghere che credevano di essere sabbie mobili. Sabbia
bollente, che sembrava di giocare su una spiaggia.
Non stavamo a
sottilizzare.
Il portiere si occupava
di portare con sé guanti e pallone.
Chi organizzava ti
faceva sapere l'indirizzo e ci si trovava al campo mezz'ora prima della partita
per cambiarsi e fare il riscaldamento.
Ricordo che un
pomeriggio il collega che fungeva da mister mi disse:
-oggi giochi
dall'inizio, stai largo sulla fascia e cerca di essere veloce.
Io lo guardai senza
fiatare. Contava su di me, anche perché eravamo pochi, ma questo è un altro
discorso…
Io ero pronto. Misi la
maglietta numero sette e andai sull’altro lato del campo.
Per tutto il primo
tempo toccai la palla sì e no due o tre volte. I “grandi” non la passavano, s’intestardivano
a scartare tutti fino a terminare il fiato a disposizione e solo allora, una
volta persa la palla, mi chiamavano per rimproverarmi di non essere mai
smarcato. Il risultato era bloccato sullo zero a zero. Gli avversari di turno
si erano mangiati almeno tre occasioni d’oro per passare in vantaggio.
Nel secondo tempo mi
trovai a dover fare avanti e indietro a due metri dalla panchina.
Il mio “cattivissimo”
collega, con incarico di allenatore, sbraitava e sudava ma nessuno stava a sentire.
Ovvio che dopo pochi minuti io diventai il suo capro espiatorio, se non altro perché
così non doveva sgolarsi.
Dopo mezz’ora di gioco
stagnante fatto di passaggi sbagliati ed errori di posizione da tutte e due le
squadre, mi sentivo le gambe di gelatina e sinceramente ero un po’ stufo di
correre invano.
All’improvviso il mio
centravanti, stimato medico e mio ex docente, da centrocampo fece partire un
forte lancio di quelli inutili, nella terra di nessuno, giacché gli avversari
ci stavano dominando e noi eravamo tutti arretrati nella nostra metà campo.
Il passaggio, un
filtrante rasoterra, era diretto verso l’area avversaria un poco verso destra.
A quel punto mi accorsi che i difensori si erano distratti, dovevano aver
giudicato che il pallone finisse innocuo nelle mani del loro portiere.
Il loro portiere era una
specie di orso grizzly, un omone grosso e grasso di quasi due metri e doveva
annoiarsi molto, perché dalle sue parti non succedeva molto d’interessante.
Io partii al galoppo, mi
sentivo un cane al cinodromo e quel pallone, che diventava sempre più piccolo,
era la mia lepre.
Qualcuno provò a
recuperare la posizione ma era troppo tardi, la metà del campo di gioco non mi
era mai sembrata così lunga e vedevo il pallone continuare a sfuggirmi e il
portiere diventare sempre più bestialmente grosso.
Correvo e sbuffavo,
correvo e intanto pensavo: non ce la farò mai, il portiere sta per arrivare
sulla palla. Ma l’istinto mi diceva di andare avanti e rischiare magari di
sbattere contro quella montagna umana, e uscire dal campo con onore e qualche
frattura.
Ci trovammo faccia a
faccia come in un duello, con il pallone impazzito al posto della pallottola
letale e poco prima di schiantarmi ebbi l’idea di allungare il piede destro con
un tocco che non era né un delizioso esterno né una rozza puntonata ma una cosa
a metà.
Il portierone spalancò
gli occhi dalla sorpresa e il pallone deviò la sua traiettoria passandogli
incredibilmente tra i piedi e finendo beffardo in fondo alla rete.
Feci in tempo a vedere
tutto come al rallentatore e mi fu possibile anche evitare lo scontro frontale
con quella specie di autotreno umano e di tornare verso centrocampo per
ricevere i festeggiamenti dei miei compagni di gioco.
Finì uno a zero e il
giorno dopo al lavoro mi salutarono tutti con più calore.
Ero sempre un pivello
ma tutto era cambiato.
Disputai molte altre
partite con la squadra di calcio dell’ospedale prima di dedicarmi al calcetto.
Tanti bravi atleti, nel corso di quegli anni, appesero le scarpette al chiodo,
come si dice. Io ero più giovane e trovai altri colleghi che apprezzarono il
campo più piccolo, in erba sintetica.
Niente più campi
spelacchiati, niente più sparute zolle d’erba.
Un altro sport, altri
movimenti, molti gol e molte soddisfazioni.
Mi misi a organizzare
le partite di calcetto, mi piaceva e si poteva giocare anche al chiuso d’inverno.
Quando avevo il codino
alla “Baggio” e ancora tutti i legamenti in ordine.
Ma questa è un’altra storia…
domenica 17 febbraio 2019
luoghi insoliti: Le scelte giuste
luoghi insoliti: Le scelte giuste: -Cosa facciamo adesso? -Andiamo al bar della stazione! La donna sorride e ribatte: -ma si è fatto tardi. È quasi mezzan...
Le scelte giuste
-Cosa facciamo adesso?
-Andiamo al bar della
stazione!
La donna sorride e
ribatte: -ma si è fatto tardi. È quasi
mezzanotte e domani troverai una nuova scrivania.
Lui sorride a sua volta,
andare al bar della stazione centrale è da anni un loro vecchio gioco.
Vanno.
Prendono due caffè e
iniziano a fantasticare creando storie e passato delle persone che frequentano
il bar.
Sono felici. Sposati da
poco meno di due anni ma assieme da tanti di più. Lui ha appena ricevuto una promozione. Avrà
un nuovo incarico e un ufficio più grande.
Ha dovuto lottare per
arrivare dov'è, stringere accordi, studiare strategie e soprattutto non avere
riguardo per nessuno.
Lei è raggiante e piena
di orgoglio. Sa di avere puntato sul cavallo vincente.
Farebbe qualunque cosa
per suo marito. Sa bene che un uomo di successo deve avere al suo fianco una
grande donna.
E lei fa di tutto per
essere all’altezza.
-Lo vedi quello? Quello
con l'impermeabile. Barba lunga, occhiaie, camicia stropicciata…
-Si, ha l'aspetto di un
vecchio piazzista di ritorno da un viaggio di lavoro. Risponde la donna.
Suo marito osserva
l'uomo al bancone mentre questo sorseggia un bicchiere di vino bianco.
-Hai ragione, ha tutta
l'aria di uno che non riesce a vendere molto i suoi articoli. Non è colpa sua,
il mestiere lo possiede ma è il mercato a essere cambiato. Inoltre non ha
nessuna fretta di tornare a casa, vedi quanto ci mette a finire il suo
bicchiere?
-Probabilmente a casa
lo aspetta una moglie imbruttita e noiosa che gli rinfaccia il suo fallimento a
ogni occasione. Aggiunge lei.
Lui sorride, col suo
perfetto taglio di capelli e l'orologio costoso è l'immagine stessa del
successo.
Poi si volta verso i
tavolini e indica due belle ragazze, dalle lunghe gambe appariscenti, che
chiacchierano nervose.
-E quelle due?
Lei ci prova: Due
universitarie agitate e preoccupate per un esame?
Lui scuote la testa.
-A quest’ora? No. Quelle
sono due escort.
-E tu come fai a
saperlo? Chiede, maliziosa, la mogliettina.
-Guarda bene. Le unghie
finte, le mani nervose che si passano un pacchetto di sigarette, sotto un
trucco elaborato si vedono le rughe… vogliono apparire più giovani di quello
che sono.
Lei è ammirata, ora che
ha sentito, riesce a vedere meglio. I gioielli, il rossetto, le ragazze non
sembrano più studentesse. Per niente.
Chissà come sono finite
a fare questa vita. Sono le decisioni prese durante gli anni, le scelte, giuste
o sbagliate, che possono cambiare il destino di una persona. Questo è quello
che le spiegherebbe lui, le parole che le direbbe e lei gli crederebbe perché
si fida.
All'improvviso nel bar
l'odore peggiora. Arriva una zaffata di aria lercia, odore di urina e rifiuti.
È entrato un barbone
con un cappotto scuro, unto e bisunto.
Qualcuno gli allunga
qualche monetina, più per farlo allontanare che per vera carità.
La nostra coppia ha un
sussulto, con quello ci sarebbe da sbizzarrirsi a inventare il passato, a
ricamare sulla sua vita, sulle questioni che l’hanno portato a mendicare pochi
spiccioli e a dormire su una sporca panchina fuori dalla stazione.
Ma non lo fanno, ormai
è tardi, l'odore è disgustoso e non invita a giocare.
Lui cerca nelle tasche
qualche moneta. Lei lo osserva, il barbone è giovane, avrà la loro età, non si era
accorta di questo particolare al suo ingresso.
Il barbone zoppica e
cammina chino, con lo sguardo sul pavimento per la debolezza e un po’ per
vergogna.
Per un istante gli
occhi del senzatetto incrociano quelli della ragazza.
Poi il marito, gli
allunga due euro e, tappandosi il naso le dice di andare.
Ma la giovane donna ha
visto gli occhi del barbone e pensa di averli riconosciuti.
Occhi chiari, di un
azzurro quasi trasparente. Occhi da bombardiere, le viene in mente, senza
motivo, questa citazione da un bel romanzo letto tanti anni prima.
Lei ricorda bene quegli
occhi, impossibili da dimenticare, dai tempi della scuola, ultimo anno di
liceo, ricorda quel ragazzo, strano, un genio secondo qualcuno, un disadattato
secondo la maggioranza.
È sicura di averlo
riconosciuto ma il barbone è già fuori dal bar, dentro è rimasto solo l'odore
di uno che non si lava né si cambia da mesi.
-Perché, perché uno
dovrebbe ridursi così male? Cosa l’ha costretto?
Suo marito attacca con
il solito argomento. - Sono le decisioni
prese o mancate, le scelte sbagliate che ti fanno fallire, l'incapacità di
cogliere le occasioni al momento giusto, di riconoscere le opportunità…
Ma sua moglie, per una
volta, non lo ascolta più e pensa che forse quel poveraccio è solo uno che non
è disposto a scendere a compromessi, che non ha voluto passare sopra altre
persone pur di avere successo, che non ha cercato vantaggi dal male altrui.
E ha pagato cara la sua
scelta.
Ha mantenuto salda la
sua etica, anche se questo l’ha portato alla rovina.
Quell’uomo appartiene a
un altro pianeta.
Lei sa che loro due non potranno mai essere così forti, così
determinati.
Poi si volta e segue
suo marito a casa.
domenica 10 febbraio 2019
luoghi insoliti: HIKIKOMORI
luoghi insoliti: HIKIKOMORI: - - Non vorrai di nuovo chiuderti lì dentro per tre giorni, come hai fatto la settimana scorsa, vero? - -...
luoghi insoliti: HIKIKOMORI
luoghi insoliti: HIKIKOMORI: - - Non vorrai di nuovo chiuderti lì dentro per tre giorni, come hai fatto la settimana scorsa, vero? - -...
HIKIKOMORI
- -Non
vorrai di nuovo chiuderti lì dentro per tre giorni, come hai fatto la settimana
scorsa, vero?
- -Tre
giorni? No, mamma, non tre giorni.
Poi chiusi la porta.
Quella è stata l’ultima volta che
ho visto la faccia di mia madre.
Era il 4 aprile del 2017. Alle
diciotto e quaranta, per essere precisi.
Essere precisa è fondamentale.
Annoto tutto sul diario, ogni cosa.
Mi aiuta a essere viva. A non avere paura.
5
aprile 2017
Ho
passato due ore a sigillare col nastro isolante le finestre del tetto. Ho
chiuso gli scuri e assicurato i lucchetti. Dal piccolo vasistas nel bagnetto
non può passare nessuno. Mi mancherà l’aria?
6
aprile 2017
Mamma
non si è ancora stancata. Continua a bussare e bussare. Al mattino, al
pomeriggio e alla sera, come se fosse un farmaco prescritto dal dottore, tre
cucchiai al giorno…
Si
lamenta, piagnucola, mi scongiura. Non vuole credermi, eppure sono stata
chiara. Non scenderò, non ho bisogno del mondo.
E
in questo mondo non c’è bisogno di me.
13
aprile 2017
Mi
aveva guardato trascinare sulle scale la valigia di famiglia, quella grossa.
Saranno stati venticinque chili. Mi aveva visto, eppure non aveva detto niente.
Non che ci fosse molto da dire, con mia madre avevamo cessato presto di
comunicare, non ricordo più in quale anno della cosiddetta adolescenza.
17
aprile 2017
I
viaggi sulle scale con la valigia piena si erano ripetuti per giorni e giorni e
giorni.
Ho
l’armadio pieno zeppo di provviste e i vestiti accatastati, come sempre, sulla
poltrona. Finalmente mia madre si è stancata di bussare, ora passa dei
biglietti sotto la porta. Li uso per decorare una parete.
29
aprile 2017
Certo
che è comodo avere un sottotetto con bagno, come cameretta. Manca la doccia ma
con qualche acrobazia, riesco a lavarmi tutta, usando il lavandino.
Da
qualche tempo hanno ricominciato a bussare, forse mia mamma o il suo compagno
ma non li sento oppure mi sembra un rumore leggero, come un sogno, poiché passo
gran parte della giornata dormendo.
16
maggio 2017
Questo
non è e non vuole essere un diario, un’idea troppo fanciullesca, solo che ogni
tanto mi va di annotare qualcosa.
3
giugno 2017
Ho
dormito dodici ore filate. Questa è stata la decisione migliore della mia vita.
Sono le tre del mattino e ho aperto la finestra. Espormi all’aperto mi mette
paura ma il buio mi nasconde e mi protegge. Si vedono un pezzo del tetto e i
rami del pioppo che sembrano ossa di uno scheletro, nella luce gialla del
lampione in fondo alla strada. In lontananza si sente singhiozzare, potrebbe
essere mia madre sul balcone qui sotto o forse è solo la mia immaginazione.
7
giugno 2017
Ho
deciso di rispondere ai messaggi scritti, passando a mia volta pezzi di carta
sotto la porta, all’inizio mia madre ha frainteso e ha provato a entrare. Non
avrei voluto scrivere ma non posso cibarmi di cracker e succo di frutta per
sempre, e poi stanno finendo!
29
giugno 2017
Comincia
a fare caldo quassù, dormo quasi tutto il giorno in un bagno di sudore, per
rinfrescarmi ho cominciato a coricarmi sul pavimento, non fanno così anche i
cani?
16
luglio 2017
Scambio
da sempre messaggi ed e-mail con Bene.
Bene
è la mia amica e ha giurato.
Ha
portato le cose che ho chiesto, le ha lasciate in corridoio ed è scesa in
silenzio. Le prenderò questa notte. Poi ha sopportato due ore di pianti di mia
madre. Cosa non farebbe Benedetta per me…
5
agosto 2017
Mia
madre ha avuto una reazione isterica. Ha picchiato i pugni sulla parete, mi
urla che sono pazza, che non si può vivere rinchiusi, non è umano, è da bestie.
Quanta
incongruenza nelle cose che urla, perché gli animali possono vivere rinchiusi,
poi? Di quale delitto si sarebbero macchiati? Le avrei risposto, allora le
suore e i frati che fanno questa scelta? Sarebbero pazzi anche loro? Se solo
avessi voluto parlarci. Così l’ho lasciata picchiare contro il muro e sbraitare.
E la pazza sarei io…
16
agosto 2017
Ha
sbattuto la porta. Era quella d’ingresso, ne sono certa.
Mamma
è partita, Ha scritto una lunga lettera di cui ho letto solo le prime quattro
righe. Il suo terapista le ha consigliato di uscire e svagarsi. La mia mamma ha
un terapista, le note positive della mia scelta non finiscono mai!
20
agosto 2017
Di
notte è più facile. Tutto è più facile.
La
prima uscita è stata emozionante. Non in senso positivo.
La
casa è vuota.
Avvertivo
tutti i rumori, gli scricchiolii della casa vuota. Ogni ombra era pronta ad
aggredirmi, a divorarmi. Le ombre, di notte, hanno lunghi denti affilati.
Ma
il frigorifero è una meta troppo ambita per rinunciare. Avrei dovuto pensare a
un piccolo frigo portatile per la mia stanza, ma potrei ordinarne uno su
internet.
10
settembre 2017
Questa
notte mi sono iscritta a un corso online.
Gli
esami all’università non stavano andando male, prima del mio “ritiro” e non
avevo previsto di smettere gli studi.
Contrariamente
a quello che possono pensare le persone che credevano di conoscermi, non sono
depressa, non ho pensieri suicidi, al contrario, ho energie nuove e vorrei
tanto tornare a studiare.
Proverò
l’università telematica, finché si potranno dare esami a distanza, non ho
nessuna intenzione d’uscire.
20
settembre 2017
Il
sistema dello scambio funziona.
Di
mattino lascio fuori della porta un sacchetto con indumenti sporchi, quelli che
non sono riuscita a lavare nel mio lavandino, e un sacco con i rifiuti. Non ho
nessuna intenzione di vivere nel mio lerciume.
La
sera tardi, solitamente quando mi sveglio, trovo il solito biglietto, che evito
di leggere, sotto la porta e un pacco con cose buone da mangiare, biscotti,
frutta fresca, e gli indumenti puliti.
Non
sono stirati, ho chiesto di non stirare nulla, tanto nessuno può vedermi, ho
scollegato la webcam per sicurezza.
3
ottobre 2017
Mancano
pochi minuti a mezzanotte.
Sono
emozionata. Saranno sei mesi, sei mesi, capite? Sono felice, sento i colpi accelerati
del mio cuore nei polsi, la mia pelle resa ancora più pallida dalla luce al
neon sullo specchio, sembra aver ripreso colorito. Qui non ho paura, sono al
sicuro come una bambina nell’utero materno.
14
ottobre 2017
Ho
una discreta collezione di dischi. Circa trecento.
Mi
basteranno almeno un anno. Voglio imparare a memoria tutti i testi. Ho anche
molti CD. La radio la evito, troppo rumore sporco del mondo esterno.
Per
quello internet basta e avanza.
29
ottobre 2017
Il
computer è invaso da zucche.
Ho
la posta elettronica impazzita. Ma cosa prende a tutti?
11
novembre 2017
Ci
dev’essere un guasto all’impianto di riscaldamento. Ho passato la notte, seduta
davanti alla tastiera, con tre coperte sulle spalle. Tremavo tanto da non
riuscire a digitare. Forse ho la febbre.
20
novembre 2017
Mio
padre mi ha inviato una mail.
Intendiamoci,
le mail dei genitori vanno dritte nello spam ma questa volta mi ha scritto
dall’ufficio. Non credo l’abbia fatto apposta.
E’
incredibile, ha avuto il coraggio di chiedermi di ripensarci, di “scendere
dalla mia montagna”, che incantevole metafora, vorrebbe che andassi a stare con
lui! Con lui e con la sua compagna, per intenderci.
Hanno
intenzione di sposarsi all’inizio del nuovo anno…
Mi
sono affrettata a bloccare anche questo contatto.
7
dicembre 2017
Benedetta
è stata male, una cosa da niente, influenza con la febbre, ma oltre al breve
messaggio che mi avvertiva, questa settimana non si è fatta più sentire.
Spero
non si stufi di me, è tutto il mio mondo.
19
dicembre 2017
Quante
cose si possono imparare su internet. E quante si possono comprare.
Basta
avere tempo e una carta di credito bella piena.
Io
ho entrambe le cose. Mi manca Benedetta, non ha risposto ai miei messaggi, non
vorrei che fosse una tattica di mia madre.
Pazienza.
Ho
nuovi amici in rete.
2
gennaio 2018
Finalmente
un po’ di silenzio.
Cosa
ci sarà da festeggiare.
Fuochi
d’artificio, petardi, ululati di cani, solo la casa è stata silenziosa e vuota.
Ho approfittato per un raid notturno, bottino: una bottiglia di vino bianco e
del vitello tonnato, stanotte bagordi.
12
febbraio 2018
Nessuno
mi cerca più.
Sento
di poter raggiungere lo stato di purezza che sognavo all'inizio del progetto.
Posso
farcela. Dalla ragazza disastro che faticava a mantenere rapporti e relazioni e
si sentiva scivolare via la vita come sabbia stretta in un pugno a uno stato di
liberazione da vincoli e catene.
Mi
sento leggera, mi sento libera.
27
febbraio 2018
Non
so se sia giorno o notte. Ho aperto gli occhi ma gli scuri rendono la stanza
buia, non sento rumori, solo un fastidioso ronzio. Lo schermo del portatile
illumina fioco un angolo ma non mi avvicino, ricevo ininterrottamente centinaia
di mail da tutto il mondo ma non mi va di rispondere.
Lo
farò più tardi.
3
marzo 2018
Ho
ancora tre pacchi di merendine per un totale di ventiquattro pezzi. Qualche
tavoletta di cioccolato e quattro barrette iperproteiche. Acqua fresca quanta
ne voglio, se il lavandino non mi tradisce.
Ieri
sera non c'era nessun pacco di provviste dietro alla porta.
6
marzo 2018
Il
ronzio all'orecchio non accenna a passare. Ora è doloroso.
Non
mi sento bene.
Vorrei
parlare con Benedetta ma ho finito per partecipare a una chat con un certo
Ramhil Purtyachabhaar da qualche parte tra il Nepal e Madagascar.
Dice
di avere problemi di pelle e di non comunicare con i genitori.
15
marzo 2018
Non
sto bene.
Ho
vomitato. Sento la febbre, ho la pelle che scotta, ma non ho un termometro.
Ancora
una volta, ieri, niente vassoio dietro la porta.
20
marzo 2018
Mia
madre lo fa apposta.
Le
ho scritto di non stare bene. Ha infilato un foglio con la scritta: ESCI.
Vette
di egoismo mai raggiunte prima.
23
marzo 2018
Ho
provato a mangiare ma ho vomitato tutto. Lo specchio del bagno non riflette una
bella faccia, ho occhiaie nere, forse perché sono le quattro del mattino. Ieri
ha bussato alla porta un medico ma non mi sono fidata.
25
marzo 2018
Devo
resistere. Tra pochi giorni sarà un anno. Tra i miei contatti sono un mito. Mi
fa male l'orecchio ma la nausea è passata e sono riuscita a masticare due
gallette.
30
marzo 2018
Ci
siamo. Hanno deciso di tirarmi fuori. Non posso saperlo con certezza, la mia
amica non si è più fatta sentire e i pochi amici li ho lasciati andare io…
Questa
notte ho sentito passi fare su e giù per le scale. O forse era giorno, non ho
capito. Ho idee confuse, ho avuto vertigini e vedo la tastiera doppia.
1
aprile 2018
Chi
è? Chi bussa? Avanti, è aperto… No, cosa
dico, è chiuso, ho chiuso io con tutti, col resto del mondo, questo è il mio
regno ed io sono la regina dei rifiuti, sul letto carte, fazzoletti e
pannolini, asciugamani usati, una vestaglia sporca di sangue. Gira tutto, gira
il mio regno, lo domino da quasi un anno, ce la faccio non ho bisogno di aiuto,
anche se non bussano più, ora qualcuno armeggia con la porta. Devo nascondermi
in bagno.
Sto
male.
Irene fu ricoverata in clinica, con
un trattamento sanitario obbligatorio, il 2 aprile alle due del mattino.
Morì due giorni dopo, il quattro.
Io ero suo amico.
Sono riuscito a salire nella sua
stanza, nel suo regno come l’ha chiamato lei, con suo padre, per prendere le
cose necessarie al ricovero.
L'odore era terribile. Mi ha fatto
salire le lacrime.
Ho trovato, sul pavimento, il
diario rosso con queste poche pagine, testimonianza del suo ultimo anno.
Troppo poco per capire.
Scusa Irene.
Non abbiamo compreso niente di te.
Perdonaci.
Ti abbiamo tradita.
lunedì 4 febbraio 2019
luoghi insoliti: Cade la neve
luoghi insoliti: Cade la neve: Cade la neve. Cade in silenzio. Come in silenzio si resta nei luoghi solenni. In silenzio, così come spesso, in silenzio, ...
Cade la neve
Cade la neve.
Cade in silenzio.
Come in silenzio si resta
nei luoghi solenni.
In silenzio, così come
spesso, in silenzio, sono progettati i cambiamenti più importanti.
Come in silenzio opera
chi è capace delle cose migliori, tra tanti che urlano.
Cade la neve e non fa
rumore.
E ogni rumore è in
grado di azzerare.
Cade la neve e ricopre
lenta tutte le cose.
Nasconde la neve, le
strade imperfette, le buche, cela le crepe e le storture.
Copre i sacchetti dei
rifiuti, abbandonati sui marciapiedi. Copre le macchie di olio motore e le
foglie ammuffite. Rende pulita l'aria che prima era satura di polvere,
inquinata e appestata da troppi vizi e poche virtù, che solo a respirarla ci
rendeva più cattivi e più stupidi.
Cade piano la neve.
Non ha fretta, è un
lavoratore ostinato e tranquillo, che niente e nessuno può fermare. Scende lenta e inesorabile, un mare d'acqua
congelata, cristallizzata, leggera come piume e pesante come cemento, che
sembra galleggiare nell'attesa di impolverare la superficie delle cose.
Una pagina bianca,
perfetta, come ci piacerebbe tante volte avere a disposizione, quando le cose
non vanno come vorremmo e farebbe comodo ricominciare da zero.
Cade la neve e tutto
sembra purificare.
Quello che ieri ci
sembrava anonimo e scontato, brutto e sporco, oggi ci appare puro, poetico e
artistico.
Un'infinità di bianche
opere, di fredda bellezza.
Cade la neve su di noi.
E ci rende puliti e
perfetti, o a volte
solo bagnati e
intirizziti.
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