lunedì 30 novembre 2015

luoghi insoliti: Gli aggiustatori

luoghi insoliti: Gli aggiustatori: Lo vedi quello, quello lì con la sciarpa rossa e lo sguardo depresso? Si, l'ho visto. È lui, portamelo. Come ...

Gli aggiustatori











Lo vedi quello, quello lì con la sciarpa rossa e lo sguardo depresso?
Si, l'ho visto. È lui, portamelo.
Come faccio?
Come ieri, arrivi da dietro senza farti sentire, gli stampi sul naso il fazzoletto col cloroformio e quando sviene me lo porti.
OK, il capo sei tu, vado.
Questo strano essere, di nome Eco, si muove goffamente ma esegue diligente le direttive e trasporta senza difficoltà un uomo adulto con la sciarpa rossa, poggiandolo su di una spalla, fin dietro l'angolo, al riparo da occhi indiscreti.
Mettillo per terra, bravo così, senza fargli male.
Eco adagia il corpo dell'uomo dormiente sul suolo, gli scopre un braccio fin sopra il gomito, gli lega un laccio di gomma e si fa da parte.  Ora tocca al capo.
Cosa gli facciamo a questo, capo?
Il capo lo guarda male, poi legge sul foglio spiegazzato che ha tirato fuori dalla tasca, prende una siringa pronta da un sacchetto di plastica per la spesa, infila l'ago in una vena del braccio scoperto e comincia a iniettare.
Venticinque milligrammi di ottimismo.
Capo ma non sono pochi? Non si può fare cinquanta?
Ma sei ritardato? Lo sai che non siamo noi a fare i dosaggi e le aggiustature.
Lo dice volgendo gli occhi verso l'alto.
Quest'uomo si sta recando ad un colloquio di lavoro e senza un poco di ottimismo non otterrebbe mai quell'incarico. Hai capito, Eco?
Si, capo.
Eco abbassa gli occhi mentre l'uomo da segnali di risveglio.
Portalo dove l'hai preso e augurargli buona giornata.
Eco fa appena in tempo a riportarlo indietro quando l'uomo con la sciarpa rossa si sveglia, lo saluta e va via per la sua strada fischiettando.
Bene, ora che si fa, capo?
Potresti per favore non chiamarmi più "capo"?
Certo.
Ora dovrebbe arrivare un bambino, anzi un ragazzino cicciottello, eccolo.
Lo vedo capo. Arriva dal parco, ha un'aria spaventata.
Attento, utilizza meno cloroformio.
Eco parte e in pochi secondi arriva col ragazzino sulla schiena. Questa volta appare meno disinvolto.
Si mettono in un vicolo, capo fa fatica a trovare una vena ma alla fine è li che inietta.
Cosa gli facciamo a questo qui, capo?
Centocinquanta milligrammi di coraggio.
Capo, dipendesse da me gliene farei almeno mille.
Ma non pensi a quello che dici?
Con troppo coraggio diventerebbe lui l’aguzzino dei suoi bulli e ci toccherebbe aggiustare loro e si innescherebbe un meccanismo senza fine…
Eco lo guarda perplesso e rinuncia a capire.
Il Ragazzino si muove e tra poco sarà sveglio e pronto ad affrontare una manciata di bulletti alti la metà di lui.
Il capo sembra soddisfatto ed Eco sorride.
Capo, ma perché non possiamo andare in giro senza camuffarci? Così non mi sento a mio agio…
Mi chiedo se riesci a sentirti, ma secondo te la gente non si sconvolgerebbe a vedere due come noi andare in giro tranquilli per le vie della città? Lo sai che non è consentito, e poi credo che accecheremmo tutti con la luce…
Eco sembra capire.
Il capo tira fuori di tasca nuovamente il foglio stropicciato.
Sbrigati, tra due secondi dobbiamo essere dall’altra parte della città.
Appena sono sul posto vedono arrivare un tizio baldanzoso, ben vestito, con un costosissimo orologio al polso.
Portami quello e non lesinare il cloroformio.
Si capo.
Appena il tizio è a terra addormentato Eco gli scopre il braccio e si sposta.
Il capo prende una siringa vuota e comincia a praticare un lungo prelievo. Eco si sorprende e fa per aprire la bocca ma il capo se ne accorge e lo anticipa.
A questo non dobbiamo fare niente, ha bisogno al contrario che gli si tolga qualcosa.
Cosa capo?
Almeno 200 milligrammi di arroganza.
Grande capo.
E smettila di chiamarmi capo.
Sicuro.

Appena l’uomo si alza confuso e barcollante e si allontana Eco fa un sospiro.
Cosa ti prende ora?
Sai capo, pensavo, ma non potremmo fare degli aggiustamenti come dire… definitivi? Passiamo le giornate così, con piccoli interventi, spesso torniamo sulle stesse persone due, tre volte, anni, tutta la vita… non capisco il senso di tutto questo.
Non c’è molto da capire. La gente deve decidere da sé cosa fare della propria vita. A noi è permesso fare piccoli aggiustamenti per prevenire incidenti dai danni incalcolabili e nemmeno sempre. Nella maggior parte delle persone non è permesso mettere lo zampino. Sono ordini superiori.
Ma capo, chi dà questi ordini?
Chi è sopra di noi. E ora piantala di chiamarmi capo.

Poi il capo tira fuori il foglio e legge la prossima consegna.
Scusa capo…
Cosa c’è ancora?
Ti chiamo capo perché non mi ricordo il tuo nome…
Il mio vero nome è…

Ma anche se ci fosse qualcuno ad ascoltare il dialogo, non riuscirebbe a sentire perché i due esseri partono all’istante verso l’alto andando ad aggiungere due fiochi puntini luminosi nella volta del cielo.




domenica 22 novembre 2015

luoghi insoliti: L'uomo che non smise mai di viaggiare

luoghi insoliti: L'uomo che non smise mai di viaggiare: Uscendo dalla porticina di legno l'anziano dottore mi squadrò dalla testa ai piedi. Non mi chiese chi fossi, era ...

L'uomo che non smise mai di viaggiare










Uscendo dalla porticina di legno l'anziano dottore mi squadrò dalla testa ai piedi.
Non mi chiese chi fossi, era evidente che aveva già tutte le informazioni necessarie.
Poi contravvenendo a cose come privatezza e segreto professionale ma molto umanamente mi sussurrò "non lo faccia stancare, è malato e non gli rimane molto".
Non aspettò la mia rassicurazione ma strinse la consunta borsa di cuoio da medico e corse via senza salutarmi.

Nel piccolo paesotto valligiano doveva essersi sparsa la voce del mio arrivo.
Bussai alla porta e da dentro una voce profonda, quasi millenaria, mi invitò a entrare.
Il sole era basso e da lì a poco sarebbe scomparso dietro la montagna ma la stanza era ancora bene illuminata grazie alla vetrata. Sulla parte opposta della stanza pile di vecchi libri partivano dal pavimento e terminavano quasi al soffitto e riempivano tutta la parete senza soluzioni di continuo. Non una libreria da borghesia colta, piuttosto un luogo dove i volumi vengono consumati, divorati.

Il vecchio Pietro stava sdraiato su un lettino coperto da una coperta fatta a mano di quelle che non si vedono più. La pelle del volto coperta da un reticolo infinito di rughe, la voce consumata dal fumo di una vecchia pipa scolpita.

Mi dica, come mai le interessa un'intervista con un vecchio montanaro?

Il caporedattore mi aveva spedito in questo posto dimenticato da tutti a intervistare il prossimo centenario che si diceva non fosse mai uscito dai confini della sua valle.
Pietro avrebbe compiuto cento anni alla fine del mese. Ne sarebbe uscito un discreto articolo.
Così cominciai a dire, Vede si dice che lei non ha mai lasciato il suo paese, non si è mai allontanato dalla sua valle...
Il vecchio si mise faticosamente a sedere e nel farlo partì un violento attacco di tosse catarrosa che terminò con uno sputo nel fazzoletto tenuto nascosto nella manica della camicia stropicciata.
Pietro sorrideva, nonostante la tosse lo schiantasse e il suo sorriso lo trasformò in un impertinente ragazzino.

Vede, caro giovane, qui ho tutto quello che mi serve anche se ormai non mi serve più molto.
È sempre stato così ma se lei pensa che non abbia mai viaggiato è completamente in errore.
L'eloquio dell'uomo era incredibilmente  chiaro e preciso, quasi piacevole benché mi fossi aspettato il contrario.

Deve sapere che una volta sono stato su di una barca sull'oceano al largo di Cuba, bruciato dal sole a pescare un marlin con un vecchio pazzo e testardo.
Mi sono perduto nelle puzzolenti e buie fogne di una piccola città nel Maine del nord, cercando di scappare da un clown folle con un gruppo di adolescenti disadattati.
Mi sono trovato in piedi tra due fratellini bianchi sulla balaustra di un vecchio tribunale in Alabama, tra la gente di colore, ansioso di seguire le sorti di un brutto processo.

Guardai i libri sulla parete e il vecchio guardò me in silenzio. Poi riprese.

Ho osservato sulle rive del mare di Galilea due fratelli smettere di pescare pesci e iniziare a pescare uomini.
Sono stato una notte intera, trattenendo il respiro, in una fredda sala del museo della scienza e della tecnologia a Parigi a osservare le oscillazioni di una sfera.
Mi sono trovato in un isola tropicale al largo del Costa Rica, mangiato dalle zanzare, davanti una montagna di escrementi alta più di me.
Mi sono congelato le chiappe, scusi il termine, affondando nella neve tra le labirintiche siepi di fronte un monumentale hotel sulle montagne del Colorado.
Ho fatto innumerevoli passeggiate affiancando un bizzarro poliziotto e seguendo le sue incomprensibili elucubrazioni dialettali, all'ombra di un faro sulla costa siciliana.

Le sembro uno che non ha mai viaggiato?

Guardai il comodino e vidi impilati quattro, cinque volumi. Sentii il vecchio tossire con violenza, ripensai alle parole del dottore. Mi chiesi se sarebbe mai riuscito a finirli.

Ora vorrei riposare.

Mi alzai con discrezione. Gli tesi la mano e lui me la strinse teneramente.
Sentii il poco calore e la sua pelle secca e asciutta. Lo guardai negli occhi e capii di non dover chiedere più niente.

Quest'uomo ha viaggiato molto.
E fui sicuro che appena uscito da casa sua avrebbe acceso la luce sul comodino e sarebbe ripartito per l'ennesimo viaggio!








venerdì 20 novembre 2015

luoghi insoliti: Scrivi Giorgio, scrivi!

luoghi insoliti: Scrivi Giorgio, scrivi!: Scrivi Giorgio, scrivi. Corri alla tastiera e scrivi. Non perdere tempo in facezie e scrivi. Scrivi un pezzo leggero, che so...

Scrivi Giorgio, scrivi!









Scrivi Giorgio, scrivi.

Corri alla tastiera e scrivi. Non perdere tempo in facezie e scrivi.

Scrivi un pezzo leggero, che soffi via il peso della giornata.

Scrivi un brano impegnato, che faccia pensare e riflettere.

Scrivi un racconto romantico che susciti sospiri e ansimi.

Sforna un testo scolastico che si adatti alle menti più semplici.

Scrivi Giorgio che è sera e qualcuno ha voglia di leggere. Scrivi, non dimenticare, che il sistema si è accorto che manchi e ti segnala la tua assenza dai post.

Scrivi un testo breve per chi ha fretta e non ha tempo da perdere al computer. Scrivi un pezzo lungo per gli amanti degli autori prolissi.

Scrivi un articolo commovente che sprema lacrime dal cuore più duro.

Oppure un trafiletto tecnico, preciso, conciso, esatto.

Scrivi qualcosa di popolare che raggiunga centinaia di persone. Scrivi un pezzo esclusivo, che faccia sentire importante l'élite.

Scrivi e usa uno stile asciutto, oppure sofferto, gotico oppure barocco, visionario ma deciso. Utilizza metafore, rime baciate, allegorie, crea un climax, dosa l'enfasi, inventa neologismi, cerca assonanze, cadi nell'eufemismo, eccedi con l'ironia, graffia con gli ossimori, dosa le anafore. Crea componimenti, versetti, poemi, romanzi in prosa e in versi, operette e musical. Prepara saggi, cronache, monografie o epistole.

Scrivi Giorgio e riempi il vuoto di questo blog. Cerca il consenso, scrivi per piacere, sta attento a non offendere, a non irritare.

Cerca di farti comprendere, non essere ermetico, tira fuori il meglio anche se non sei ispirato, anche se sei stanco e non hai voglia e forse faresti altro e forse lo faresti meglio.

Scrivi perché hai un dovere, una responsabilità e magari qualcuno ti prende anche sul serio e crede a ciò che dici, oppure se la prende se scrivi qualcosa di male, di sbagliato e magari arriva a toglierti l'amicizia virtuale, a negarti il consenso.

Scrivi Giorgio, cerca di essere convincente e se ci riuscirai avrai in mano il tuo pubblico.

Scrivi perché a qualcuno potrà piacere quello che dici e così potrai pensare di essere nel giusto, di essere veramente bravo e la tua vanità ti costruirà un mezzobusto nella piazza della tua vita.

Quindi scrivi Giorgio.

E se non sei buono allora evita e lascia in pace la gente.

Non abbiamo bisogno di altra cattiva letteratura.

Ma se ne hai bisogno tu, allora fallo, Giorgio.

Scrivi pure.

Qualcuno leggerà.







sabato 14 novembre 2015

luoghi insoliti: Vieni, torniamo a casa.

luoghi insoliti: Vieni, torniamo a casa.: Vieni, stammi vicino. Dammi la mano che sta facendo buio. Vieni, torniamo a casa. Lì staremo al caldo. Lì staremo al sicur...

Vieni, torniamo a casa.













Vieni, stammi vicino.

Dammi la mano che sta facendo buio.

Vieni, torniamo a casa.

Lì staremo al caldo. Lì staremo al sicuro.

Chiuderemo la porta dietro di noi e daremo due giri di chiave. Lasceremo fuori il vento freddo che si è alzato. Chiuderemo fuori il rumore e il caos. Non vedremo, grazie alle tendine tirate, il buio che è calato improvviso.

A casa staremo al sicuro e al caldo. Lasceremo fuori il resto del mondo a girare per conto suo. Chiuderemo fuori la follia umana che di umano non ha niente ma neanche ha niente di animale perché gli animali hanno rispetto per la vita.

Vieni andiamo a casa, ce ne staremo al chiuso e in silenzio perché niente si può dire che non sia stato già detto, niente che possa cambiare le cose.

Dammi la mano e stringila che non voglio lasciarti indietro, perderti in questo viale disseminato di lutto e orrore e bagnato di lacrime. Stringi la mano e allunga il passo che casa è vicina e la chiave che ho in tasca ci separerà da questo mondo così difficile da abitare, così impossibile da capire.

Vieni andiamo a casa, perché non ho più voglia di stare fuori, di vedere altra gente, perché questa gente mi sta facendo paura e io ne faccio a loro. Non mi piace fare paura agli altri e ancora meno mi piace averne per questo andiamo via di qua, torniamo a casa e chiudiamo la porta.

Domani forse la paura passerà. Il caos e il rumore si placheranno. Domani forse potremo prendere la chiave di tasca e aprire la porta.

Domani potremo uscire di casa assieme ai nostri vicini. Domani forse potremo uscire e provare a guardarci in faccia l'un l'altro, senza avere paura.

Domani forse potrà tornare la speranza.

Ma non stasera.

Questa sera è buia e fredda, il caos, la follia sono ancora troppo vicini.

Stasera abbiamo ancora nelle orecchie il rumore delle bombe e degli spari e nel naso l'odore del sangue.

Domani forse si potrà ricominciare a vivere ma stasera no.

Ora è solo il momento di correre a casa e chiudersi dentro.

Il momento di chiudere gli occhi e trattenere il respiro per dimenticare l'orrore.



Vieni quindi, stringimi la mano.

Torniamo a casa.













mercoledì 4 novembre 2015

luoghi insoliti: Di come i social ci stanno cambiando (e imbruttend...

luoghi insoliti: Di come i social ci stanno cambiando (e imbruttend...: Che cosa c'è da dire ancora, il titolo del post la dice lunga. In quest'epoca, grazie a pochi passaggi come la ...

Di come i social ci stanno cambiando (e imbruttendo)









Che cosa c'è da dire ancora, il titolo del post la dice lunga.
In quest'epoca, grazie a pochi passaggi come la scelta di un nickname e di una semplice password, siamo diventati tutti potenziali giornalisti, fotografi, scrittori.
Niente di più semplice che pubblicare un post o una foto, un commento o un cinguettio.
Non occorre nemmeno più avere un computer. Oggi tutti abbiamo un cellulare che rende elementare fare tutto anche a chi, perché nato in epoche remote, non ha nessuna familiarità con basilari nozioni informatiche o anche a chi, per poca attitudine all'ascolto o allo studio, mastica male la grammatica o è a digiuno di tecniche di fotografia.
Ma sto divagando.
Stamattina se ne arriva mia figlia, con in mano il cellulare, dicendomi "guarda, qualcuno ha messo sul gruppo una foto di un auto di servizio pubblico parcheggiata in un area di sosta riservata a disabili, aggiungendo come didascalia un invito a vergognarsi".
Ah, faccio io, non sapendo bene cosa rispondere. È risaputo che io lavori per un ente pubblico e che usi per spostarmi un'auto pubblica identica a quella immortalata nella foto della vergogna.
Tengo a dichiarare che il numero di targa mi scagiona da ogni colpa ma non posso certo prendere le difese del colpevole, reo di cotanto vergognoso posteggio.
Dunque non dico niente. Ma il silenzio dura poco perché provo un che di disagio, di fastidio per il modo in cui viene denunciata l'infrazione.
Devo dire che difficilmente faccio parte di gruppi di discussione sui social network, salvo quelli in cui vigono regole ferree di comportamento, di rispetto dei partecipanti, verso il focus del gruppo stesso.
Mi tengo alla larga quindi da tutti quei gruppi formati da innumerevoli persone per nulla accomunate da un reale interesse se non quello di fare " informazione" che spesso è poco controllata e si trasforma in puro e semplice scambio di fatti non supportati da certezza o per peggio dire in pettegolezzi.
Ma una foto non è un pettegolezzo. È una prova. Quindi chi l'ha postata ha fornito un servizio, un'informazione alla popolazione virtuale di questo gruppo. Questo è quanto potrebbe obiettare mia figlia che ha subìto il mio moto di disagio.
Certo, questo è vero.
Solo che il fastidio non mi passa. Perché le informazioni preferisco leggerle su un giornale serio con un passato di consolidata serietà e correttezza. O da un sito dove il cronista si firma ed è verificabile la sua competenza e la sua etica del lavoro.
Non su un social dove chiunque, anche un cialtrone come il sottoscritto, può pubblicare ciò che vuole.
Più tardi ho ripensato all'episodio. E mi è sembrato di aver capito che lo scopo del post non era quello di risolvere un problema, di punire un infrazione del codice stradale.
Per fare questo sarebbe bastata una semplice e veloce telefonata alla polizia municipale.
Lo scopo non dichiarato del post era alimentare l'ego di chi lo ha pubblicato.
Far passare l'autore per un paladino della giustizia alla difesa dei più fragili.
E di fargli guadagnare qualche sospirato"mi piace".

Evviva la democrazia del web.
Grazie a questa anche io posso tediarvi con le mie farneticazioni.