lunedì 22 febbraio 2021

Punti di vista

 





Fiato grosso, dolore alle articolazioni, sudorazione profusa.

No, non si tratta di una nuova influenza, pensa Paolo, con la convinzione di essere ironico. Non è convinto di essere felice di quella scarpinata in quota, come un uditorio potrebbe non essere convinto di quella sua misera ironia.

Quando gli fu proposta, lui accettò per fare qualcosa di diverso, una camminata tra i boschi aveva immaginato, tutto tranne questo. Un’ora sempre in salita, con tratti dove si era dovuto aiutare con le mani, aggrappandosi alle radici di radi, coraggiosi arbusti, per continuare a salire, tanto la pendenza si era fatta ardua.

Ora che si sono fermati in uno spiazzo, mentre cerca di dare dignità al proprio ritmo respiratorio e si deterge il sudore della fronte con un gentile fazzoletto di cotone, da cittadino, si volta indietro e guarda qualcosa d’imprevisto.

Qualche centinaio di metri sotto di loro, la valle spazzata dal vento freddo, brilla come un paesaggio marziano.

Paolo non ha mai visto il luogo, in cui vive da una vita, così dall’alto.

La sua guida si avvicina e apprezza lo stupore dell’uomo.

Sotto di loro il fiume sembra una fettuccina pallida, che si dipana, dividendo in due parti, quasi simmetriche, la valle. I tetti delle case sono minuscoli rettangolini rosso scuro e l’autostrada è una linea retta grigia, che si perde in lontananza. Sembra tutto finto, gli edifici, le fabbriche, le chiese… alla stregua dei mattoncini del monopoli.

Paolo sa, che, mentre lui guarda quei mattoncini dall’alto, al loro interno la vita continua a scorrere, le persone cucinano, dormono, guardano la televisione, parlano al telefono, litigano. Lui non le vede e non può sentirle ma è consapevole dell’esistenza che fluisce e brulica. Immagina di avere i piedi sopra un enorme formicaio. Si rende conto che, fino a qualche ora prima, era anche lui nel formicaio, dentro uno di quei mattoncini a fare le cose che fanno tutti e ora è lassù e una strana sensazione di onnipotenza lo invade.

-Come cambia la prospettiva, vero?

Gli dice la guida, leggendo nei suoi pensieri. Paolo è talmente assorto che quasi non lo sente. Poi risponde:

-Proprio così, un altro punto di vista.

 

Restano in silenzio e Paolo approfitta di questo silenzio, rotto solo dal fischio del vento che quassù è continuo. Gli è appena venuto alla mente un ricordo.

Sei mesi prima era precipitato in un incubo, per lui, uomo d’affari, con la testa sempre al lavoro, la costante attenzione alla produzione, alla precisione, al polso un orologio preciso al millisecondo, in tasca uno smartphone costantemente aggiornato con appuntamenti, scadenze, meeting, impegni. Tutto era iniziato con qualche linea di febbre, poi una tosse dispettosa che gli spaccava il petto, si era preso un paio di aspirine e non ci aveva voluto pensare. Più tardi, di notte, quando accadono le cose più spaventose, lo aveva svegliato un macigno sul petto, che non lo lasciava respirare e il dolore aveva ceduto il passo al panico. Ricordava il suolo lugubre dell’ambulanza, dall’interno dell’automezzo non lo aveva mai sentito e assomigliava a un canto molto triste. Il ricovero e il freddo della barella metallica sulla pelle. Non ricordava molte cose, che gli erano state spiegate dopo, ma molto sì e tra le cose che non avrebbe potuto dimenticare c’erano le priorità. Quelle nuove e drammatiche, come respirare aria fresca, far cessare quel terribile mal di testa e quei brividi che lo spossavano. Quella di potersi, un giorno, recare al gabinetto con i suoi piedi e non doverla fare nel contenitore di plastica e vergognarsi come un ladro. Quei giorni si era dimenticato del suo orologio costoso, della sua attività, e del suo cellulare troppo intelligente. Ricordava di avere pensato ai suoi genitori anziani e di avere pianto per la paura di non poterli più abbracciare. Ricordava di essere diventato di colpo fragile e impaurito, come un bambino piccolo che ha paura di essere abbandonato dalla mamma.

Ricordava di avere cambiato punto di vista sulla vita intera.

 

Oggi è felice di non avere dimenticato quei momenti orrendi. Non vuole dimenticare.

Sarebbe tornato al suo mattoncino e la vita non sarebbe più stata la stessa.

Mai più.

La guida vede le lacrime sul volto di Paolo e si precipita a dire:

-Il vento le dà fastidio, vero?

-Non si tratta del vento. Risponde Paolo.

-E cosa?

-E’ solo il mutamento del punto di vista.

Poi sorride e gli fa cenno di proseguire.

 

 





lunedì 15 febbraio 2021

amico antico












A quasi settant’anni, Giulio non avrebbe mai immaginato di registrarsi su Twitter.

Ancora meno avrebbe detto che questo avrebbe segnato una svolta nella vita.

Era stato suo nipote a convincerlo, amava avere un nonno al passo con i tempi.

Giulio era figlio di un'altra epoca, un tempo diverso in cui ci si spedivano cartoline e si leccava il retro dei francobolli, un mondo, dove si faceva visita ai parenti, avvertendo per telefonata magari da una cabina col telefono a gettoni e si portavano le paste fresche su un vassoio. I social erano roba per suo figlio, meglio ancora per suo nipote!

Era andato a scuola e si era diplomato ed era passato quasi mezzo secolo ma Giulio, l'istruzione e l'educazione le aveva ricevute e manteneva memoria di queste.

Che bei tempi e che belle amicizie ricordava di quell'epoca.

Uno su tutti era importante, il ricordo di Matteo, quello che una volta si sarebbe definito l’amico del cuore. Il suo confidente, il suo socio, l'alter ego, il rifugio nella tempesta e all’occasione l'avvocato di cause disperate. Che bel ricordo, l’amicizia con Matteo, gli voleva bene più che a suo fratello ed era stato ricambiato dall'amico, che era figlio unico ma aveva imparato in quegli anni cosa volesse dire avere un fratello. Matteo era stato il primo amico vero, dopo l’adolescenza, anni difficili durante i quali imparare a radersi, a litigare con i genitori, ad approcciare le ragazze, a costruire senza saperlo, l'uomo che si sarebbe diventati. E Matteo aveva assolto il ruolo di amico con naturale e amabile leggerezza. Con lui Giulio poteva parlare di tutto, studiavano assieme, passavano i pomeriggi a passeggiare su e giù per il viale a osservare le ragazze, credendo di non essere visti, guardavano programmi demenziali alla televisione, tutto aveva un gusto speciale. Era facile anche stare in silenzio.

Era durata anni la loro amicizia, sincera e leale, incorruttibile, poi come spesso accade, si erano persi, correndo dietro le proprie fidanzate che, a differenza di loro due, non avevano niente da spartire e nessun interesse per iniziare e saldare un’amicizia.

Così aveva perso di vista quell’amico speciale, quell’anima rara che aveva avuto la fortuna di incontrare. Lentamente, senza dolore. Senza accorgersi aveva smesso di pensarci, avvolto da una nuova vita, rapito da un matrimonio complicato, dalle cose dell’esistenza che ti distraggono e ti fanno dimenticare anche solo di ascoltare il tuo cuore che batte.

Non poteva dire di aver dimenticato l'amico, solo lo aveva relegato in un cassetto della memoria che non apriva molto spesso, come si fa con un gioiello antico che è stato importante quando ci è stato regalato ma ora è fuori moda e non s’indossa più.

E quel regalo di gioventù, Giulio lo ricordava bene ed era andato di recente ad aprire quel cassetto, sempre più spesso, con un brivido nella pancia e una specie di bellissimo dolore, nato forse dalla mancanza di quell’amico, forse dalla nostalgia di una gioventù che si faceva sempre più lontana.

Tutto cambiò quando imparò a maneggiare il cellulare. Giulio leggeva i messaggi che suo nipote gli inviava dai banchi dell’università e lo infastidiva un po’ sapere che invece di seguire le lezioni, il ragazzo, fosse impegnato a maneggiare la tastiera del suo telefono, leggeva le notizie e di recente le notifiche di Twitter, proprio come tutte le persone di oggi. Quando lesse il nome e il cognome di Matteo, ebbe un sussulto. Il messaggio era per lui, gli diceva che Matteo si ricordava del vecchio amico e che anche lui aveva voglia di rivederlo. Giulio dovette asciugare gli occhi, erano anni, no, decenni che non aveva notizie di Matteo e leggere il suo messaggio lo aveva emozionato.

Chiamò suo figlio per comunicare la notizia ma l’uomo non si dimostrò altrettanto toccato, preso com’era dalla propria vita e dal proprio lavoro. Giulio pensò che sarebbe stato meglio condividere la sua gioia con suo nipote. Il ragazzo avrebbe di certo capito meglio cosa vuol dire ritrovare un vecchio amico.

Ci fu uno scambio rapido di messaggi con Matteo e stabilirono di incontrarsi nel bar storico, della piazza centrale, il posto vicino alla scuola che frequentavano prima di diventare maggiorenni.

Per Giulio vivere la vigilia dell’incontro fu quasi drammatico, cosa ci diremo, cosa gli racconto, gli parlo di mio figlio, della sua carriera, no, meglio raccontare di mio nipote e dell’università, ma si annoierà… gli racconto del matrimonio e delle passate vacanze, ma non credo che possa interessargli, insomma aveva dormito poco e male.

Il giorno dell’appuntamento arrivò, come tutto ciò che più aspettiamo, dopo un’attesa sfibrante, giunse all’improvviso e lo colse impreparato.

Vide Matteo, che si alzava dal tavolino, con la sua testa completamente calva, con chili addosso di cui non era a conoscenza, rughe sul viso che erano lo specchio delle proprie rughe ma con quel sorriso che era lo stesso sorriso che Giulio conosceva bene, lascito della sua impertinenza giovanile.

Giulio e Matteo vennero incontro l’un l’altro, senza parole ma entrambi con un'espressione stupida sulla faccia.

Sembravano due adolescenti nel momento di fare uno scherzo a qualcuno.

A Giulio tremava un po’ la bocca, non sapeva davvero cosa dire.

Fu Matteo a rompere il ghiaccio.

“Ciao amico mio. Dove eravamo rimasti?”

Ecco la cosa giusta da dire, pensò Giulio felice.

Dove eravamo rimasti…

Asciugarono una lacrima e ripresero il discorso.














sabato 6 febbraio 2021

La riunione

 





 

-A che ora è la riunione?

-Alle sedici.

-Ma sono le quattro e cinque…

-Appunto!

Mai che s’inizi in orario, pensa Piercarlo, che cavolo. Anche oggi mi tocca uscire alle ore beate… Entra nella stanza riunioni, nota che ci sono ancora diverse sedie vuote. A colpo d’occhio valuta dove sistemarsi, vicino  a Riberti no, ha l’alito pesante, Aurora è carina ma è una rompicoglioni, finisce per fare mille domande e a starci seduto vicino avrei tutti gli sguardi addosso. Vicino Pasquale, il collega più anziano, c’è un posto libero. E si fionda.

Pasquale lo saluta con un cenno della mano. E’ uno taciturno e se apre bocca, di norma, è per dire qualcosa di sensato.

Il dottor Guidi gli lancia un’occhiataccia, di certo un rimprovero muto per il ritardo. Piercarlo lo ignora. Anzi, gli sorride ironico.

Guidi conta quanto il due di picche, anche se gioca a fare la star.

-Ci siamo quasi tutti, due minuti e iniziamo.

Esclama Guidi dall’alto della sua gloria.

Il brusio latente, sale di volume, come a scaricare le ultime chiacchiere futili prima della riunione.

Entrano la Patty e la Gabry, due specie di veline di serie B, un po’ in avanti con gli anni ma molto appariscenti, probabile che l’azienda le tenga solo per compiacere i clienti, è il pensiero cattivo di Piercarlo.

-Patrizia e Gabriella aspettano sempre di essere le ultime, per fare un ingresso scenico.

Mi sussurra Pasquale in un orecchio.

Sorrido, mentre Guidi apre ufficialmente la riunione.

-So che sarebbe stato opportuno mandare a tutti i presenti la scaletta dell’ordine del giorno, via mail, ma ci sono stati problemi …

Intanto potresti salutare, l’educazione non s’insegna ai piani alti, poi quali problemi, siete incompetenti, pensa Piercarlo. Guidi prosegue, col suo tono mellifluo da imbonitore televisivo. Tutti sanno che è l’unica caratteristica che spieghi il suo successo e la sua posizione in azienda. Lentamente si addentra in questioni tecniche, di vendita dei prodotti e di logistica commerciale. La prima mano alzata dopo trentasei secondi è quella dell’Aurora. Ci avrei scommesso lo stipendio. Pasquale m’indirizza un cenno che dice: ho scommesso anch’io!

Guidi si irrita ma finisce la frase e le cede la parola. Come sempre la domanda di Aurora è retorica e inutile ma permette a Guidi di esibire una delle sue frasi modello:

-Chiarisco il concetto…

“Chiarisco il concetto”, può sembrare una frase innocua ma come la dice lui appare proprio uguale a: siete un branco di capre e devo sempre spiegare la stessa cosa due volte.

Guidi non finisce di chiarire il suo concetto che Aurora ha di nuovo la mano alzata.

Non vorrei sembrare pedante ma…

Signorina Aurora, mi lasci almeno l’opportunità di finire di spiegare…

Le schermaglie dureranno per tutta la durata della riunione, un’ora e quaranta.

In un’ora e quaranta la signorina Aurora è capace di alzare la mano sedici volte, pensa matematico Piercarlo. Pasquale si guarda la punta delle scarpe, poi guarda il soffitto, dopodiché guarda di nuovo le sue scarpe, infine guarda me, sconsolato.

Aurora guarda Guidi, il dottor Guidi esibisce nuovamente la sua elegante locuzione. Chiarisco il concetto.

La prossima volta che lo dice gli tiro la stilografica in faccia. Pasquale si avvicina e mi sussurra un:

-Stai calmo.

Forse sa leggere il pensiero.

I maschi del reparto vendite sono divisi in due gruppi. Il primo osserva le cosce della Patty, il secondo le tette della Gabry. Tutti sono concentrati come se ascoltassero una conferenza sulla fisica quantistica.

All’ennesima mano alzata della signorina Aurora, il dottor Guidi si arrende ed è costretto a dichiarare la resa.

-Data l’ora, cara signorina, terrei presente la sua questione, all’ordine del giorno della prossima riunione, la tenga a mente o mi mandi un memo.

Guidi ama le abbreviazioni.

La riunione è aggiornata, come sempre non abbiamo preso decisioni definitive, non si sono trovate soluzioni temporanee, non si è giunti a conclusioni provvisorie. La Patty e la Gabry sfoggiano scollature e sorrisi, i colleghi si stringono attorno alle miss. Aurora sbatte il taccuino sulla sedia e si allontana scontenta, Guidi studia il suo Rolex per non dover salutare i sottoposti che peraltro escono senza nemmeno guardarlo.

Pasquale si alza dalla sedia, mi stringe la mano e nel congedarsi bisbiglia:

-Ci vediamo alla prossima riunione ma se hai qualche buona idea passa in ufficio da me, la porta è aperta.

-Magari passo, oppure ci vediamo in area relax, davanti alla macchina del caffè.

-Si, è meglio, lo sanno tutti che le idee e i cambiamenti nascono sempre davanti alla macchina del caffè.

Lo guardo allontanarsi.

Forse la riunione non è stata del tutto inutile.