martedì 28 luglio 2020

luoghi insoliti: L'abbraccio

luoghi insoliti: L'abbraccio: La giornata si annunciava calda dalle prime ore del mattino.  Alle dieci stavo grondando di sudore. E dal momento che...

L'abbraccio













La giornata si annunciava calda dalle prime ore del mattino. 

Alle dieci stavo grondando di sudore. E dal momento che, per quel giorno di lavorare non se ne sarebbe parlato e che ne avevo avuto abbastanza del genere umano, scelsi di andarmene a passeggiare nel posto più isolato che conoscessi. 

Un parco con un’infinità di ettari di bosco, prati e cascine isolate, viali coperti da ghiaia e costeggiati da pioppi, ippocastani e salici. Leprotti e cornacchie in gran quantità. Prati, circondati da recinti malridotti e coperti d'erba, brucata da cavalli pazienti, usati a turno per dare lezioni di equitazione ai ragazzini. Un posto buono per pochi corridori incalliti e per qualche ciclista amante della natura, un posto preso d'assalto da folle chiassose la domenica ma tranquillo e adatto alle riflessioni in settimana. 

Ecco cosa cercavo, ecco quello di cui avevo bisogno. 

Un posto dove stare con me stesso e ascoltare il silenzio, balsamo per orecchie ferite da mille rumori fastidiosi e parole urticanti e inutili di gente senza significato. 

Camminare ascoltando lo scricchiolio delle suole e nient’altro a disturbare, che paradiso dopo una settimana di fuoco. 



Ecco il mio posto, dove posso vivere qui e ora. 

Mi piace camminare, penso piano, mi rilasso e resto ad ascoltare i battiti del mio cuore. 

Sento un rumore poco lontano, sul vialetto più avanti, saranno venti metri. C’è una donna che cammina con un bimbetto al fianco, i due si parlano, arrivano le loro voci ma non abbastanza da distinguere le parole. 

Reprimo una smorfia di fastidio, mi dico che non posso odiare così il genere umano, che disturbo possono arrecare una mamma e il suo piccolo bimbo mentre camminano sul viale all’ombra delle foglie? Mi chiedo se non sia io il problema, se non stia diventando un vecchio orso, un brontolone insopportabile, un misantropo irrecuperabile. 

Certo, un po’ scontroso lo sono sempre stato, ultimamente essere asociale lo considero un vaccino contro l’idiozia dilagante che l’uso e l’abuso di internet stanno facendo esondare e scorrere nel mondo come un’emorragia da una ferita aperta. 

Ma cavolo, una donna e un bambino, no. Non possono in alcun modo rovinarmi la giornata. 

Essendo il mio passo più veloce, mi avvicino ai due rapidamente. Il piccolo potrà avere al massimo due anni, parla ostinatamente col suo modesto vocabolario e con il classico accento dei bambini piccoli, tanto usato nella pubblicità. Il bimbo è rapito dai cavalli che brucano erba secca dietro al recinto. Vorrebbe toccarli e ovviamente non vuole che la mano di mamma limiti la sua fame di conoscenza. 

La donna sente i miei passi con un sussulto di chi deve vivere costantemente sul filo dell’ansia, poi si rivolge al figlio dicendo: -Stai attento, fai passare il signore. 

Assumo un’espressione di circostanza, una specie di sorriso e passo oltre con poco interesse. 

Il bimbo si volta un istante ma non è interessato a sua volta, poi torna a essere affascinato dai quadrupedi. 

Ora i due sono alle mie spalle, non ci penso più e torno a fare quello che avevo interrotto, coltivare il pensiero di essere l’ultimo uomo sulla terra. 



Questo sarebbe stato possibile se non fosse successo quello che invece è stato. 



Ascolto la voce della mamma che non trattiene la rabbia, non vuole che il bambino si avvicini alla recinzione, pretende che lui le dia la mano. 

Faccio finta di non sentire ma l’improvviso urlo della donna mi costringe a voltarmi. 

Il bimbo è scivolato sul bordo del vialetto. Il terreno argilloso, il pendio verso il prato, il fatto che l’esserino è talmente piccolo da passare agevolmente sotto il recinto, causano il resto. Il bambino è rotolato nel prato come una valanga di massi rotolerebbe sul versante di un monte. Sembra una scena tratta da Piccole canaglie e sarebbe comica sennonché lo sguardo sgomento della madre e le lacrime che le stanno affiorando mi fanno passare la voglia di ridere. 

Lei urla il nome del figlio, come se questo potesse fare la differenza ma il bambino piange e sputacchia la terra entrata in bocca. I cavalli sono infastiditi, si muovono nervosi ma non si spostano per lasciar passare quella piccola valanga vivente. Il bimbo atterra a faccia in giù quasi in mezzo ai quattro animali che sbuffano e producono schiocchi con la lingua. 

Un nitrito di eccitazione fa piangere più forte il bambino e urlare sua madre, un animale batte gli zoccoli al suolo, quegli zoccoli che distano così pochi centimetri dalla testolina del bambino. 

Così mi sveglio da un inspiegato torpore, m’infilo tra i legni della palizzata e senza fare rumore per non spaventare le bestie, corro verso il bimbo, lo raccatto da terra come farei con un sacchetto, lui è molle e inerte, quasi senza peso, me lo carico in braccio e in due secondi ho scavalcato il recinto e ho depositato il fagottino singhiozzante tra le braccia della mamma gemente. 

I cavalli quasi non si sono mossi, devono essere mansueti, mi spiego per spolverare qualche grammo di fifa che mi era rimasta sulla camicia. 

Saluto e riparto per la mia strada. 

La donna mi chiama. 

-Signore…? 

Mi volto. 

-Grazie. 

Dice lei. 

-Non è niente. 

Mi giustifico, vorrei solo andare via. 



-Aspetti… Lei dice qualcosa al bimbetto che ora non piange più ma tira su col naso facendo un rumore orribile. 

Il bimbo prende la rincorsa e mi si aggrappa alla gamba stringendola in un goffo quanto energico abbraccio. Poi guarda su verso di me per la prima volta e per la prima volta vedo i suoi piccoli occhi neri, così svegli, così intelligenti, così vivi e così pieni d’amore. 

-Grazie signore… 

Poi si stacca dalla mia gamba e torna correndo dalla mamma. 

Non dimenticherò facilmente gli occhi di quel bimbo. La sua espressione nitida e sincera. Il suo grazie. 

Mi sono girato e ho ripreso la mia camminata sul viale. Non volevo che mi vedessero. 

Mi vergognavo delle mie lacrime. 

Ma lì, su quel viale è stato come se quel bimbo avesse aggiustato qualcosa dentro di me. Come se avesse messo un pezzo mancante da tempo. 

So che devo lavorarci ancora molto ma quel bambino ha riparato qualcosa nel mio motore che da qualche tempo girava male. 

E l’ha fatto stringendomi la gamba. 

Con un abbraccio da piccola canaglia che avrebbe fatto ridere il vecchio me e che invece mi ha fatto piangere. 

E mi ha reso nuovo. 











luoghi insoliti: ergodica

luoghi insoliti: ergodica: La prima volta che mi sono imbattuto in questo termine, stavo tentando di riempire uno schema di parole crociate. Inut...

ergodica











La prima volta che mi sono imbattuto in questo termine, stavo tentando di riempire uno schema di parole crociate. Inutile dire che


Casella di testo: Non avevo idea di cosa fosse1







Casella di testo: 1 salvo in seguito fare una cosa che gli appassionati di enigmistica aborrono, ossia prendere il dizionario e scoprire cosa volesse dire quel termine. Nello specifico la definizione si riferiva a un esempio di letteratura ergodica.





Una volta
 soddisfatta la curiosità
 riguardo al significato del termine,
 il passo successivo è stato farmi venire
 il prurito cercando di capire quale fosse un esempio più
calzante, più appropriato di tale letteratura e il solo modo per attenuare
quel prurito era iniziare una ricerca che, devo ammettere, non si è rivelata generosa
quanto sperato. Non immaginate la fatica che ho fatto ma alla fine avevo reperito risultati




Casella di testo: interessanti



Riservato: La ricerca in questione ha condotto verso un titolo di cui non conoscevo l’esistenza, si tratta di un tomo che supera 
le settecento pagine che è stato pubblicato per la 
prima volta in Italia più di quindici anni fa 
ma che deve aver spaventato un’intera 
generazione di lettori perché a 
dire il vero nella classifica 
dei libri non l’ho mai 
visto apparire.
Finora…




Il libro in questione è...


Casa di foglie



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sabato 18 luglio 2020

luoghi insoliti: L'attesa

luoghi insoliti: L'attesa: Sono passati quattro mattini. Quattro mattini e tre notti. Poi c’è qualcuno che pensa che noi canidi non sappia...

L'attesa













Sono passati quattro mattini. Quattro mattini e tre notti.

Poi c’è qualcuno che pensa che noi canidi non sappiamo contare.

Ci credono solo capaci di fare i giochini tipo riportare un ramoscello, rotolare al suolo, rincorrere la propria coda, fingersi morti… tutte cose facili, per carità, ma molti di noi sanno anche contare, stupiti vero?

Dunque, dicevo? Si, sono passati quattro mattini da quando la padroncina è uscita e sto ancora aspettando. La porta la tengo d'occhio, non mi distraggo nemmeno un istante, anche quando divoro i croccantini dalla ciotola, anche se per lappare un poco d'acqua allago tutto il pavimento ma la porta non mi sfugge.

Anche quando il mio padrone mi attacca il guinzaglio e sono felice perché è tutta la notte che la tengo e anche la tenuta di un cane ha i suoi limiti ma prima di uscire mi giro verso la porta e se potessi parlare le direi: non credere di esserti liberata di me, tornerò presto, appena liberate le budella e ricomincerò a fissarti, non avrai scampo.

Prima o poi ti aprirai e lì da dove è uscita quattro giorni fa, proprio da lì rientrerà la mia amata padroncina e tutto sarà bello come prima, tutto tornerà a essere normale con i miei padroni che parlano tra di loro e ogni tanto, spesso a essere precisi, parlano anche con me.

Ti sto fissando porta, a me non la dai a bere, non importa quanto dovrò farlo ma continuerò a fissarti, prima o poi restituirai la mia padroncina e io sarò attento a non perdermi quel momento.

Dicono che siamo fedeli, i migliori amici dell'uomo, ed è vero, amici, tutto vero ma la nostra qualità maggiore è la pazienza. Noi siamo pazienti.

Cara porta, il sono il più paziente tra i cani pazienti, posso aspettare un tempo lunghissimo, non mi stanco di certo io, starò qui finché non sarai tu a stancarti e dovrai restituirmi la mia padroncina. E fidati, io sarò anche un giocherellone, da buon cane sarò fedele ma di certo sono paziente e posso aspettare tutto il tempo che voglio.

Ecco, mi metto seduto qui a guardarti, porta. Se il mio padrone mi chiama farò finta di non sentire, non posso perdere il momento in cui rientrerà lei.

Ma cosa? Che succede? No, non voglio stare fuori, si lo so che comandi tu, ora devo stare nel cortile sul retro, proprio ora che annuso qualcosa nell'aria, ora che avverto un cambiamento, una sensazione strana, che mi riempie il cuore di gioia, il cuore di un cane che normalmente è già pieno di gioia, ora di più, la mia coda è inarrestabile e ho voglia di saltare e correre perché sento una voce in casa, fatemi entrare, è la sua voce e finalmente la porta l'ha restituita, non importa se non ero in casa a vedere, importa solo che ci sia lei dentro e finalmente mi fanno entrare e posso vederla con i miei occhi canini, se fossi umano piangerei di gioia, non importa se non posso salire sul divano, se lei si protegge per non farsi male, importa solo che ora mi porge la mano che io posso annusare e leccare e posso tornare ad annusare il suo buon odore che tanto mi era mancato.

Quattro giorni ho aspettato ma avrei potuto aspettare anche quattro anni, perché io sono paziente come un cane, certo sono un cane, e non importa il tempo che tu, porta, mi hai fatto aspettare, importa solo che ora siamo di nuovo tutti assieme e finalmente posso smettere di aspettare.













sabato 11 luglio 2020

luoghi insoliti: La casa sull'albero

luoghi insoliti: La casa sull'albero: Avete presente Doc, quello di Ritorno al futuro? Io lo conosco.  Di tanto in tanto mi da uno strappo da qualche pa...

La casa sull'albero











Avete presente Doc, quello di Ritorno al futuro? Io lo conosco. 

Di tanto in tanto mi da uno strappo da qualche parte. Lui mi chiede dove voglio andare, forse dovrei dire quando… apre lo sportello della DeLorean, mi fa salire a bordo e parte. 

A me non rimane che raccontare il resto… 

Arriviamo ai margini di un vigneto. L'odore dell'erba tagliata si mescola con quello dell'estate appena cominciata. Il mattino è terso e il cielo è azzurro e pulito. Insetti ronzano tra i fiori. Al termine dei filari ci sono alcuni alberi da frutto. Due ragazzini stanno giocando sulla terra argillosa, loro non lo sanno ancora ma si tratta di ciliegi. Questo lo scopriranno qualche tempo dopo, quando raccoglieranno e gusteranno i frutti della pianta. 

I due ragazzi hanno undici e tredici anni, non sanno ancora niente della vita ma si credono due sapienti, il che li rende uguali in tutto e per tutto ai loro coetanei di oggi. Arrivano da due città distanti e si sentono in vacanza ogni volta che trascorrono qualche giorno dai parenti in campagna. Contano, ogni volta, il tempo che manca ai loro incontri, vanno molto d’accordo e non vedono l’ora di passare un fine settimana assieme. Per loro quella realtà bucolica rappresenta una sorta di vacanza, una digressione dal loro mondo fatto di appartamenti, orari, scuola, metropolitana, auto e traffico. 

Per loro poter salire su un albero, aggrapparsi al tortuoso tronco di un ciliegio, rappresenta quanto di più selvatico si possa immaginare durante quella villeggiatura. 

Un grosso ramo abbastanza vicino al suolo e facilmente raggiungibile rappresenta un comodo sedile per i due ragazzini che subito stabiliscono quella sicura e confortevole corteccia come il loro nuovo quartiere generale. 

Non saprebbero costruire una vera casa sull'albero, nello stile degli Scout o del Manuale delle Giovani Marmotte, una lettura che li ha impegnati non tanti anni addietro. Non saprebbero inchiodare due assi tra loro, non saprebbero neppure dove procurarsi il legno, un martello e i chiodi, abituati come sono a maneggiare penne e matite e squadre e pennarelli. 

Ma per loro quel robusto ciliegio rappresenta tutto, il rifugio segreto, il luogo dove scambiarsi le confidenze, dove restare al sicuro dai pericoli della vita, lontano dalle loro case cittadine e dai problemi scolastici, dai bulli che infastidiscono, dai professori che incalzano, dalle mamme che controllano, dai catechisti che giudicano. Sul rifugio sull'albero si sentono a casa, non ci sono angosce quotidiane, spariscono le paure, si può restare a guardare l'orizzonte da una prospettiva diversa, dall'alto, più vicini al sole che tramonta, più vicini al cielo stellato, a quella via Lattea che entrambi hanno studiato a scuola e che sognano vasta dimora di piccoli alieni verdi che un giorno verranno per parlare dei segreti dell'universo. 

Al più grande sta spuntando una peluria in varie parti del corpo e loro intuiscono che si tratta della fine dell'infanzia ma non ne sono spaventati, piuttosto incuriositi, sperano di scoprire presto cosa si cela dietro quel mondo adulto, fatto di silenzi e segreti e cose che loro non possono sentire. 

Teniamo conto che si tratta pur sempre della fine degli anni settanta e non è un’epoca in cui si parli apertamente con i figli di argomenti come la pubertà o, non volesse il cielo, il sesso. 

La casa sull'albero è li apposta, sul ramo non ci sono adulti che sentono, genitori che controllano, non esistono tabù. I due compagni (vi avevo detto che sono due cugini?) assaporano ogni istante di questa bella, intima amicizia, parlando il più possibile di ogni argomento, di ogni questione che sia rilevante per la loro giovane età e vi assicuro che gli argomenti sono tanti e li conduce alla sera esausti e con la gola riarsa e i piedi sporchi di terra, a infilarsi in giacigli improvvisati, solo per continuare a chiacchierare, ignorando le proteste e il brontolio degli adulti. 

Quel ramo di ciliegio è la loro casa, il conforto di un’anima affine, l’antidoto contro il tempo che passa e il rimedio contro la malinconia del dover ripartire presto per le rispettive città. 

I due cugini soffrono al pensiero di doversi salutare e non sanno, come nessuno sa per fortuna, cosa sarà del loro futuro. Gli anni difficili dell’adolescenza, la giovinezza incombente, le prime avventure con le ragazze, il servizio militare, la vita adulta che verrà. 

Per ora tutto ciò che conta è avere un rifugio sull’albero dove stare a guardare le colline del Monferrato e questo a loro basta. 

Ma ora devo andare, Doc è tornato a prendermi e a riportarmi nel duemilaventi. 

Lascio, con vero rimpianto, i due ragazzi lì dove sono, appollaiati sul ramo del ciliegio a parlare fitto e a imparare qualcosa che si porteranno dentro per tutta la vita. 

A comprendere cos’è la vera amicizia. 










martedì 7 luglio 2020

luoghi insoliti: Come fossi una piuma

luoghi insoliti: Come fossi una piuma: Sergio cammina per strada sforzandosi di tenere alto lo sguardo.  Così gli ha detto di fare il suo istruttore d...

Come fossi una piuma












Sergio cammina per strada sforzandosi di tenere alto lo sguardo. 

Così gli ha detto di fare il suo istruttore di fight boxe in palestra. 

"Non devi mostrare paura, sguardo deciso e faccia dura!" 

E' diventato una specie di mantra, non fa che ripeterlo, a costo di sembrare uno scemo che parla da solo. 

Non mostrare paura… sguardo deciso… faccia dura… una parola! Sergio deve sforzarsi, mantenere la concentrazione ma è faticoso. Ci riesce per una manciata di minuti poi le vecchie inquietudini, le insicurezze di una vita tornano come macigni a pesare sulla sua fronte e ad abbassargli lo sguardo. 

Anche quando cammina da solo la voce di suo padre gli rimbomba nelle orecchie, non sei nessuno, non vali niente… Sergio a volte si chiede come possa ancora sentire la voce di uno morto da tanti anni. 

Certo che da bambino l'aveva sentita forte e non solo la voce… anche le mani aveva sentito. Non che lui fosse uno stinco di santo, marachelle ne combinava, aveva la tendenza a rompere gli oggetti, l'inclinazione a disobbedire ma mamma e nonna lo nascondevano, intenerite, dietro le sottane e così capitava spesso che Sergio prendesse schiaffi quando era innocente e non ne prendesse affatto quando li meritava. 

Questa confusione non lo aveva aiutato e non aveva fatto che accrescere le sue incertezze. 

Talvolta gli capita di sentirsi solo, non ha più la nonna che lo coccolava sempre come quando era un bambino, non ha più nemmeno suo padre che lo picchiava. Ma erano pur sempre persone… erano la sua famiglia. 

Per stare meglio Sergio si è iscritto in palestra, si massacra con pesi e attrezzi vari e ha preso a frequentare il corso di autodifesa. 

Si sottopone a mille esercizi dolorosi, l'istruttore ha già rischiato di lussargli una spalla e di soffocarlo più volte ma lui è sempre zelante e volenteroso, inoltre è bravo a combattere e non si stanca mai. Poi ovviamente c'è il mantra… sguardo deciso e faccia dura senza paura! 

A volte ha davvero la sensazione di sentirsi meglio ma quando cammina per strada i fantasmi sono tutti lì ad aspettarlo, nascosti dietro ogni angolo. 



In palestra ha conosciuto un tipo, ha una ventina d'anni più di lui, non fa altro che correre sul tappeto, saltare la corda e ogni tanto tirare qualche stanco pugno a un vecchio sacco che non usa più nessuno. 

Gli sembra simpatico, benevolo e hanno preso qualche caffè insieme nelle pause. 

Il tipo gli racconta del suo monotono lavoro e della sua vita. È divorziato, ha un figlio adolescente che lo detesta, non ha grandi prospettive per il futuro ma vive alla giornata e sembra contento così. 

Quando Sergio esce malconcio dalle sessioni con l'istruttore questo tipo si avvicina e gli dice con garbo, ma chi te lo fa fare… dovrebbe essere lui a pagare te per come si diverte… Non hai bisogno di pagare una palestra per farti picchiare. 

Sergio non si offende, l'amico è troppo bonario e poi non insiste. Se piace a te… si limita lui a chiudere il discorso scuotendo la testa. 

Una sera mentre corrono sui tappeti, il tipo gli dice una cosa. 

Ma non ti stanchi a camminare sempre così? 

Così come… vuole sapere Sergio. 

Controvento. 

È la risposta dell'amico. 

Che precisa: Sembri uno che si intestardisce a cercare sempre la strada in salita, che non è contento se non si mette in difficoltà da solo, uno che cammina sempre controvento. Hai l'aria di uno che fa una fatica immane a vivere, non ti rilassi mai a parte quando l'istruttore ti riempie di pugni… ma non sei stanco? 



Sergio non interrompe la corsa ma diventa serio anzi fa lo sguardo duro… 

Cosa dovrei fare? 

Non sta a me dirtelo, risponde il tipo, ma penso che dovresti rilassarti e prendere le cose con più leggerezza. Aprire le vele e farti trasportare dal vento. Permettergli di spingerti e trascinarti dove ne ha voglia senza opporre resistenza. Smettere di sprecare tutta questa energia e cominciare a farti soffiare via come fossi una piuma, a sfruttare la corrente della vita. 

E sorridi. Questa storia dello sguardo deciso e faccia dura… si, l'ho sentita qui in palestra… guarda che è una cazzata. 

Sergio spalanca gli occhi stupito. 

Si, prosegue il tipo, sorridi alla vita e smetti di fare il duro perché se fingi si vede. 

Davvero? 

Davvero. 



Sergio cammina per strada e ora si sforza di dimenticare il vecchio mantra. Sguardo aperto e faccia sorridente… si è meno faticoso. 

Ha smesso di andare in palestra, ora corre nel parco. Quanto ai combattimenti… non sente la mancanza dei pugni ricevuti. 

Non ha più incontrato il tipo ma gli piacerebbe ora prendere un caffè con lui e, magari, scambiarsi opinioni e accettare qualche consiglio. 



Dirgli che ha capito che non c'è niente di male a mostrare paura e a essere incerti, che va bene anche ignorare le voci che giungono dal passato e che sta imparando a essere leggero. 

Leggero come una piuma. 

E a farsi guidare dal vento.
Anzi, a lasciarsi soffiare.
















mercoledì 1 luglio 2020

luoghi insoliti: La fortuna non esiste

luoghi insoliti: La fortuna non esiste: Piero poggia il registro sulla scrivania, prende fiato ed emette un lungo sospiro, guarda per un momento fuori dalla fine...

La fortuna non esiste













Piero poggia il registro sulla scrivania, prende fiato ed emette un lungo sospiro, guarda per un momento fuori dalla finestra, poi rivolge la sua attenzione ai ragazzi che ha davanti. 

Non sembrano indisciplinati. Non sono molesti o fastidiosi, almeno non più della media dei ragazzi ai quali si è trovato a insegnare nei quindici anni di onorata e precaria carriera. 

Spenti, ecco come gli appaiono i giovani abitanti di quella piccola classe, vuoti. Svuotati da ogni sorta di energia, privati della curiosità, mancanti di vitalità, prosciugati dai dispositivi cui sono connessi durante tutti i loro momenti di veglia, dai quali, attraverso i display, sono vampirizzati di ogni giovanile risorsa. 

Ma smettila, professor Gucciardini, piantala di pontificare, che ne sai tu dei giovani, e di questi che ne sai? Nemmeno li conosci, smetti di fantasticare e fai quello per cui sei pagato: insegna! 

La sua voce interiore, mai doma, lo scuote come la sveglia del mattino, imperiosa e severa. E, infatti, Piero si risveglia da quel sogno a occhi aperti e torna a osservare la classe. 

Niente da fare, continuano a sembrargli spenti. 

L’anno è appena iniziato e già gli sembra uguale all’anno passato. L’immancabile nerd seduto al primo banco, aspetta attento e fiducioso che la lezione inizi, nessuno al posto di lato, a fargli compagnia solo i suoi classici occhiali a fondo di bottiglia. Le tre biondine in seconda fila fanno comunella e si passano rossetti e ragazzi, tra risolini e segreti sussurrati. Dietro, a godersi il panorama gentilmente offerto dalle ragazze, siedono gli sportivi della classe, futuri assi del calcio, campioni nel tennis o dello sci, atletica no, troppo popolare… ragazzi fortunati, sicuri e pieni di ormoni e opportunità. Dietro gli underdog, una ciurma mista, vestita con acquisti in economia, disillusa da genitori con poco successo e arrabbiati col mondo e con lo stato, ragazzi che non si aspettano molto dalla scuola e dalla vita che probabilmente, dato il loro poco impegno, li ripagherà dell’unica moneta che conoscono, ossia indifferenza e disillusione confermando che i genitori avevano ragione. Tutti hanno sul banco il loro smartphone e, salvo per le biondine che stanno facendo una breve pausa, tutti sono connessi con qualcosa o con qualcuno. Uno all’ultimo banco sta sfregando con esagerata energia, una monetina da cinque centesimi su alcuni biglietti di gratta e vinci, imprecando a ogni biglietto. 

Adesso ci provo…pensa il prof. Gucciardini. 

-Sembra che tu non sia molto fortunato. Si rivolge allo studente che non accenna a smettere di grattare il biglietto. 

-Non è vero, prof. Ho appena vinto dieci euro. 

Quasi tutti in classe scoppiano a ridere. Sorride anche Piero, che spera di averli agganciati. 

-Si ma quanto hai speso per i biglietti? 

-Cinque euro, prof, così sono già in attivo di cinque… che mi sta interrogando di matematica? 

Altre risate, questa volta meno. 

-No, lo so che i conti te li sai fare, così come tutti voi. Non è certo un problema per dei giovani come voi contare le proprie risorse economiche… 

-Il problema è quando le risorse stanno a zero! Ripropone lo studente che ora ha finito di grattare. 

Questa volta le risate sono più fragorose e anche Piero si unisce ai ragazzi. Poi si siede in fondo alla classe. 

Molte sedie raschiano il pavimento trascinate dai curiosi che vogliono vedere il prof in quella strana zona. Buon segno. 

-Ma tu, cosa chiedi alla fortuna? 

-Io? Quello che chiedono tutti… un sacco di soldi. Mica sono come questo signorino davanti, che viene in classe tutti i giorni con la camicia griffata e parcheggia nel cortile uno scooter da novemila euro… 

Il biondino davanti lo guarda male ma gli altri stanno sorridendo. 

-E secondo te lui sarebbe più fortunato di te? 

-Lei che dice prof? Altre risate ma più sommesse, ora sono curiosi. 

-Dico che se a te rubassero lo zaino con il biglietto vincente cosa penseresti? 

-Che sono sfigati… farebbero cinque euro, manco per il lavoro… 

-Mentre se a lui rubassero lo scooter dal cortile della scuola, mentre il bidello sta, diciamo, riposando gli occhi? 

Il biondino tenta di protestare ma lo studente dell’ultimo banco ormai è preso. 

-Direi che lui è mooolto più sfortunato di me! 

-E se io ti dicessi che la fortuna non esiste? 

La classe ora è in silenzio, tutti ascoltano il dialogo tra quel prof giovane e strano e l’ex sfortunato dell’ultimo banco come se guardassero un duello di un film epico. 

-Non le credo prof, e questi gratta e vinci cosa sarebbero, allora? 

-Questi sono un’illusione, fumo negli occhi, un modo che ha acquisito lo stato, per sottoporre al popolo un’altra tassa senza che nessuno si lamenti. 

-Ma io ho vinto… 

-Si, oggi hai vinto cinque euro, ma ieri? E la settimana scorsa? E domani? Quanto spenderai per sperare di vincere qualcosa? Ti ripeto che la fortuna non esiste! E guarda che non sono io a dirlo, ma qualcuno molto più accreditato di me. Piero prende il manuale che aveva preparato sulla scrivania, lo apre al segno, torna a sedere all’ultimo banco seguito da una moltitudine di occhi curiosi e legge: “La fortuna non esiste, esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità” Seneca. 

-E chi è questo Seneca? Questa è la voce squillante di una delle cheerleader davanti, Piero ci aveva sperato. 

-Chi era, vuoi dire, Lucio Anneo Seneca è stato un filosofo e politico Romano, vissuto nel primo secolo dopo Cristo. 

-Si ma non ho capito cosa c’entra il talento, ce la spiega? A parlare è ora l’elegante possessore dello scooter. 

Piero riprende: -Significa che la fortuna occorre crearla imparando a fare bene qualcosa, studiando, assecondando magari quello che ci da piacere, e anche il talento va allenato. 

-Come prof, in che senso? 

-Nel senso che se abbiamo una capacità o un dono come direbbe qualcuno, non dobbiamo dormirci sopra, ma affinare questa capacità, approfondirla, tramite lo studio, la ricerca del meglio, l’allenamento. 

-Ho capito, prof. Quasi urla lo studente dell’ultimo banco, poi riprende: -Come CR7… 

Di nuovo risate ma ora hanno un suono diverso, più bello. 

-Spiegaci. Chiede Piero. 

-Si prof, CR7, sa chi è, insomma lo conosce tutto il mondo… lui è nato col talento del calcio ma non si è fermato, ha approfondito, come dice lei, si è migliorato, ho visto tutti i suoi primi anni ed è diventato un fenomeno ma anche ora non smette di allenarsi come tutti gli altri, insomma mica dice all’allenatore, questa settimana faccio vacanza, ci vediamo domenica per la partita, voglio dire che suda e corre come tutti e lui il talento ce l’ha, glielo posso garantire… poi le occasioni gli sono arrivate, vittorie, contratti ricchissimi… 

Il ragazzo è un fiume in piena. Piero lo contiene. 

-Si, direi che hai capito bene. 

-Forte ‘sto Seneca, prof. 

-Durante il corso lo conoscerete e ve ne farò conoscere altri altrettanto forti. Ma ora dobbiamo chiudere perché l’ora sta terminando. Vorrei solo ricordarvi una cosa: vivete ogni momento della vostra giornata con gioia, restate accesi, perché come diceva un antico poeta: «Mentre parliamo, il tempo invidioso sarà già fuggito: Cogli il giorno, confidando il meno possibile nel domani.» 

-Prof questa la conosco, è quella del film, cogli l’attimo, carpe diem… vuole che ci mettiamo tutti in piedi sui banchi? 

Il boato di risate fa arrossire la biondina che ha parlato. 

Piero fa solo in tempo a correggere: 

-In realtà si tratta del poeta Orazio, un altro forte ma ne parleremo la prossima volta. 

Poi la campanella suona. 

La classe esce con la consueta urgenza ma tutti lo salutano e molti stanno ancora sorridendo. 

Piero li osserva, sarà un anno faticoso ma gli studenti che stanno uscendo non gli sembrano più spenti. La stoffa c’è e come diceva il suo vecchio insegnante, ci si può, lavorando, ricavare un buon abito. 

Piero esce dalla classe e si richiude la porta alle spalle. 

Sorridendo.