“Nonna, mi racconti di
quando lasciasti l’Ermete in piedi sull’altare come uno stoccafisso?”
“Ora taldèg… se mi ricordo…”
La Zelda ne aveva
centinaia di ricordi, forse migliaia e a forza di ripeterli, tanti si erano
mischiati.
Le sue memorie sono
sempre state, come diceva lei fin da giovane, uno scaramaz, una confusione
totale e ora più che mai.
Nonna Zelda, che in
realtà è la bisnonna di casa, avendo compiuto i centouno anni, apre gli occhi
al soffitto, due puntini neri che ormai non vedono quasi più ma che devono
averne viste di cose, e, infatti, ora deve vedere il suo Ermete…
“Semprini, si chiamava
l’Ermete, uno che non era buono nemmeno a fare l’umarel davanti a uno scavo, uno che non aveva lavorato mai un
giorno in vita sua…”.
“Però lo stavi
sposando!” insiste la ragazzina.
“Mica ho detto che era
brutto! L’Ermete era uno che quando camminava le donne ci perdevano le bave
dietro, finanche quelle sposate! E poi sempre distinto, sempre elegante, quando
venne a casa a chiedermi in sposa, il mio babbo fece gli occhi dolci anche lui
che l’Ermete sembrava un dottore!”.
“Nonna, poi perché lo
lasciasti?”
Zelda ride, anche senza
dentiera il suo sorriso è di una bellezza senza tempo, contagioso.
“Chi se lo ricorda, ma
forse perché io mica avevo bisogno di uno che sembrava un dottore, di dottori veri
ne potevo avere quanti ne volevo, quando avevo vent’anni!”
Zoe se la ride, dalla
cucina la voce di sua nonna, la terza figlia di Zelda le grida:
“Lascia stare la nonna,
che se comincia non la finisce più e poi inizia a ridere così forte che se la
fa addosso e poi tu esci e a me mi tocca cambiarla…”.
Zelda invece ha
cominciato e non ne vuole sapere di smettere.
“ Mi ricordo ancora la
faccia dell’Ermete quando a metà della navata mi fermai, mi strappai il velo
dalla testa e tornai verso l’uscita correndo!”
“Prima di uscire mi
voltai, l’Ermete aveva raccolto il velo e ci si stava soffiando il naso, tanto
che piangeva come la fontana in piazza, con due occhi da vitello…”.
Zelda non smette di
ridere e nemmeno di raccontare.
“Venne il padre
dell’Ermete, per lamentarsi della figuraccia, con quei baffoni a manubrio,
pensava di spaventarci, invece il me babbo lo fece correre alzando il bastone
che usava per le capre…”.
La risata grassa di
Zelda sembra un singhiozzo ma la vecchia ci ha preso gusto.
“Nonna, lo hai più
visto?”
“Chi l’Ermete Semprini?
Certo che lo vedevo, aveva poi preso in moglie una certa Adalgisa, una grassona
che vendeva frutta e verdura ma si vede che le piaceva di più la piada con lo
squacquerone, ci andavo sempre a comprare la lattuga finché lei, saputa la
storia, non iniziò a tirarmela dietro appena mi vedeva, uno spasso…”.
La ragazzina pensa che
lo spasso sia ascoltare la sua bisnonna che racconta del suo passato. Immagina
che sia come in un film di Fellini, in bianco e nero ma pieno di tinte e di
emozioni.
Arriva dalla cucina sua
nonna con le mani ancora sporche di farina e si siede sul letto.
Zoe, ti ricordi l’anno
scorso, quando festeggiammo i cento anni di nonna e qualcuno le fece assaggiare
il Sangiovese frizzante e lei per ringraziare si mise a cantare Romagna mia…?”
“E chi se lo scorda!”
Intanto Zelda è andata
avanti.
“Dopo però, un
matrimonio bisognava ben farlo e allora mi diedero il nonno, lui sì che era un
pezzo di pane non come quello sburone
di suo padre” Lo dice ricominciando a ridere.
“Questo non ti ha
impedito di fare i tuoi scherzi…” La rimprovera sua figlia, come fa sempre.
“Il mio Angelo era
troppo serio, non rideva mai, capisco quando si andava a un funerale ma sempre,
no… quando gli nascondevo le sue cose, non si arrabbiava mai, restava in
silenzio con la faccia triste”
“Papà era un uomo
serio, e poi ci bastavi tu a fare la pagliaccia…” Irrompe la figlia di Zelda.
Ma sua pronipote ha
ancora voglia di ascoltare e la sprona.
“E poi nonna? Voglio
sapere!”
“Poi c’è stata la
guerra e, cosa volete, se non si rideva un po’ che vita ci restava?”
“E tu, tra una licenza
e l’altra del nonno, hai fatto tre figlie…”
“Sì, come ci rimaneva
male il mio marito, sapete, un'altra femmina… gli avevo fatto credere che
esiste una specie di bottone nella schiena che se lo premi mentre fai l’amore,
si può cambiare il sesso del bambino…”
Zoe si mette una mano
davanti alla bocca, imbarazzata, la nonna la sgrida e Zelda ride felice come
una bimba davanti a un gelato.
“Non ha mai smesso di
cercare…”
Zelda ricorda anche le
cose scabrose e le lacrime che zampillano dai suoi occhietti sono di puro divertimento!
La figlia cerca di
calmarla mentre la nipote non finisce di ridere.
Zelda è ispirata e si
rivolge a sua figlia.
“ Ti ricordi la
famiglia Ciavatta?”
“Chi? Non ricordo
nessuno con quel nome.”
“Per forza, si
chiamavano Cecchini!” Precisa Zelda, e poi prosegue.
“Poverissimi,
mangiavano solo pane secco, quello che noi tenevamo per le galline. Ogni tanto
gli si regalava qualche uovo. Tutti scalzi, poi il falegname con gli scarti di
legno fece loro degli enormi zoccoli che sembravano ciabatte e a loro cambiò la
vita e il soprannome…”.
I ricordi di Zelda
sembrano sogni appena giunti dal passato, dal sapore dolceamaro, proprio come
nei film di Fellini.
A volte sembra che Amarcord lo abbia scritto lei.
Zoe vorrebbe ascoltare
tutti gli aneddoti della sua bisnonna e pensa che dovrebbe scriverli per quanto
sono divertenti. Ma sa che non sarebbe la stessa cosa che ascoltarli dalla voce
di quella donna, che i ricordi li ha vissuti davvero.
Era arrivata quasi cento
anni prima, lì, sulla costa, ancora in fasce, proveniente da Bologna assieme a
una famiglia in cerca di un po’ di fortuna e di lavoro.
Sei ore col trenino a
vapore ci vollero.
Zelda era sempre stata
affascinata quando passava un treno e ogni volta faceva gli occhi dolci. Era
con tenerezza che guardava i treni che passavano, e sempre con un velo di
tristezza, con la nostalgia di chi sa che nessun treno l’avrebbe più riportata
indietro.
Per questo Zelda aveva
trascorso la vita a ridere e a fare scherzi, a cercare di portare sorrisi e
gioia sulle facce di chi le stava attorno.
Era così che voleva
vivere Zoe, allegra e solare, proprio come la sua bisnonna.
Pronta a scherzare su
tutto, a nascondere le cose e a non prendersi troppo sul serio.
“Su Zoe, canta con me!”
La mano dalla pelle
rugosa e color cuoio afferra la mano rosea e dalla pelle liscia della pronipote
e la stringe con insospettata energia.
La centenaria comincia
a cantare e la ragazzina l’accompagna con una voce molto più sottile.
“Romagna miaaaa… Romagna
in fioreee… tu sei la stellaaa… tu sei l’amoreee…”.
La figlia di Zelda le
osserva con amore e commozione.
È una scena tenerissima
che neanche Fellini si sarebbe sognato!
“Mo’ lasciami stare che
sono stanca e voglio dormire!”
La ragazzina passa una
carezza sulla guancia magra della bisnonna eccentrica. Le vuole bene e la nonna
lo sa.
Perché sorride ancora.
“As
videmm e se an si videmm as scrivemm!”
Zelda chiude gli
occhietti piccoli e immediatamente comincia a russare.
Chissà cosa sognerà.