Caterina Ballestreri è
una giovane donna. A ventisette anni non sei più una ragazza ma a volte manca
ancora qualcosa per essere una donna fatta. A Caterina non manca niente per la
verità, lo vedi dalla luce che ha negli occhi, dall’intensità con cui affronta
le giornate. Abita al terzo piano, è taciturna ma non manca mai di salutare
quando la incroci per le scale e neppure di tenere il portoncino aperto quando
passa la Ivaldi, col suo deambulatore. Caterina è una giovane per bene, quando
è venuta ad abitare nel nostro stabile, le donne della scala hanno storto il
naso ma lei non ha mai dato motivo di lamentele, non organizza feste, non
ascolta musica a tutto volume. “Una giovane che vive sola, attirerà uomini di
tutti i tipi e porterà guai nel palazzo!” Ha sentenziato la moglie del portiere
ma Caterina, un giorno dopo l’altro, con la sua condotta l’ha smentita. Non per
questo qualcuno ha smesso di osservarla con sospetto, quando passa. Abita qui
da poco più di un anno e nessuno sa cosa faccia per vivere, si è sparsa la voce
che abbia smesso di studiare, abbandonando l’università e gli esami, e questo
ha fatto storcere altri nasi, come se la cosa riguardasse l’intero condominio.
Negli ultimi mesi ha spesso fatto da babysitter a Franceschina, la bimba di
quattro anni, figlia dei Rossi che stanno all’ultimo piano. La nonna si è
ammalata e quando la bimba non va alla scuola materna per qualche motivo,
Caterina sale in casa Rossi con un libro di favole e sorveglia la piccina. I
Rossi sono gli unici ad avere avuto dei rapporti con la giovane, da quando vive
qui. Hanno raccontato un giorno, di avere saputo che Caterina passa tre mattine alla settimana al
centro per anziani, giù nel quartiere, a fare volontariato. Spesso si occupa
anche di distribuire generi alimentari alle famiglie in difficoltà e la moglie
del portiere, non fidandosi, è andata a fare un giro, raccontando di averla
vista mentre distribuiva borse con pasta e biscotti e farina e latte, e sorrisi
a quanti si presentavano per ricevere quei beni. Ha anche aggiunto che lei lo
aveva sempre detto che quella ragazza, anzi quella giovane, oltre a essere
molto bella, aveva qualcosa di speciale, un’aura di santità.
Caterina è veramente
bella e sorride spesso ma non si lascia andare in chiacchiere e pur essendo
molto gentile non ha mai raccontato a nessuno del suo attivismo nel mondo del
volontariato.
Dopotutto è così che si
dovrebbe fare, non è che uno fa del bene agli altri per poi vantarsene o dirlo
pubblicamente, no?
Una sera sono rientrato
molto tardi, avevo terminato una riunione di lavoro straordinaria e tornando si
era forata una gomma, per di più non si trovava un parcheggio, così ero stato costretto
a girare a vuoto per venti lunghi minuti e alla fine avevo lasciato l’auto a un
chilometro da casa. Era davvero tardi e rientrando a piedi avevo incrociato una
donna piegata in avanti a rovistare nel vano motore di un’utilitaria. La donna
aveva tacchi altissimi e calze a rete con la riga, su due gambe
lunghissime, una gonnellina di pelle corta e attillata che fasciava i fianchi
stretti. Insomma l’abbigliamento non lasciava equivoci sull’attività praticata
dalla signorina. Alla mia età non sono certo il tipo da perdere tempo a fissare
le gambe di una squillo ma la donna sembrava avere problemi con la macchina e
mi dispiaceva non poterla aiutare. Lei si accorse del mio indugiare e si
sollevò dall’auto chiedendo se ne capissi di motori. Io risposi che non ci
capivo niente, tutto quello che potevo fare, era darle un passaggio fino a dove
fosse diretta. Era buio, la donna era truccata pesantemente ma si capiva che
era giovane, poi lei si portò le mani alla bocca e cercò di ritrarsi. “C’è
qualche problema…” stavo per continuare quando restai in silenzio. Con un
attimo di ritardo rispetto alla donna, anch’io l’avevo riconosciuta. Lei cercò
di scusarsi, di voltarsi ma riuscii a chiamarla. “Caterina…”
Si voltò e mi chiese di
dimenticare di averla vista, m’implorò di non farle perdere l’appartamento che
aveva trovato, che non avrebbe saputo dove andare.
Nemmeno per un secondo
mi era passato per la mente di comportarmi con una tale bassezza, chi ero io
per esprimere giudizi o per condannare la vita di quella ragazza. “Come
posso aiutarla, Caterina?” Fu l’unica cosa che riuscii a pronunciare, vincendo
l’imbarazzo di entrambi. “Potrebbe darmi un passaggio?” Lei era paralizzata e
impacciata, la accompagnai fino alla mia auto, vedevo le facce dei passanti
osservarci, chi con sdegno, chi con un sogghigno, un anziano signore che si
accompagnava a una giovanissima donna di facili costumi. Feci finta di niente
e così lei. La feci salire in auto sotto gli occhi di una coppia matura che si
era girata a guardarci mormorando oscenità. Mi diede un indirizzo nel centro
città e la portai. Arrivati al portone, pronunciò delle scuse frettolose e si
fermò un secondo a guardarmi con gratitudine. Poi scese e scomparve dentro allo
stabile.
Tornai a casa.
Pensai molto all’episodio
ma dentro di me non avevo mai avuto dubbi.
Per me lei era la
stessa Caterina di sempre, la giovane donna con lo sguardo fermo e deciso, la
ragazza silenziosa che a volte faceva la babysitter a una bambina di quattro
anni e che passava tre mattine la settimana, come volontaria in un centro per
anziani.
Qualcuno potrebbe obiettare
che rimane pur sempre una donnaccia, una peccatrice, lo so.
Ma quando studiamo una
moneta, forse ci fermiamo a osservare solo una faccia? La valutiamo solo per la
testa che ha inciso o per la sua croce?
Mi dico che solo l’intera
moneta rappresenta il suo valore. Che non esistono persone completamente buone
o totalmente negative.
Poi quello che fa per
vivere quella donna, non è cosa che competa ai condomini e finché questa cosa
dipende da me, non sapranno niente.
E’ passato qualche
tempo da quella sera.
Incontro Caterina per
le scale o all’ingresso di queste e lei mi saluta con gentilezza, cedendo il
passo e abbassando gli occhi.
Di questo abbiamo bisogno
nel palazzo.
Di persone gentili.
Poi vado al lavoro,
sereno.
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