Heidi si è addormentata
sul tappeto, abbracciata stretta alla sua Birba, la bambola di stoffa. La sua
preferita.
Piccola polpetta, pensa
Agnese con un sorriso tenero.
Poco prima Heidi aveva pianto
per una cucitura aperta sotto il braccio di Birba ma la sua mamma l’aveva
consolata, promettendole che l’avrebbe cucita al più presto e la bambola
sarebbe guarita.
“Sì, pesto, pecchè il baccio le fa male” aveva puntualizzato la
bimba, calmandosi.
Quante volte era stata
cucita quella vecchia bambola di stoffa, Agnese questo nemmeno lo ricordava
più, ma era di certo più economico che comprare una bambola nuova.
Le infila le mani sotto
il corpicino ossuto e la solleva per deporla con cautela nel lettino. Ancora
una volta si stupisce di quanto sia leggera. Heidi è una bimba sana ma mangia
pochissimo e a ogni raffreddore, Agnese entra nel panico.
Dovrebbe trovarsi un
lavoro, questo lo sa benissimo, avrebbe i soldi per pagare una tata o pensare
all’iscrizione in una scuola materna e la vita sarebbe diversa. Ha fatto anche
una serie di colloqui. Agnese è diplomata e sa parlare con le persone, ai
colloqui riesce simpatica ed estroversa ma appena sentono che è madre di una
bimba di due anni il clima si raffredda e al termine la frase “le faremo sapere”
è diventata un cliscé.
Suo marito è fuori di
casa, come sempre dal mattino alla sera. A studiare nuove strategie, dice lui
mentre in realtà si trova con altri sfaccendati che sanno pensare solo a
giocare al biliardo e aspettare il reddito di disoccupazione. Certo, anche lui
saltuariamente partecipa a incontri di gruppo ed è invitato a fare colloqui nell’attesa
di un posto di lavoro ma a casa non fa che lamentarsi di quanto sia ipocrita
quella gente e di come i lavori proposti siano insignificanti e precari. Agnese
pensa che lui dovrebbe modificare il suo atteggiamento passivo e arrogante ma
si guarda bene dal dirlo per non vedere altri piatti rotti sul pavimento.
No, non si era aspettato
un matrimonio così e forse aveva ragione sua suocera, non avrebbero dovuto
affrettarsi ma lei era al quarto mese e lui sembrava così innamorato.
L’unica eredità che
aveva lasciato alla giovane coppia era stata il nome della bambina. La strega,
una signorona veneta di millantate origini austriache, si chiamava Adelaide e
quando aveva all’improvviso perso la vita per un problema cardiaco acuto, suo figlio
aveva insistito per dare alla nascitura il nome della mamma. Agnese non si era
opposta, le sembrava un gran bel nome e il fatto che lo portasse la megera, non
l’aveva condizionata.
Così avevano chiamato la
bimba Adelaide,
con grande soddisfazione di suo papà, ma Agnese si era abituata a presentarla a
tutti come Heidi e ora quello era il suo nome.
Agnese non si lamenta
mai di niente, di avere pochi soldi per fare la spesa, dei colloqui di lavoro
dove è presa in giro, del fatto che da un anno non indossa qualcosa di nuovo,
delle macchie di umido venute fuori sulla parete dell’armadio e che tutti i
giorni deve passare con la candeggina.
Non si lamenta di non
poter comprare giocattoli nuovi alla sua Heidi, che ora dorme tenendo tra le
braccia una vecchia bambola scucita.
La guarda.
Quell’esserino dalla
pelle candida e dalle sopracciglia chiare, respira regolare e le infonde calma
e fiducia.
Non sa come ma è sicura
che le cose cambieranno.
Andranno meglio, suo
marito troverà un impiego, lei riuscirà a riallacciare i rapporti con i suoi, e
soprattutto Heidi crescerà bene, prenderà qualche chilo e lei realizzerà il
sogno di portarla al mare.
Le farà bagnare i
piedini nudi sul bagnasciuga, le farà raccogliere le conchiglie in un
secchiello di plastica e faranno lunghe passeggiate, tenendosi per mano, alla
fine della giornata.
Agnese immagina che non
succederà presto ma sa aspettare.
Per adesso tutto ciò
che le serve alla fine della giornata, è sentire il rumore di quei piedini
scalzi che le corrono incontro e ascoltare la voce della sua Heidi che le
sussurra “ti voio bene mammina” prima di sfiorare con un bacino leggerissimo la
sua guancia e di tornare con quella corsetta piena di balzi, nel suo lettino.
Solo questo vuole, alla
fine della giornata.