Leggende sanitarie



La leggenda del primario e dell’inserviente 

Giorgio Papa 










Il luogo di cui vi parlo, il luogo in cui si sono svolti i fatti sempre che i fatti si siano svolti realmente e non si tratti di una leggenda, è l’ospedale. 

Si narra che in quest’ospedale, molti anni fa ci imperasse un primario, di quelli vecchia scuola, un cardiochirurgo che osava dove altri non osavano, che interveniva col suo bisturi, con le sue grandi, sapienti, ferme mani su cuori malati che dopo il suo capace intervento tornavano a battere con la regolarità di orologi svizzeri. 

Si narra che questo primario fosse grande, in competenza, in carisma e in dimensioni. Si dice che fosse un omone alto e spesso e che incutesse non solo rispetto ma anche timore e che al suo incedere tutti si ritraessero d’istinto. Il suo nome era conosciuto da tutti, rispettato, invidiato, temuto, il suo nome era una garanzia. 

La storia vuole che nell’ospedale ci lavorasse, tra tanti altri, anche un inserviente. 

Una di quelle persone poco appariscenti, quasi insignificanti una di quelle persone di cui difficilmente ricordereste il nome. 

Una mattina molto presto il nostro primario si trovava a passare dall’androne proprio nel momento in cui l’inserviente lavava con grande impegno il pavimento di marmo. Quest’ultimo smise immediatamente di passare lo straccio come segno di dispetto e poco ci mancò che si mettesse sull’attenti con la scopa a spallarm! 

Per nulla sorpreso da quella manifestazione di rispetto, il primario continuò sicuro nel suo incedere, poi ci ripensò e senza sapere che così avrebbe cambiato il destino fece una cosa che non era avvezzo fare: rivolse la parola all’inserviente. 

“Scusi tanto se passo sul suo lavoro ma non posso permettermi di perdere neanche un minuto. Buona giornata” 

“B-buon giorno a lei… si figuri, tanto devo ripassare. Certo che con lo stipendio che ci passano fare il lavoro due volte… voglio dire l’amministrazione non lo meriterebbe…”. 

L’azzardato commento dell’inserviente non sfuggì al grande primario che immediatamente decise di non lasciar correre. 

“Quindi lei ritiene di non guadagnare a sufficienza?” 

A questo punto l’inserviente si era pentito di non aver tenuto la bocca chiusa al momento giusto ma ormai il danno era fatto e tanto valeva spiegarsi. 

“Certo che ci danno poco, paragonato agli stipendi che pagano agli altri dipendenti “. 

“Si riferisce anche ai primari come me?” 

“N-non vorrei offendere ma di certo lei guadagna cifre che a un inserviente farebbero girare la testa…”. 

L’inserviente era certo che ora il primario sarebbe esploso detonando tutta la sua ira e la sua indignazione per l’insubordinazione subita da quel piccolo inserviente che avrebbe fatto meglio a imparare a rimanere al suo posto e a non interloquire con quelli più grandi di lui ma tutte queste cose che passavano nella testa dell’inserviente furono spazzate via da un movimento inatteso. 

Il primario si avvicinò all’inserviente alzò il braccio, lo allungò verso l’inserviente e gli strappò il bastone dalle mani lasciandolo interdetto e sbalordito. Poi il professore fece una cosa che non stava in cielo né in terra, con inaspettata perizia si mise a lavare il pavimento cancellando le tracce che lui stesso aveva lasciato e pulendo dove era passato poco prima. 

L’inserviente rimase a fissare la scena a bocca aperta sentendosi stordito e incredulo. Il primo pensiero coerente fu che il primario ci sapeva fare, stava lavando un pavimento alla perfezione. Poi ebbe paura perché non capiva il significato di quel gesto. 

Fu il primario che chiarì ogni cosa. Una volta finito restituì il bastone con lo straccio allo stupefatto inserviente e gli disse: 

“Bene, io sono riuscito a fare il suo lavoro, ora se non le dispiace più tardi ci sarebbe un delicato intervento sulla valvola mitrale di un cuore malato, se vuole avere la cortesia di precedermi in sala operatoria sarò lieto di seguire il suo intervento”. 

L’inserviente pensò dapprima che il primario fosse impazzito, poi capì la lezione. Riteneva di essersela meritata e decise che quell’umiliazione era la normale e giusta conseguenza del suo atteggiamento. 

Tutto questo narra la leggenda, grosso modo è il succo della storia, ciò che si racconta in ospedale. Pochi sanno in realtà cosa sia avvenuto dopo. 

Ora il grande primario avanza e costringe fisicamente l’inserviente a precederlo per il lungo corridoio senza che questi possa provare a impedirlo. L’inserviente non ha la presenza di spirito per contrastare la volontà del professore, non ha la prontezza per lottare sotto il profilo dialettico né tantomeno sotto quello fisico, dal momento che il professore lo sovrasta di almeno cinquanta chili. 

Così il nostro inserviente si trova, senza sapere bene come, all’imbocco del corridoio della sala operatoria ed è davanti alla porta d’ingresso che trova finalmente un filo di voce. 

“Ma professore, mi lasci andare, le chiedo scusa… Cosa vuole fare qui, mi perdoni se ho mancato di rispetto…”. 

Il professore non sente ragioni, lo costringe a entrare e gli impone di cambiarsi e di calzare la divisa azzurra della sala operatoria. Le parole sono quelle di un pazzo furioso ma l’atteggiamento è freddo e asettico ed è questo particolare a terrorizzare il nostro inserviente costretto a eseguire tutto ciò che il primario comanda. 

In breve l’inserviente infila cuffia e mascherina facciale. Il personale della sala operatoria che lo conosce guarda allibito ma non osa parlare davanti all’atteggiamento del primario quindi tutto si svolge in un’atmosfera di ovattato imbarazzo. Ognuno aspetta solo la fine di questa incresciosa pantomima. 

Come tutti sperano è il primario a rompere il silenzio ma le sue parole peggiorano la situazione. 

“Il nostro inserviente oggi ci mostrerà la sua abilità in una semplice commissurotomia riparativa. Io stesso lo assisterò e prego tutti di mettervi a disposizione e di seguire le sue indicazioni”. 

Il tono del professore era chiaro: nessuno osi mettersi di mezzo! 

Il personale della sala operatoria era esperto e per nulla sprovveduto ma mai a memoria dei presenti si era svolta una scena di tale portata, la sensazione di tutti era che lo scherzo era durato anche troppo, intanto nella stanza attigua era giunto su di una barella cigolante il paziente che avrebbe dovuto sottoporsi all’intervento. 

Il primario prese l’inserviente per un braccio e con tono amichevole gli impose: 

“Venga, venga di là, è giusto che il paziente conosca il proprio operatore e che l’operatore conosca il proprio paziente”. 

L’inserviente non riusciva quasi a camminare per il panico e fu trascinato vicino alla barella, dove era sdraiato un vecchio dall’aria assonnata, sarebbe voluto scappare, correre via lontano, quando apparentemente senza motivi particolari gli venne in mente una scena vissuta da bambino. Giocava in un cortile sassoso con una vecchia bici troppo grande per lui e investì, ferendolo alle gambe, il proprio padrone di casa. 

Si riscosse, l’inserviente, e immediatamente capì il motivo del suo improvviso dejà vu, aveva riconosciuto il vecchio sulla barella. 

Ma questo, questo è… si è proprio Ronchi, Basilio Ronchi disse d’impeto l’inserviente. 

Il primario che aveva aperto la cartella clinica lo guardò sprezzante e gli disse: 

“Lei non sa nemmeno leggere, questo paziente si chiama Anselmo Ronchi…”. 

“No, no è Basilio, Basilio, sono sicuro, chiedete a lui non mi posso sbagliare…”. 

Chiedere al paziente sarebbe stato problematico poiché aveva fatto la preanestesia in reparto prima di essere portato in sala operatoria e ora a malapena teneva gli occhi aperti. 

“Ora basta! Lo scherzo è finito. Torni a lavare i pavimenti e cominci a cercarsi un nuovo impiego” tuonò il primario e subito comandò agli infermieri di accompagnare il signor Ronchi sul lettino operatorio. Aveva perso abbastanza tempo dietro quell’inutile inserviente. 

“Fermi, fermi, lui è Basilio, lo conosco… quando ero piccolo gli ho quasi tranciato via il polpaccio destro con la bici, gli hanno dato quarantasette punti, controllate…”. 

Un infermiere guadagnandosi un’occhiataccia carica di promesse da parte del primario, sollevò il lenzuolo e costatò la lunga cicatrice che il signor Basilio Ronchi aveva sul polpaccio destro. 

Il paziente fu riportato in reparto a proseguire le sue cure per l’ulcera. Al suo posto arrivò in sala il signor Anselmo Ronchi, cardiopatico con insufficienza mitralica in attesa d’intervento che riuscì perfettamente. 

Anche un altro intervento riuscì alla perfezione. Quello dell’inserviente che evitò al signor Basilio un intervento al cuore e al primario e a molta gente che guadagnava molto ma molto più di lui di finire davanti a un giudice. 

Il primario non ebbe occasione di rivolgere la parola all’inserviente. 

Avrebbe potuto scusarsi, ringraziarlo o forse promuoverlo… non sapremo mai cosa avrebbe fatto. 

L’inserviente lasciò l’ospedale quel giorno stesso. 

Nessuno seppe più niente di lui. 






FINE

 





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