martedì 28 aprile 2015

luoghi insoliti: Le forme del kung fu

luoghi insoliti: Le forme del kung fu: Prendo un bel respiro e soffio fuori l'aria facendo pressione con l'addome, poi inizio. Stendo le braccia davanti a me fa...

Le forme del kung fu







Prendo un bel respiro e soffio fuori l'aria facendo pressione con l'addome, poi inizio.
Stendo le braccia davanti a me facendo unire i dorsi delle mani all'interno, poi con un movimento rotatorio dei polsi le mani si staccano e si posizionano sui fianchi chiudendosi in due pugni.
Con due balzi aumento la distanza tra i piedi e contemporaneamente abbasso il baricentro assumendo la consueta posizione del cavaliere.
La prima forma ha un nome musicale che pronuncio sottovoce come fosse un invocazione e che non potrei riprodurre utilizzando le ventuno lettere dell'alfabeto italiano.
All'improvviso sposto il baricentro del mio corpo sulla mia destra tenendo la fronte alta e lo sguardo vigile. Il mio braccio sinistro si alza sulla mia linea centrale, arriva all'altezza del mio naso, la mano ruota e para un ipotetico colpo diretto al mio volto. Poi il braccio sposta l'aggressione virtuale verso sinistra, la mia sinistra ma questo é quello che vedrebbe un profano, in realtà é tutto il corpo che si sposta verso sinistra ritrovando l'esatto baricentro.
Contemporaneo a questo movimento, dal fianco destro parte il pugno, un diretto al viso del combattente virtuale che si affronta facendo la forma.
Il pugno non é dato col braccio ma parte da tutta la parte destra del corpo. Nasce dal piede, cresce dal fianco, é alimentato dalla spalla e viene espresso col braccio. La velocità del colpo, la sua precisione non sarebbero maggiori se ci fosse un avversario in carne ed ossa. La forma é un combattimento vero e proprio e la stanchezza che ne deriva al termine lo testimonia.
Quasi immediatamente la mano che ha colpito si apre e diventa mano che para, arretrando verso la spalla destra, il baricentro muove nuovamente verso destra e la mano sinistra va a colpire di taglio li dove un attimo prima c'era il pugno destro. Ruoto i fianchi ed il torace verso destra e questo permette al braccio sinistro di muoversi a velocità più che raddoppiata. Se ci fosse una faccia a ricevere il colpo che arriva il danno sarebbe certo.
Ora avanzo col piede destro, mi metto di fianco e colpisco col palmo destro scaricando l'energia dall'alto al basso in direzione dell'inguine dell'avversario.
Colpendo, anche se non c'è nessuno da colpire, scarico l'energia soffiando forte l'aria dai polmoni poi unisco i piedi, sposto il destro molto in dietro e ruoto in senso orario di centottanta gradi pronto ad affrontare un altro aggressore arrivato alle mie spalle.
La prima forma, come del resto tutte le altre, che sono sempre più complesse, prevede una serie di azioni e reazioni dirette verso tutti e quattro punti cardinali. É necessario sapere bene dove ci si trova e da che parte si sta guardando come ė necessario sapere sempre da che parte arriva l'attacco dell'avversario se si vuole uscire vincitori da un combattimento. Anche se spesso non basta questo.
Ora sto guardando dalla parte opposta rispetto a quando ho cominciato e ripeto le prime due tecniche di difesa e contrattacco.

La forma ha molti altri spostamenti, altri colpi dati con le mani e con i calci. Mi sembra sempre di non ricordare tutti i passaggi ma una volta iniziata il mio corpo si muove da solo dando libertà alla mia mente. Un po' come quando si guada un ruscello e si poggiano i piedi su di un sasso alla volta ma il cervello é due sassi avanti anche nella forma la mente si muove più veloce e valuta molte più cose.
Con fatica arrivo a completare la sequenza, ritrovò la posizione del cavaliere, prendo fiato e scarico spingendo le braccia verso il suolo con i palmi aperti.
Poi mi rimetto nella posizione iniziale, chiamo il nome della forma e ricomincio daccapo.
Le arti marziali richiedono ripetizione, pazienza infinita, passione. La pazienza viene allenata come e più della forza e dell'agilità.
Non sono contento di come é venuta, non devo accelerare improvvisamente, non devo rallentare per la stanchezza. Devo muovermi con armonia, devo sincronizzare il respiro, il mio corpo deve viaggiare leggero e devo lasciare a terra bagagli pesanti come emotività, paura, rabbia.
Devo imparare a controllarmi e a non farmi intimorire, la lotta contro un fantasma non é meno dura di quella contro una persona in carne ed ossa.
Si sa, la vita é piena di fantasmi che fanno paura, che impediscono di andare avanti e praticare le forme mi aiuta di sicuro.
La ripeto molte volte. Come ho detto non sono soddisfatto né lo sarò mai. Essere soddisfatto di come ho fatto la forma mi permetterebbe di terminare la pratica. Di sentirmi arrivato.
E quando sei arrivato il viaggio é concluso.
Io mi auguro che il nostro sia ancora molto lungo.
C'è tanto da imparare.



lunedì 13 aprile 2015

luoghi insoliti: racconti circolari

luoghi insoliti: racconti circolari: ...un racconto può iniziare da dove è finito?  Oppure finire da dove è iniziato?  Questa ed altre speculazioni come...

racconti circolari






...un racconto può iniziare da dove è finito? 
Oppure finire da dove è iniziato? 
Questa ed altre speculazioni come questa affollano i pensieri di Otto, Che in realtà si chiama Ottone, ma ha una fissa per tutto ciò che è nordico, dalla storia, alle auto senza trascurare i nomi.
Otto da piccolo vive ossessivamente in preda a manie e tic, si obbliga a percorrere con precisione lo stesso percorso sia all'andata che al ritorno, Se è costretto a deviare o anche solo ad attraversare la strada quando torna a casa ripercorre la stessa deviazione, sale sullo stesso marciapiede. Se pesta un tombino al ritorno fa in modo di passare sullo stesso tombino.
La sua vita è pervasa da movimenti e comportamenti circolari e questo comporta un grande dispendio di energie ma anche una grande gratificazione.
Per Otto tutto deve terminare da dove è cominciato come fanno i punti che assieme costituiscono la circonferenza del cerchio.
Ecco, il cerchio è l'oggetto perfetto, il grado massimo della bellezza da inseguire e da riprodurre.
Da piccolo se ne stava, seduto sul pavimento con le gambe incrociate a fissare le automobiline sfreccianti sulla pista elettrica. Amava la sua pista perchè poteva essere montata sia formando un circuito ovale, sia formando un "otto" che le auto, una rossa e una bianca percorrevano instancabili fino a fargli girare la testa.
Ottone non lo ricorda ma da piccolino era affascinato, anzi, ipnotizzato dall'oblò della lavatrice attraverso il quale vorticava veloce una galassia di maglie, calze, mutande e tovaglie nell'universo di acqua saponata.
Poi aveva inventato un gioco nel quale coinvolgeva anche i piccoli amici con cui giocava. Otto e gli altri allargavano le braccia e cominciavano a ruotare su se stessi prima lentamente, poi sempre più velocemente fino a non vedere più niente attorno, fino a stordirsi e a cadere al suolo in preda alle vertigini e alla nausea fra le pazze risate.
Poi per fortuna si cresce e certi giochi vengono abbandonati e dimenticati. Ma Otto non abbandona mai la sua passione per tutto ciò che è circolare e rotondo e nemmeno il piacere che prova nel compiere azioni e movimenti rotondi.

Durante le medie Otto fu l'unico a studiare qualcosa nel programma relativo all'arte. Era incantato da ciò che riportava il Vasari nelle sue "Vite" a proposito di Giotto e della sua celeberrima "O" e questo gli fece guadagnare molta considerazione tra gli insegnanti.
Gli interessi di Otto non cambiarono durante gli anni della scuola superiore e il fatto che filosofi e pensatori percepivano il cerchio come simbolo di perfezione, come immagine del se e della totalità della psiche, e che civiltà più antiche vedevano il cerchio quale rappresentazione a volte della terra, del sole, altre volte dell'universale, del sacro e dell'infinito, tutto questo non faceva che confermare le sue passioni e rafforzare le sue convinzioni.
Per molto tempo la sua immagine preferita fu l'uomo Vitruviano, non solo per la forza e la bellezza dell'opera ma perché raffigura un movimento perfetto all'interno di un cerchio. Otto immaginava di essere quell'uomo e di potersi muovere all'interno di quel cerchio, luogo in cui sarebbe stato al sicuro per sempre.
Detestava il suo nome, era fonte di sfottò e supplizi ma la matematica gli era venuta in soccorso insegnandogli che il simbolo dell'infinito era un otto messo in orizzontale.
Gli anni dell'adolescenza vedevano crescere Otto in altezza e ingegno. Purtroppo era un tipo introverso e timido e per vincere queste caratteristiche e fare delle amicizie, si convinse a frequentare un corso di ballo. Gli capitò di vedere una gara di valzer e in quel girare su se stessi e attraverso la sala Otto vedeva quella coppia di ballerini compiere qualcosa di prodigioso, di unico e decise, sorprendendo tutti, che anche lui avrebbe imparato l'alchimia del ballo.
E sempre con maggior sorpresa si dimostrò un ballerino dotato, Otto sentiva che più che il ballo, la musica era un'opera matematica perfetta, girando con la sua inconsapevole partner, teneva il tempo alla perfezione e anche le canzoni che andando a concludersi spesso come erano cominciate, erano raffigurate nella sua mente come un cerchio perfetto!
Ma il tempo del ballo durò poco, lasciando il posto ai pruriti universitari.
Pruriti non nel senso epidermico, quanto fatti di interessi, curiosità, voglia di viaggiare e di conoscere il mondo.
Otto trovò il modo di fare un paio di stage in Germania e Olanda e questo gli permise di allenare la sua duttilità con le lingue nordiche. Ma il suo istinto, le sue passioni lo conducevano irrimediabilmente più a nord e verso la fine degli studi concepì il suo "grande progetto".

Il grande progetto di Otto prevedeva il termine degli studi e un dottorato di ricerca possibilmente alle isole Fær Øer o in Islanda o in qualsiasi landa ghiacciata, che fosse.

Otto studiò duramente e caparbiamente raggiunse il risultato che si era prefissato. Nel senso che si era negato progetti da lui considerati "lineari" come trovare un lavoro, frequentare amici, trovare una ragazza per approcciare idee circolari come andare a fare il ricercatore in posti che fossero più vicino possibile al circolo polare artico.

L'ultima volta che ho ricevuto una lettera da Otto, si sappia che lui detesta i telefoni e usa poco la posta elettronica perchè spesso il computer lo abbandona, aveva trovato un impiego come guardiano del faro in un posto chiamato Vesteralen, un'isola nel nord della Norvegia, guardiano di un faro, capite? Un edificio dalla pianta circolare, con una luce che ruota in tondo per tutto il tempo, vicino al circolo polare artico. Non si può dire che non abbia fatto centro, questo è ciò che ho scritto nella lettera che spedirò per poi aspettare altre missive dall'uomo che ama le cose circolari...
E questo in sintesi è il racconto di Otto, racconto che immagino lui terminerebbe solo in un modo...un racconto può iniziare da dove è finito? 

Oppure finire da dove è iniziato? 
Questa ed altre speculazioni come questa affollano i pensieri di Otto, Che in realtà si chiama Ottone, ma ha una fissa per tutto ciò che è nordico, dalla storia, alle auto senza trascurare i nomi.





martedì 7 aprile 2015

luoghi insoliti: Dettagli di bellezza

luoghi insoliti: Dettagli di bellezza: Sono i particolari a fare la differenza. Sono convinto di questo. Lo dico sempre a tutti, la differenza sta nei dettagli. Da qua...

Dettagli di bellezza






Sono i particolari a fare la differenza.
Sono convinto di questo. Lo dico sempre a tutti, la differenza sta nei dettagli.
Da quando mi alzo al mattino, spesso controvoglia, sovente stanco e assonnato, a quando vado a coricarmi la sera, senz'altro stanco e assonnato, non faccio che compiere, come tutti, una serie di azioni indispensabili al sostentamento personale e della mia famiglia, al mantenimento di un esistenza degna di questo nome, di una abitazione decorosa e indirizzati saltuariamente all'incremento del sapere e del divertimento.
Faccio insomma tutta una serie di cose che abitualmente facciamo tutti, dal preparare il caffè al cucinare, dal lavare il pavimento all'attaccare uno scaffale, dal guidare l'auto ad avere rapporti e relazioni con gli altri.
Ed è proprio vedendo gli altri che ho fatto caso a questa cosa. I dettagli, le piccole, infinitesime differenze che distinguono ognuno di noi da tutti gli altri.
Ogni uomo o donna guida in modo diverso, ognuno prepara il caffè e ve lo offre a modo suo, ognuno si rapporta col prossimo con uno stile personalissimo. Ogni persona si approccia e si avvicina al suo prossimo con uno stile tutto suo. Qualcuno ha facilità al saluto cordiale, ha tendenza alla gentilezza e inclinazione all'abbraccio.
Ci sono altre persone che ci incontrano da anni e che magari ci salutano anche con cortesia ma senza sorridere, perché quel loro saluto non sia scambiato per qualcosa di intimo o magari solo perché non sono capaci di sorridere. Il mondo è pieno di gente triste, sono ovunque.
Quasi tutti, specie in Italia, sappiamo fare il caffè ma di sicuro state pensando che conoscete persone da cui lo accettate con maggior piacere...
E siamo tutti molto differenti non solo nelle cose che facciamo ma anche da come reagiamo alle cose che ci vengono fatte.
Siamo estremamente differenti quando rispondiamo alle provocazioni, quando ci viene richiesto qualcosa di insolito, quando è tardi ma ancora non si vede la fine del lavoro.
Siamo diversi quando siamo stanchi, c'è chi si arrende e si ferma, chi resiste, stringe i denti anche a costo di fare tutto male, chi non ascolta la fatica e raddoppia la concentrazione raggiungendo ottimi risultati.
Siamo diversi quando siamo davanti al pericolo, c'è chi scappa e il mio non vuole essere un giudicare chi scappa dal pericolo (che a volte può essere la scelta più saggia), c'è chi si butta e si gioca tutto con coraggio o con spavalderia. Siamo diversi quando dobbiamo affrontare un impresa o un viaggio, c'è chi deve pianificare tutti i passi, tutte le alternative e chi si tuffa senza aspettare un secondo.
Insomma, senza fare troppi, magari banali, esempi, siamo tutti diversi.
E come in un prato coperto di fiori che da lontano sembrano tutti uguali, da vicino, magari con una lente, ci accorgeremo che ogni fiore si differenzia per lunghezza dei petali, per tono di colore, per intensità di profumo. Oppure come fiocchi di neve, non ce n'è uno uguale all'altro, per forma e dimensione, qualcuno si scioglie prima al sole, altri resistono più tempo.
Come noi anche le cose che facciamo, le azioni che compiamo, dalle più banali, quelle quotidiane, alle più straordinarie, sono uniche, diverse da quelle di tutti gli altri.
Allora perché non rendere bello tutto ciò che facciamo? Perché non renderlo unico?
Se consideriamo le nostre azioni, il nostro modo di fare le cose come una sorta di impronta digitale, allora perché non scegliamo di lasciare un segno di bellezza dietro di noi in modo che chi ci segue, chi vede ciò che abbiamo realizzato rimanga un momento disorientato, stupito da una bellezza inattesa, colpito da una piacevolezza del tutto gratuita ma che forse, istintivamente, vorrà imitare a beneficio di altri ancora.
Chiunque può vedere e riconoscere la bellezza, non è necessario essere esperti d'arte per ammirare un quadro o per godere della vista di una scultura. È facile ammirare un bel paesaggio o un tramonto ed è piacevole annusare un fiore. Chi non sa riconoscere la bellezza vive in una sorta di oscurità che appiattisce tutto, che nasconde i particolari e rende piatta la vita che si trascina stancamente. 
È dovere di chi ne ha la capacità accendere una luce e dissipare la tenebra affinché tutti possano vedere, affinché, chi lo vuole, possa lasciare l'oscurità e riesca a scorgere e a riconoscere i dettagli delle cose.
Ecco che i dettagli sono tutto.