sabato 14 ottobre 2023

fantasmi

 





Le storie di fantasmi spaventano tanta gente.

Mettono paura a grandi e piccoli.

Chi non ha passato ore insonni, nel buio della camera, a fissate l’ombra dietro alla tenda con l’intenzione di confermare il movimento impercettibile visto con la coda dell’occhio?

I fantasmi sono intorno a noi.

Camminano per le strade, come se niente fosse, ignari e incuranti del traffico delle auto che non si fermano agli incroci, delle persone sui monopattini che sfrecciano rapide tra i pedoni urlanti. Inconsapevoli dell’inquinamento elettromagnetico causato dai cellulari che imbrigliano la gente in una fitta rete di solitudine.

Fantasmi di persone vissute secoli prima tra queste strade, tra le case circondate dai campi e dall’erba che nessuno dei viventi sembra ricordare più.

Cammino anch’io, lento, con un libro nella mano, come doveva aver camminato mio nonno, forse stringendo un quotidiano, mentre con l’altra mano sollevava il cappello per salutare i passanti.

Provo anche a salutare qualcuno, ma al buongiorno rispondono pochi, alcuni ignorano il saluto e tirano dritto, i più mi squadrano come uno che è appena uscito da un centro di salute mentale.

Passo davanti alla casa in cui sono cresciuto.

È un condominio appena ristrutturato, che ha perso i suoi colori originari e sfoggia una terribile facciata grigio topo. Fisso la parete e la perversa e cattiva magia, che i comuni mortali chiamano memoria, trasforma il muro d’intonaco, lo scioglie e distrugge la materia in una vorticante insalata di atomi che prende la forma esatta delle mattonelle esistenti prima del rifacimento. Vecchie mattonelle color ardesia, dalle forme bizzarre, in rilievo su una malta tinta fumo. Ci passavo il dito su quelle mattonelle, un dito minuscolo di bambino e immaginavo isole misteriose dalle forme intriganti, pericolosi percorsi montani e cime inarrivabili.

Poi anche il fantasma della casa che fu, com’è giusto che facciano tutti i fantasmi, si dissolve, la magia finisce e riappare il condominio ristrutturato, a norma, dal terribile colore grigio topo.

Passeggio ancora un poco, gustando il contatto delle suole che mi ancora e mi radica alla cittadina che mi ha visto crescere e mi vedrà invecchiare e osservo.

Le persone a un primo sguardo non sembrano felici, passa una donna alla guida di un’utilitaria, sembra arrabbiata ma forse è solo concentrata. Alcuni hanno un’espressione da gladiatore pronto a uccidere chiunque si metta a ostacolare il proprio cammino, altri hanno lo sguardo perso del vuoto. Forse stanno vedendo dei fantasmi.

Prestando attenzione mi accorgo che ci sono anche persone che chiacchierano e sembrano spensierate, qualcuno sorride, qualcuno contorna i discorsi con ampi e rotondi gesti delle braccia neanche fosse un direttore d’orchestra.

Alla fine molti rispondono al mio saluto e a volte ricambiano il sorriso.

Mi sento bene, ci sono ancora speranze per noi.

Poi mi chiedo se ho davvero capito.

Ho visto persone vive o fantasmi del passato?

 



domenica 30 luglio 2023

Le donne del ventitré

 




Sono arrivate. Dalla A alla Zeta:


https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/racconti/661267/le-donne-del-ventitre/


Con amore.






martedì 11 luglio 2023

Zelda, la ragazza spiritosa

 






“Nonna, mi racconti di quando lasciasti l’Ermete in piedi sull’altare come uno stoccafisso?”

“Ora taldèg… se mi ricordo…”

La Zelda ne aveva centinaia di ricordi, forse migliaia e a forza di ripeterli, tanti si erano mischiati.

Le sue memorie sono sempre state, come diceva lei fin da giovane, uno scaramaz, una confusione totale e ora più che mai.

Nonna Zelda, che in realtà è la bisnonna di casa, avendo compiuto i centouno anni, apre gli occhi al soffitto, due puntini neri che ormai non vedono quasi più ma che devono averne viste di cose, e, infatti, ora deve vedere il suo Ermete…

“Semprini, si chiamava l’Ermete, uno che non era buono nemmeno a fare l’umarel davanti a uno scavo, uno che non aveva lavorato mai un giorno in vita sua…”.

“Però lo stavi sposando!” insiste la ragazzina.

“Mica ho detto che era brutto! L’Ermete era uno che quando camminava le donne ci perdevano le bave dietro, finanche quelle sposate! E poi sempre distinto, sempre elegante, quando venne a casa a chiedermi in sposa, il mio babbo fece gli occhi dolci anche lui che l’Ermete sembrava un dottore!”.

“Nonna, poi perché lo lasciasti?”

Zelda ride, anche senza dentiera il suo sorriso è di una bellezza senza tempo, contagioso.

“Chi se lo ricorda, ma forse perché io mica avevo bisogno di uno che sembrava un dottore, di dottori veri ne potevo avere quanti ne volevo, quando avevo vent’anni!”

Zoe se la ride, dalla cucina la voce di sua nonna, la terza figlia di Zelda le grida:

“Lascia stare la nonna, che se comincia non la finisce più e poi inizia a ridere così forte che se la fa addosso e poi tu esci e a me mi tocca cambiarla…”.

Zelda invece ha cominciato e non ne vuole sapere di smettere.

“ Mi ricordo ancora la faccia dell’Ermete quando a metà della navata mi fermai, mi strappai il velo dalla testa e tornai verso l’uscita correndo!”

“Prima di uscire mi voltai, l’Ermete aveva raccolto il velo e ci si stava soffiando il naso, tanto che piangeva come la fontana in piazza, con due occhi da vitello…”.

Zelda non smette di ridere e nemmeno di raccontare.

“Venne il padre dell’Ermete, per lamentarsi della figuraccia, con quei baffoni a manubrio, pensava di spaventarci, invece il me babbo lo fece correre alzando il bastone che usava per le capre…”.

La risata grassa di Zelda sembra un singhiozzo ma la vecchia ci ha preso gusto.

“Nonna, lo hai più visto?”

“Chi l’Ermete Semprini? Certo che lo vedevo, aveva poi preso in moglie una certa Adalgisa, una grassona che vendeva frutta e verdura ma si vede che le piaceva di più la piada con lo squacquerone, ci andavo sempre a comprare la lattuga finché lei, saputa la storia, non iniziò a tirarmela dietro appena mi vedeva, uno spasso…”.

La ragazzina pensa che lo spasso sia ascoltare la sua bisnonna che racconta del suo passato. Immagina che sia come in un film di Fellini, in bianco e nero ma pieno di tinte e di emozioni.

Arriva dalla cucina sua nonna con le mani ancora sporche di farina e si siede sul letto.

Zoe, ti ricordi l’anno scorso, quando festeggiammo i cento anni di nonna e qualcuno le fece assaggiare il Sangiovese frizzante e lei per ringraziare si mise a cantare Romagna mia…?”

“E chi se lo scorda!”

Intanto Zelda è andata avanti.

“Dopo però, un matrimonio bisognava ben farlo e allora mi diedero il nonno, lui sì che era un pezzo di pane non come quello sburone di suo padre” Lo dice ricominciando a ridere.

“Questo non ti ha impedito di fare i tuoi scherzi…” La rimprovera sua figlia, come fa sempre.

“Il mio Angelo era troppo serio, non rideva mai, capisco quando si andava a un funerale ma sempre, no… quando gli nascondevo le sue cose, non si arrabbiava mai, restava in silenzio con la faccia triste”

“Papà era un uomo serio, e poi ci bastavi tu a fare la pagliaccia…” Irrompe la figlia di Zelda.

Ma sua pronipote ha ancora voglia di ascoltare e la sprona.

“E poi nonna? Voglio sapere!”

“Poi c’è stata la guerra e, cosa volete, se non si rideva un po’ che vita ci restava?”

“E tu, tra una licenza e l’altra del nonno, hai fatto tre figlie…”

“Sì, come ci rimaneva male il mio marito, sapete, un'altra femmina… gli avevo fatto credere che esiste una specie di bottone nella schiena che se lo premi mentre fai l’amore, si può cambiare il sesso del bambino…”

Zoe si mette una mano davanti alla bocca, imbarazzata, la nonna la sgrida e Zelda ride felice come una bimba davanti a un gelato.

“Non ha mai smesso di cercare…”

Zelda ricorda anche le cose scabrose e le lacrime che zampillano dai suoi occhietti sono di puro divertimento!

La figlia cerca di calmarla mentre la nipote non finisce di ridere.

Zelda è ispirata e si rivolge a sua figlia.

“ Ti ricordi la famiglia Ciavatta?”

“Chi? Non ricordo nessuno con quel nome.”

“Per forza, si chiamavano Cecchini!” Precisa Zelda, e poi prosegue.

“Poverissimi, mangiavano solo pane secco, quello che noi tenevamo per le galline. Ogni tanto gli si regalava qualche uovo. Tutti scalzi, poi il falegname con gli scarti di legno fece loro degli enormi zoccoli che sembravano ciabatte e a loro cambiò la vita e il soprannome…”.

I ricordi di Zelda sembrano sogni appena giunti dal passato, dal sapore dolceamaro, proprio come nei film di Fellini.

A volte sembra che Amarcord lo abbia scritto lei.

Zoe vorrebbe ascoltare tutti gli aneddoti della sua bisnonna e pensa che dovrebbe scriverli per quanto sono divertenti. Ma sa che non sarebbe la stessa cosa che ascoltarli dalla voce di quella donna, che i ricordi li ha vissuti davvero.

Era arrivata quasi cento anni prima, lì, sulla costa, ancora in fasce, proveniente da Bologna assieme a una famiglia in cerca di un po’ di fortuna e di lavoro.

Sei ore col trenino a vapore ci vollero.

Zelda era sempre stata affascinata quando passava un treno e ogni volta faceva gli occhi dolci. Era con tenerezza che guardava i treni che passavano, e sempre con un velo di tristezza, con la nostalgia di chi sa che nessun treno l’avrebbe più riportata indietro.

Per questo Zelda aveva trascorso la vita a ridere e a fare scherzi, a cercare di portare sorrisi e gioia sulle facce di chi le stava attorno.

Era così che voleva vivere Zoe, allegra e solare, proprio come la sua bisnonna.

Pronta a scherzare su tutto, a nascondere le cose e a non prendersi troppo sul serio.

“Su Zoe, canta con me!”

La mano dalla pelle rugosa e color cuoio afferra la mano rosea e dalla pelle liscia della pronipote e la stringe con insospettata energia.

La centenaria comincia a cantare e la ragazzina l’accompagna con una voce molto più sottile.

“Romagna miaaaa… Romagna in fioreee… tu sei la stellaaa… tu sei l’amoreee…”.

La figlia di Zelda le osserva con amore e commozione.

È una scena tenerissima che neanche Fellini si sarebbe sognato!

“Mo’ lasciami stare che sono stanca e voglio dormire!”

La ragazzina passa una carezza sulla guancia magra della bisnonna eccentrica. Le vuole bene e la nonna lo sa.

Perché sorride ancora.

“As videmm e se an si videmm as scrivemm!”

Zelda chiude gli occhietti piccoli e immediatamente comincia a russare.

Chissà cosa sognerà.






sabato 8 luglio 2023

La ragazza del faro

 





Successe tutto molto in fretta.

Violante, all’epoca, era impiegata in una numerosa serie di lavori in parecchie case del paese. Faceva di tutto, dalle pulizie al baby-sitting, dallo stirare alle lezioni agli studenti in difficoltà. Era molto conosciuta e si faceva apprezzare per puntualità ed efficienza.

Ultimamente si era offerta per dare lezioni di yoga personali e aveva radunato un discreto numero di persone interessate.

Insomma, le cose andavano abbastanza bene, l’affitto della camera era onesto e lei era soddisfatta e non aveva mai avuto problemi ad arrivare alla fine del mese.

Quando seppe dell’incidente accorso a Pietro, si presentò immediatamente offrendo la sua disponibilità a trasferirsi.

Pietro era Addetto Tecnico Nautico, dipendente civile della Marina e si occupava del faro da almeno venticinque anni e non voleva saperne di andare in pensione.

Quando lui cadde dalla scala e fu operato, le possibilità furono due.

Lasciare il posto a qualcun altro e ritirarsi oppure trovarsi un assistente che lo aiutasse a trascorrere il periodo di riabilitazione, senza interrompere il lavoro.

Pietro non aveva grandi attese, anzi, nemmeno si aspettava che qualcuno rispondesse presto all’annuncio e di sicuro lo sorprese che la prima persona a presentarsi fu una donna.

Pietro ebbe molte esitazioni ma alla fine si convinse ad assumere Violante. La donna non era troppo giovane, a quarant’anni non si è più ragazzi da tempo, ma nemmeno troppo anziana.

Qualcuno in paese avrebbe potuto vederci qualcosa di male e qualcuno lo fece di certo ma Pietro non aveva tempo da perdere. Disse di sì e Violante nel giro di mezza giornata fece i bagagli, pagò la stanza in affitto per tutto il mese e si trasferì nell’edificio alla base del faro, in cui abitava Pietro.

Pietro aveva sempre avuto a che fare con impianti elettrici e accumulatori ed era stato marinaio civile per lunghi anni, prima di decidere di tenere i piedi sulla terra ferma e di impiegarsi come farista. Ormai la grande maggioranza dei segnalatori era automatizzata o dismessa, e lui si aspettava che da un momento all’altro anche del suo faro non avrebbero avuto più bisogno ma non voleva che fosse il suo stupido incidente a farlo mettere fuori gioco.

Violante capì dal primo momento che non sarebbe stato facile con quel vecchio uomo di mare, abituato alla solitudine e fece del suo meglio per diventare una donna invisibile.

I primi giorni passarono così. Il cielo era coperto e una coltre di nuvole rendeva tutto grigio e indistinto. Violante passava le ore a eseguire gli ordini aspri di Pietro, a preparare i pasti, a pulire antiche ragnatele dagli angoli, a farlo entrare in una vecchissima tinozza di legno e a versargli acqua tiepida sulla schiena.

L’uomo non s’imbarazzava della sua nudità, perché avrebbe dovuto, così era nato e così sarebbe morto, inoltre doveva ben lavarsi e la donna era pagata per lavorare.

Lei scoprì che oltre alle pulizie anche dare il bianco per rinfrescare le camere vuote, lavare le vetrate della stanza della luce, sgomberare il vecchio capanno dalle masserizie accumulate negli anni, rientravano nelle sue tante mansioni e arrivò a chiedersi se avesse fatto bene a proporsi per quel lavoro.

Poi uscì il sole.

Quando Violante si affacciò, dal punto più alto del faro, e vide il sole al tramonto, restò senza fiato.

Il disco arancione, ancora luminoso a sufficienza da ferire gli occhi di chi lo avesse fissato, sembrava un maestoso, immenso biscotto infuocato, che andava a intingersi in una tazza di schiumoso latte azzurro e tutto si dipinse della surreale cornice di un colore indefinito, sfumato tra l’arancione, l’indaco e il blu, dove le prime stelle della sera andavano a chiazzare il cielo tornato sereno. Nemmeno quando era andata al museo di van Gogh, Violante aveva osservato colori così intensi e spettacolari.

Era stata sul punto di chiamare Pietro ma si era bloccata, sapendo che quei colori non sarebbero durati per molto e non voleva perdersene nemmeno un istante.

Sapeva che il marinaio doveva aver visti innumerevoli tramonti ed era uomo troppo pragmatico per fermarsi più di tanto a perdere il suo tempo.

Già. Il tempo.

Al faro Violante stava sperimentando una vita fatta di fatiche e lavoro duro ma senza tempo, dove i momenti non erano scanditi dalle attività umane come mangiare, dormire, lavarsi ma dall’alternarsi della luce e del buio, e dal ruotare dei cristalli incandescenti che lanciavano il proprio segnale verso il mare aperto.

Violante aveva capito presto che nel faro, il tempo era come sospeso e non importava che ora o che giorno fosse, ma se il sole era ancora allo zenit, oppure stava calando e quali condizioni meteorologiche fossero previste.

Quel tramonto, così imprevisto, così violento e bellissimo l’aveva fatta innamorare senza rimedio di quel luogo e tutti i posti da lei vissuti in passato persero importanza.

Violante prese a salire di notte sul terrazzino e a osservare l’infinito, come dovevano aver fatto gli uomini dell’antichità, il punto dove il nero del mare si fondeva col buio del cielo e non c’era un confine. Poi alzava il viso e cercava di capire il mistero dell’esistenza, scrutando tra i puntini luminosi che le facevano da soffitta. Restava fin quando i brividi di freddo le impedivano di rimanere immobile e doveva rientrare per scaldarsi.

Era capace di riconoscere il grande e il piccolo carro, la stella Polare, la cintura di Orione con Rigel e il triangolo estivo con Vega.

In passato una donna che aveva creduto amica, con la passione dell’astronomia, la tediava con lunghe descrizioni, le sere d’estate sul balcone. Violante ricordava con amarezza quando il marito di questa aveva tentato di baciarla e lei aveva preferito allontanarsi da quella coppia. Il silenzio e l’assenza dell’altra avevano fatto nascere il sospetto che l’uomo avesse narrato alla moglie una versione diversa dell’accaduto, ma tutto questo ora non aveva più importanza.

Le persone vanno e vengono e la nostra vita è come una stazione ferroviaria, qualcuno parte per non tornare mai più e non è detto che sia sempre un male.

Il cielo però non sarebbe passato, era lì, immoto, da miliardi di anni e lo sarebbe stato per altrettanto. Del cielo ci si poteva fidare e Violante non avrebbe mai voluto staccare lo sguardo, nonostante il freddo, nonostante il sonno e i brividi.

Pietro l’aveva osservata passare parte della notte in contemplazione delle costellazioni e aveva sorriso pensando a lui giovane, sul ponte del peschereccio, a trascorrere la notte con naso in su.

Violante aveva sempre glissato, quando s’iniziava a parlare del loro passato e delle rispettive vite.

A Pietro non importava, non gli sembrava che la donna avesse qualcosa da nascondere e comunque non erano affari suoi.

Violante era la donna perfetta, per la vita nel faro.

Non era importante il suo passato, né il suo futuro.

Era lì ora e questa era l’unica cosa che contasse.

Sotto quel cielo, sul terrazzino del faro, Violante pensava la stessa cosa.

Viveva nel momento.

 Era l’unica cosa che contasse.

 





venerdì 30 giugno 2023

Urania, figlia delle stelle

 





 


Urania ha quindici anni, una memoria prodigiosa e una fame insaziabile di libri.

Certo che a scuola tutte queste caratteristiche non la rendono la più popolare delle ragazze.

Lei non veste seguendo le mode del momento, non le interessa indossare collane e bracciali, gli occhiali non sono un orpello ma una necessità, non si fa decorare le unghie, non guarda certi programmi televisivi, dove giovani e anziani cercano di fidanzarsi, anzi guarda pochissimo la televisione...

Non ha niente in contrario, per carità, non ci trova nulla di male a seguire le mode o a farsi dipingere le unghie, alcune mani delle sue compagne le trova molto belle, gli altri possono benissimo passare il tempo come credono, semplicemente il tempo è limitato e lei ha altre priorità.

È stata sempre abituata a fare di testa sua, a non dare importanza a quello che dicono gli altri, immaginiamo quello che ha dovuto passare con un nome come il suo.

Suo padre e sua madre sono appassionati di fantascienza, lettori accaniti e per anni hanno fatto a meno di acquistare un televisore e l’hanno preso solo per vedere i film di genere.

Urania legge di tutto, oltre ai libri consigliati dagli insegnanti.

Legge manuali e saggi scientifici e ha letto tutti i libri di Hawking sull’universo.

Le piace Bradbury, trova alcuni racconti struggenti come poesie d’amore.

Ha provato Asimov che ha uno stile scientifico anche quando scienza non è, ha scoperto John Wyndham e Jack Finney ma le sembra che sfocino a volte nel genere horror.

Così ha anche iniziato a leggere un certo Stephen King.

Inutile dire che porta con orgoglio il proprio nome e non vorrebbe chiamarsi in nessun altro modo.

Questa estate ha già pronta una pila di tascabili sul comodino e ora che la scuola è finita, ha già l’acquolina in bocca.

A proposito di scuola.

Quest’anno hanno parlato di una donna vissuta ad Alessandria d’Egitto al termine del quarto secolo. Una donna di nome Ipazia.

Ipazia è stata una delle prime donne a imporsi nell’allora comunità scientifica. La professoressa ha affermato che se fosse nata nel ventunesimo secolo sarebbe senza dubbio diventata una star mondiale con milioni di follower…

Ipazia studiava in continuazione e univa il metodo scientifico alla filosofia diventando così una delle voci più autorevoli della comunità culturale e, poiché donna, destando invidia, scalpore e scandalo.

Molti la ammiravano e arrivò a condurre la scuola neoplatonica della città ma fu presto, da parte di alcuni, accusata di essere un’incantatrice, una specie di fattucchiera e durante i tumulti le fu teso un agguato e fu uccisa dai suoi detrattori.

Ipazia era solo una donna che guardava le stelle e cercava, attraverso la matematica, di capirne i segreti. Fu probabilmente la prima grande scienziata donna mai esistita.

Quella lezione restò impressa nella mente di Urania e le stimolò la fantasia.

Le sarebbe piaciuto diventare come Ipazia, avere la sua intelligenza, la sua curiosità e soprattutto il suo coraggio.

Lei stessa in passato era stata dileggiata e chiamata “strega” ma grazie allo studio di quel personaggio, aveva compreso che chi ti ostacola e t’insulta forse lo fa solo perché non riesce a capire quello che dici, non comprende quello che comprendi tu, e forse ha solo paura di te.

Urania aveva anche studiato l’origine del suo nome.

Nella mitologia greca Urania era figlia di Zeus e di Mnemosine. Urania è una delle Muse, protettrice di astronomia, geometria e matematica.

Urania non avrebbe potuto essere più felice perché poteva così identificarsi completamente col suo nome.

Corse da sua madre, con la quale ultimamente i rapporti erano diventati tesi e conflittuali e la abbracciò dicendole quanto fosse grata che i genitori avessero scelto per lei proprio quel nome.

Quella mattina aveva deciso che sarebbe stata in biblioteca e avrebbe fatto due chiacchiere col ragazzo gentile che c’era al bancone. Le piaceva un poco ma questo non l’avrebbe mai confessato a nessuno.

Quella giornata sarebbe stata dedicata alla ricerca e allo studio ma quando sarebbe arrivata la sera, aveva sempre la sua pila di libri ad aspettarla sul suo comodino.

Urania finì la sua colazione e uscì ridendo.

Non era una strega e studiare non era mai stato così bello.

 

 

 




sabato 24 giugno 2023

Le mucche di Tea

 





 

 

Tea ha quasi diciassette anni e il fuoco nel cuore.

Gli occhi azzurro chiaro e i capelli biondi come il fieno seccato al sole.

Lavora tutti i giorni della settimana, al ritorno da scuola, tranne la domenica, quando suo padre le concede un giorno di riposo. È lei che vuole così, non potrebbe stare senza le sue mucche.

Il padre di Tea è il maggiore allevatore del paese, lo sanno tutti, e può permettersi una decina di dipendenti ma Tea non vuole rinunciare alle sue mansioni.

La grande stalla, da poco rimodernata, ospita quaranta animali e anche di più quando arrivano i vitellini.

Una volta, quando era più piccola, aveva provato ad assegnare un nome a tutte le vacche della stalla. Al tempo erano la metà di oggi. Aveva usato i nomi dei mesi, declinati al femminile e il fattore si era trovato i bigliettini su ogni posto, con scritto: Gennaia, Febbraia, Marzina, April e così via di questo passo. Terminati i mesi, i nomi erano diventati quelli delle quattro stagioni e per quelli che rimanevano, aveva utilizzato i pianeti. Tea conosceva a memoria gli animali della sua stalla e sapeva distinguere Mercuria da Inverna oppure Agostina da Luna. Non si sbagliava mai.

Inoltre Tea era golosa di latte appena munto.

Sarebbe vissuta di latte e biscotti a colazione, pranzo e cena tutti i giorni della sua vita, certo solo i biscotti fatti in casa da sua nonna. I più buoni del mondo.

Il latte le piaceva sempre tanto, anche se dopo i quattordici anni aveva iniziato a metterci dentro anche il caffè.

Un pomeriggio suo padre la vide abbracciata stretta alla nonna che singhiozzava. Chiese cosa fosse successo e la donna, laconica, rispose: Niente, cose femminili. Suo figlio aveva capito che era meglio non insistere e, abbassato il capo, era tornato al suo lavoro.

Tea stava crescendo.

Tea passava i pomeriggi tra i libri e le sue mucche, anche se avrebbe potuto evitare di andarci, non poteva farne a meno. Lei sapeva che quelle bestie così grandi e placide avevano un enorme cuore e riconoscendo i suoi modi gentili, la ricambiavano restando in salute e producendo un latte sopraffino.

Un giorno si venne a sapere che la televisione di stato sarebbe arrivata in paese per realizzare un documentario sui prodotti e sulle bellezze delle loro colline. Arrivò il regista assieme al produttore, con un paio di tecnici a parlare col sindaco e anche suo padre fu coinvolto nell’organizzazione. Lo avrebbero intervistato e sarebbe stato un bene per tutti.

I giorni delle riprese furono diversi. Vennero alla stalla e registrarono l’intervista, poi prepararono una bellissima tavolata, decorata da fiori di campo e imbandita con i prodotti più buoni, formaggi, ricotte, salumi e grandi brocche piene di latte.

A Tea fu dedicata anche una lunga ripresa e un primo piano, mentre portava a tavola il suo sorriso e un vassoio di dolci biscotti.

Quei giorni conobbe Angelo, un giovane alto e con larghe spalle da nuotatore, che girava costantemente con una telecamera sulla spalla destra. Andarono a chiacchierare sul prato del pendio sopra la stalla.

Sembrava tutto perfetto quando lui, con una smorfia, le chiese come facesse a sopportare l’odore.

Quale odore? Chiese lei senza capire.

Questa puzza. È dappertutto, anche adesso. Controlla le scarpe, forse hai pestato qualcosa.

Ma lei capì che non erano le scarpe, perché quel prato non era frequentato dagli animali. Si alzò e scappò via da quel giovane per rifugiarsi da sua nonna.

Quanto pianse, la bella Tea, la nonna non sapeva come consolarla e si limitò a tenerla stretta per proteggerla da quel mondo dei grandi al quale si stava affacciando.

Tea smise di piangere solo una volta entrata nella stalla per accarezzare Sabatina, che era tra le bestie più longeve. La vacca continuò placida il suo ruminare ma qualcosa metteva in mostra il suo apprezzamento al contatto delle mani di Tea.

Quell’animale ti ama.

La voce giovane ma salda del ragazzo la fece sussultare. Non si era accorta che qualcuno era entrato.

Chi sei? Chiese Tea.

Cercavo tuo padre. Sono Tito il nipote del sindaco. Domani questi se ne andranno, finalmente. Questa sera vorrebbero organizzare una riunione di commiato al palazzo vecchio del comune.

Tito prese a carezzare con energia Sabatina e arrivò perfino a stampare un bacio sul manto lucido dell’animale, sussurrando: sei davvero una bella bestia.

Tea gli chiese: Non ti da fastidio la puzza?

Quale puzza? Questa stalla è più pulita di una corsia d’ospedale. Non c’è nessuna puzza. Poi sorrise, i suoi occhi erano profondi e neri come due pozzi in un giorno di pioggia.

Tea ci si perse in un momento.

Poi Tito la salutò e si girò.

Tea lo chiamò e gli chiese:

Ti piace il latte?

Lo amo. Fu la risposta di Tito.

Ti piacerebbe assaggiare i biscotti di mia nonna? Sono i migliori del mondo…

Ok.

Allora vieni su in casa.

Il giovane la seguì nella casa, dove sua nonna stava cantando una vecchia canzone.

 

Tea ha quasi diciassette anni, i capelli color paglia lasciata al sole, un grande amore per le sue mucche e la passione per i biscotti della nonna.

E la fiamma di un'altra passione, appena nata nel suo cuore.

 

 

 





giovedì 22 giugno 2023

La seconda vita di Rosa

 






Come ti trovi qui?

La domanda è retorica e molto umana.

Lei, se di lei si può ancora parlare poiché in questo posto il genere è un concetto del tutto antropico, non sa come rispondere.

Qui è tutto magnifico, tutto perfetto.

Mai, in nessun modo concessole, avrebbe sperato di trovare tutto ciò che la avvolge. Perché dove è adesso, sempre che di concetti come adesso, prima o dopo si possa parlare perché anche questi concetti fanno parte dell’effimera e breve vita terrestre, dov’è adesso, dicevamo, tutto avvolge e si è parte di tutto.

L’impatto è stato magnifico e allo stesso modo devastante.

Perdere in un istante tutte le convinzioni, le certezze, le acquisizioni apprese durante una vita intera potrebbe essere drammatico ma di fronte alla conoscenza e alla realizzazione di ciò che si è divenuti, diventa facile e dolce il trauma del passaggio e si ha la consapevolezza che nessun termine di qualunque lingua, dialetto, idioma mai apparso, possa descrivere questa emozione.

Detto questo, l’entità piena di luce rinnova la domanda.

Come ti trovi qui?

Allora l’anima (non è accordato definirla altrimenti, sulla base dei miei limiti) prova a rispondere.

Qui è infinitamente meglio di quanto potessi mai chiedere, quando ero una persona e pregavo, non avrei mai potuto immaginare questa bellezza, questa pace.

La risposta è affrettata ma l’entità appare soddisfatta.

Lei lo capisce ed entra immediatamente a far parte di questa soddisfazione.

Ho potuto ritrovare l’essenza più intima delle persone che mi erano mancate e questa è fonte di gioia.

Anche questa precisazione provoca soddisfazione in questo mondo, nel quale spazio e tempo non esistono ma abbondano le sensazioni.

Ricordi il tuo nome? Chiede l’essere che tuttavia non nasconde la capacità di conoscere tutte le risposte alle domande passate, presenti e future.

Sì, certo, risponde lei, ricordo tutto, il mio nome, i momenti felici e anche quelli amari ma questi ultimi non mi danno più dolore.

Sai che dovrai scegliere cosa diventare?

Mi sembra di saperlo così come mi sembra di sapere infinite cose da quando sono qui.

La luce circonda tutto e permette di vedere oltre l’essenza delle cose fisiche.

Allora avrai capito che puoi scegliere. L’eternità è un periodo molto lungo senza un compito da portare a termine, detto in vocaboli molto umani.

Rosa o perlomeno colei che è stata Rosa, apprezza il modo in cui quell’entità così potente e magnifica, si è approcciata, quasi come se fossero due comuni persone che parlano, dopo un incontro in una via di paese.

Il concetto di paese applicato all’universo le pervade i sensi di una muta e allegra risata.

Sì, ho pensato cosa vorrei diventare.

Ti avverto, si tratta di un compito di grande responsabilità. Nessuno può obbligarti e saresti comunque nella grazia e nella pace anche se non volessi farlo.

Ma io voglio.

Bene. Allora presto vedrai molto meglio e saprai ancora più cose.

Lei appare quasi incredula che si possa vedere meglio di così ma è felice di sentirlo pronunciare.

Sai già di chi dovrai prenderti cura?

Mi sembra di avere capito e non sai quando mi renda felice.

Credimi, lo so. E so che svolgerai bene i tuoi compiti.

In termini umani siamo sempre stati soddisfatti di come hai condotto le cose, della serietà e dell’impegno e della preghiera con cui ci hai sempre affidato tutto. Non potrai che fare bene.

Rosa è entrata da poco in questo mondo ma già la sua luce è incredibilmente potente.

Tra le cose che saprai ci sono i dettagli umani, la bimba nascerà tra poco meno di un anno, porterà con sé gioia, amore e sapienza e così sarà chiamata.

Sarà il sole della sua famiglia e porterà con sé, come fanno tutti i nuovi nati, l’odore e il sapore della magnificenza di cui disponiamo qui. Tu dovrai essere pronta per quel momento.

L’entità un tempo chiamata Rosa è consapevole, sa che sarà pronta e sapere che avrà questo compito è per lei un’ulteriore benedizione.

Secondo concetti prettamente secolari, il perpetuarsi di una famiglia attraverso una nascita è uno dei doni più preziosi che ci siano e sapere che accadrà nella sua famiglia, la colma di gioia.

Bene.

Lei è attorniata da quanti formavano la propria famiglia in vita e che la attendevano per esultare della sua presenza e ora che le è stato affidato questo compito prezioso, aumenta ancora, se possibile, la sua felicità.

S’immagina che sulla terra qualcuno possa fantasticare di lei come un essere dotato di grandi e candide ali, come siamo ingenui e ignari prima di giungere in questo mondo, e il pensare all’essere con le ali la farebbe ridere ma qui concetti come pensiero e risata sono limitanti perché semplicemente fanno parte dell’essenza di tutte le cose e sono costantemente parte anche di lei.

È felice di poter custodire questa bimba che verrà e sarà felice di poterlo fare quando nascerà una bimba da questa e per quella che verrà ancora dopo, senza limite di tempo.

Né di amore.

È questo che fanno gli angeli.








domenica 18 giugno 2023

Le paure di Querida

 





Mamma, non riesco a dormire.

La cameretta è invasa da giocattoli e vestiti in ogni dove e l’aria è satura di paura.

Querida ha gli occhi arrossati come chi ha pianto da poco e il respiro affannato come se avesse fatto una corsa. Il suo letto è un turbine intricato di lenzuola.

Vieni, piccola mia, lasciati abbracciare.

Susanna è accorsa appena il pianto della piccola l’ha richiamata dal mondo dei sogni.

Avrai fatto un brutto incubo, ora passa tutto.

La bimba non smette di singhiozzare.

No, mamma, non è stato un incubo, non riesco a dormire…

Querida mia, vorresti venire nel lettone?

No, mamma. Preferisco restare nella mia cameretta, solo lascia la luce accesa perché sono le ombre a farmi paura.

Susanna ci rimane un po’ male, le piace quando la sua cucciola va a riparare nel suo letto, quando si lascia stringere e consolare in un caldo abbraccio che serve in realtà ad ambedue. Ma ultimamente Querida non cerca più il contatto fisico come quando era più piccola.

La stringe a sé e dondola leggera ascoltando il respiro della bambina che rallenta e diventa più silenzioso.

Mamma?

Cosa c’è piccola mia?

Perché papà ci ha lasciate?

Susanna accusa il colpo, sente una lama di ghiaccio ficcarsi nell’anima e per un momento non riesce a parlare, poi si riscuote.

Papà non ti ha lasciata, ha lasciato solo me.

La bambina tira su col naso, non è soddisfatta e insiste.

Sì ma, perché l’ha fatto?

Perché non ci amavamo più, non voleva più vivere con me, ma non per questo ha smesso di volerti bene, anzi, te ne vuole tanto.

Ma se mi vuole tanto bene, perché non viene la notte, quando le ombre mi fanno più paura?

Susanna vorrebbe parlarne, liberarsi, sfogarsi ma la sua bimba ha solo tre anni e domani dovrà andare all’asilo. Non può permettersi che una notte insonne la tenga a casa.

Non ci pensare ora, Querida, vieni a dormire con me, nel lettone di mamma c’è tanto posto.

Susanna sa che la bimba la seguirà e che si addormenterà presto, come fa sempre. Ma pensa con amarezza che tutto quel vuoto pesa a entrambe e che le ombre che nella cameretta hanno spaventato Querida, in camera da letto sono solo più grandi e spaventano anche lei.

Solo che lei è un’adulta e come tale si deve comportare. Deve pensare in maniera razionale, deve consolare sua figlia e non può lasciarsi andare a pianto e singhiozzi come se fosse una bambina di tre anni.

Vorrebbe dire a sua figlia che anche lei è terrorizzata da ombre che le scorrono tutta la notte ma anche tutto il giorno davanti e infestano le sue giornate. Vorrebbe chiedere di avere qualcuno cui aggrapparsi, da cui rintanarsi quando la notte si fa più buia.

Ma lei è una madre e le madri sconfiggono le ombre.

Quindi si porta sua figlia nel lettone e lascia la lampada accesa.

Mamma?

Dimmi Querida.

Un giorno papà tornerà?

Di nuovo la sensazione di quella lama gelata.

Non lo so se tornerà da me. Non credo. Ma di sicuro tornerà da te e non ti lascerà mai.

Ne sei sicura?

Si Querida, e vuoi sapere perché io lo so? Perché anche papà, proprio come me, ha bisogno di te e non può fare a meno di abbracciarti.

Al momento le ombre sono scomparse, dissolte. Fantasmi e mostri non esistono quando c’è una madre che ti tiene tra le sue braccia.

Querida si addormenta con un’espressione serena sul faccino e osservandola, anche Susanna torna ad addormentarsi.

Nella camera nessuna ombra osa affacciarsi.

 

 





sabato 17 giugno 2023

Pandora

 





 

La prima volta che sentii Paolo cantare fu alla festa di Natale dell’azienda, un anno fa.

Me lo trovai di fianco per caso, e fu una sorpresa.

Era con noi da poco e aveva una voce meravigliosa.

Credetemi, io canto da una vita, cori parrocchiali e karaoke ma anche in una corale di gospel e di voci ne ho sentite, ma Paolo aveva un timbro incredibile e un’intonazione rara.

Alla festa che era seguita, mi avvicinai e glielo dissi. Lui sorrise imbarazzato e non sapendo cosa rispondere si allontanò. Paolo lo vedevo quasi tutti i giorni, alla sua scrivania, sempre serio e concentrato sul lavoro, ordinato e composto, con i capelli a spazzola e senza un’ombra di barba, sempre perfetto.

Era difficile entrare in comunicazione con Paolo, troppo timido, troppo chiuso. Si limitava allo stretto necessario, usava modi cortesi e educati per le comunicazioni di lavoro e i saluti. È sempre stato molto gentile e piacevole ma non era uno che trovavi alla macchinetta del caffè a chiacchierare di calcio o di auto con gli altri colleghi, il lunedì mattina.

Intuivo che c’era qualcosa che nascondeva e non ci avrebbe mai raccontato.

Ma noi donne sappiamo essere caparbie, quando vogliamo.

Dopo diversi tentativi e approcci per approfondire quello che era un asettico rapporto di lavoro, tutti inevitabilmente andati a vuoto, mi ero convinta di lasciar stare, cosa m’importava di quell’uomo, se era lui a non aver piacere ad aprirsi e a confidarsi con i suoi colleghi d’ufficio, allora che se ne restasse nel suo mondo.

Mi ero immaginata che fosse un tipo ossessivo, con una personalità immatura, incapace di accettare un contatto umano o di provare empatia verso le altre persone, una specie di maniaco che forse viveva ancora con gli anziani genitori e si lasciava trattare come un adolescente.

 

Poi questa primavera, al compleanno del capo, ordinammo una mega torta e cantammo il classico motivetto di auguri. Mi piazzai davanti a Paolo e le mie orecchie furono nuovamente deliziate da quella voce meravigliosa. Due ottave più alta della media maschile, leggermente roca e dolcissima, mi ricordò quella di Freddie Mercury!

Mi voltai e gli chiesi: Tu sei un cantante?

Lui si schernì e mi rispose arrossendo: No, no, canto solo in queste occasioni.

Fu la frase più lunga che mi aveva detto in sei mesi.

In quel preciso momento decisi che dovevo scoprire cosa nascondeva Paolo a noi colleghi. Sapevo che non erano fatti nostri, fatti miei. Ma la curiosità era tanta e quel giovane così taciturno e riservato era tanto misterioso quanto intrigante.

Certo che doveva essere un abitudinario di quelli tosti. Mai un ritardo al mattino, mai una volta che si fermasse alla fine del turno. Inforcava il suo scooter e spariva nella sua nebulosa vita per poi riapparire il mattino dopo puntuale come un orologio a cucù svizzero. Avevo deciso di seguirlo e quella sera presi anch’io il motorino, un cinquantino sgangherato della mia amica Silvia, con l’auto sarebbe stato impossibile stargli dietro. Paolo abitava a pochi chilometri, in un quartiere chiassoso, pieno di negozietti di souvenir e mercatini, pieno di chiasso e pedoni. Tutto molto pittoresco, i vicoli stretti, affollati da gente rumorosa e con le piante rampicanti che scendevano dai balconi.

Paolo entrò in un portone lasciato aperto e sparì alla vista. Spensi in mio catorcio e lo appoggiai a un muro scrostato. Non avevo un piano. Cosa mi ero messa in testa di fare non lo sapevo nemmeno io. Decisi che quei vicoli mi piacevano e ne avrei approfittato per cenare con un bel gelato doppio in barba a tutte le diete. Avrei aspettato di vedere se Paolo fosse uscito e in caso negativo me ne sarei tornata a casa.

Finito il gelato, bighellonai per quelle stradine, comprai un paio di braccialetti di legno, fui approcciata da due giovani ma se ne andarono presto con le braccia sulle spalle a tenerli uniti.

Quella zona mi metteva di buon umore, non sapevo perché. Mentre tornavo verso il motorino, vidi lo scooter di Paolo che usciva dal portone. Per poco non me lo persi, riuscii a mettere in moto, pedalando come una forsennata e a stargli dietro senza farmi vedere. Il sole era calato e la città aveva acceso le sue luci. Lampioni che si rincorrevano veloci, saracinesche di negozi che calavano, insegne luminose che proiettavano luce sui viali. Paolo rallentò e parcheggiò lo scooter, il traffico era intenso e riuscii a vedere dove era entrato, La porticina di legno fiancheggiava un disco pub dall’insegna sgargiante. Musica dal vivo, diceva la scritta in vetrina.

Fui sul punto di andarmene ma alla fine decisi di entrare.

Poca gente ai tavolini, un cameriere dagli occhi verdi e i modi molto effemminati si avvicinò e mi chiese: Che cosa bevi, amore?

Sorrisi a quella confidenza, chiesi una birra leggera e mi sedetti.

Dopo mezz’ora i tavoli erano affollati, l’atmosfera era festosa e le luci basse.

Si accese un riflettore che illuminò un palco e il cameriere di prima annunciò con orgoglio l’uscita di Pandora, la queen con la voce più bella della città.

Da una tenda rossa uscì un’artista stupenda. Con un vestito nero e lucido che fasciava i fianchi stretti, da cui scaturivano due sbuffi di tulle nero a coprire le spalle e che si apriva verso il basso in una larga gonna a pieghe che toccava il pavimento e si allungava dietro in un breve strascico, mostrava il suo magnifico volto una bellissima creatura che sfoggiò il suo sorriso perfetto, arricchito da un rossetto importante e da un trucco deciso. La parrucca di capelli corvini sfoggiava un’acconciatura complessa fatta di trecce legate in alto da un fiocco. Quell’apparizione, sul piccolo palco, manifestò una bellezza fuori dal comune e una sensualità irresistibile. Attirò da ogni lato applausi, fischi e grida di apprezzamento e quando finalmente gli applausi terminarono partì la base musicale e iniziò il canto.

Ogni sguardo in quel locale, compreso il mio, era concentrato sulla cantante, ogni orecchio deliziato, ogni cuore infranto.

Pandora terminò la sua performance improvvisando un duetto col pubblico, pieno di energia e provocazione e i presenti non si fecero pregare. Li aveva rapiti e conquistati tutti.

Quella voce era qualcosa di straordinario.

Ed io la conoscevo.

Tornai a casa col motorino della mia amica ma quella notte dormii poco.

Come avrei fatto a dire a Paolo che conoscevo il suo segreto?

Per giorni lo osservai, alla sua scrivania, senza avere il coraggio di salutarlo, pensavo che non fosse giusto intromettermi così nella sua vita privata.

Poi, un bel giorno, fu lui che venne da me.

Mi sentii imbarazzata e confusa. Gli chiesi come potevo aiutarlo.

Mi sorrise e mi rispose:

Mi ha fatto felice vederti al pub. Davvero. Mi chiedevo se ti sia gradito lo spettacolo, se tornerai e se ti sia piaciuta Pandora.

Arrossii e ammirai il suo coraggio. Non doveva essere facile per lui.

Decisi di arrendermi e di essere sincera.

Sì, lo spettacolo mi è piaciuto ma Pandora no…

Paolo mi guardò perplesso.

La verità è che mi sono innamorata di Pandora!

Allora sorrise e fu il primo sorriso in poco più di un anno che eravamo colleghi.