martedì 28 aprile 2020

luoghi insoliti: Torniamo umani?

luoghi insoliti: Torniamo umani?: Fuori piove.  Puntuale un’App sul mio smartphone informa che ci sono cinque gradi meno di ieri.  Rientro e mi copro. ...

Torniamo umani?











Fuori piove. 

Puntuale un’App sul mio smartphone informa che ci sono cinque gradi meno di ieri. 

Rientro e mi copro. 

A volte mi chiedo quanto sia necessaria tutta questa tecnologia alla portata di tutti. Cosa mai ce ne faremo. Avere la possibilità (e di conseguenza affinare la capacità) di uscire sul balcone o di affacciarsi alla finestra e osservare il cielo, studiare le nuvole, annusare l’aria e gustarne l’odore e il tepore, non sarebbe cento volte meglio? 

Ma i tempi sono cambiati. 

Non ci affidiamo (né ci fidiamo) più dei nostri sensi, io che assegnavo gran parte del mio lavoro al tatto, non posso più toccare una fronte per “sentire” la temperatura, sfiorare un petto per misurare il respiro o un polso per valutare il battito, stringere una mano per suggellare un’alleanza, abbracciare un familiare addolorato che ha bisogno di conforto, al massimo posso utilizzare uno strumento elettronico e toccare con i guanti. 

Mi manca qualcosa, certo a tutti mancano cose ma non necessariamente le stesse. In questo momento della vita di tutti, duro e difficile, in cui le parole chiave sono distanziamento, isolamento, quarantena, siamo costretti ad affidare tutto l’umano bisogno di socialità, alla tecnologia. 

Abbiamo scoperto la bellezza delle videochiamate, mai prima d’ora decollate, per ovvi motivi (volete mettere la discrezione di una telefonata formale condotta in mutande?) e menomale che ci sono le piattaforme social che ci permettono di farle. 

Ci possiamo vedere in faccia a distanza, scambiare sorrisi e confortarci da lontano con sguardi e divertirci con buffe smorfie e non sentirci soli, sebbene ognuno chiuso nel proprio appartamento, grazie alla connessione internet, possiamo scambiarci foto di cibi buonissimi, video del coniuge mentre fa le pulizie, collage del gatto in sei posizioni diverse, possiamo mettere tutto in rete e condividere col mondo la nostra vita privata. 

Peccato che, personalmente, non riesca a stare più di cinque minuti sulle suddette piattaforme, a causa di cose che leggo e che vedo. Salvo poche esilaranti o commoventi eccezioni, spesso gli interventi e i post trasudano un senso di frustrazione, una manipolazione più o meno consapevole delle informazioni, una deformazione della realtà (che è già di per se complessa), una cattiveria latente. 

Quest’ultima cosa m’infastidisce più delle altre. Abbiamo tutti un lato oscuro, una zona d’ombra (attingo dalla letteratura), certo, ma mai tanto quanto in questi tempi è dato sfogo pubblico ai peggiori istinti e si lasciano uscire questi dalle nostre stanze utilizzando il mezzo informatico. 

Una cattiveria che chiunque, finalmente, non ha più obbligo di controllare e tenere celata ma può condividere, gettare nella mischia, non servono grandi idee e nemmeno saperle scrivere, bastano un modem e una tastiera. 

E nessuna voglia di verificare, magari studiando il problema, la veridicità di ciò che si afferma. 

La speranza è che almeno serva da valvola di sfogo e basti a calmare tutti questi nuovi esperti, quali sono diventati grazie appunto alla disponibilità tecnologica che ci ha fatto dimenticale le nostre potenzialità umane. 

A volte mi auguro che si possa fare un passo in dietro. 

Pensate a come sarebbe stato diverso se questo virus, col quale dobbiamo convivere, fosse stato un virus informatico? Se invece di infettare e uccidere gli uomini, avesse intaccato la tecnologia e ci avesse costretto a tornare a guardare con gli occhi, a toccarci con le mani, ad ascoltarci con le nostre orecchie, ad annusare gli odori e a sentire col cuore? 

A tornare a essere umani? 

E, a proposito di umanità, mi mancano gli abbracci in famiglia, mi mancano gli amici, uscire la sera e conversare di cose sciocche e futili, tanto per riempire le ore dello stare assieme e godere della reciproca presenza, lasciando per una volta i telefoni spenti e chiusi nelle tasche. 











sabato 18 aprile 2020

luoghi insoliti: Felicità e sofferenza in cattività

luoghi insoliti: Felicità e sofferenza in cattività: J Ieri mi sono divertito, da quando la scuola è chiusa, non ho mai riso tanto… papà si è vestito da donna e si è lasciato tr...

Felicità e sofferenza in cattività










J
Ieri mi sono divertito, da quando la scuola è chiusa, non ho mai riso tanto… papà si è vestito da donna e si è lasciato truccare col rossetto di mamma! Dovevate vederlo.
Ho avuto il mal di pancia per le risate!
Gigi, 7 anni

La sera ci sfidiamo con delle partite a monopoli che durano un eternità, avevo giocato con gli amici, durante qualche serata invernale, quando fuori il ghiaccio sul parabrezza delle auto ci consigliava di restare a casa, ma non pensavo di divertirmi anche con i miei genitori.
Paolo, 18 anni

Ogni tanto alla mamma prende la stupidera… mi abbraccia, mi fa girare come una trottola e mi fa il solletico, poi mi spinge sul divano e facciamo la guerra dei cuscini. Oggi mi ha detto che sono la principessa della casa! Non è così male quando fa la strana…
Beatrice, 15 anni


L
Da un mese sono chiuso in casa. Vorrei scappare dalla finestra ma non saprei dove andare. Con i miei non si parla, non lavorano e non fanno che parlare dei conti e pensare ai soldi, non li reggo.
Mirko, 12 anni

Mamma bussa alla porta del bagno da dieci minuti ma non voglio farle vedere che ho pianto. Mi ha raccontato di avere sbattuto contro il mobile ma io ho sentito che litigavano ieri sera e penso che sia stato il suo compagno a farle del male. Lo odio e odio anche lei. Non sopporto che mi racconti bugie, vorrei che mio padre fosse qui.
Mariagrazia, 11 anni

Mi sembra di essere dentro a una lunghissima punizione, questa volta senza avere fatto niente.
Giovanni, 9 anni


J
-Quelli sul cespuglio in fondo al cortile, che fiori sono?
-Quelle sono rose.
-Che bel colore.
E quei mazzettini in basso, sul vialetto?
-Quelle sono violette.
-Papà ma tu sai tutto?
-No, me l’ha detto il signor Guido, lui ha piantato i fiori e si prende cura della siepe del nostro cortile.
-Il signor Guido è quello vecchio vecchio, con la barba bianca che sembra babbo Natale?
-Non farmi ridere, signorina, non è poi così vecchio…
Paoletta, 6 anni (sul balcone col papà)


L
Le ore sono pesanti come massi e mi schiacciano, mi tengono intrappolato in questo buco di casa, come in una tomba. Non vedo via d’uscita. I primi giorni, le cuffie ficcate nelle orecchie mi anestetizzavano e non permettevano alla noia di entrare nella mia testa ma ora anche questo rimedio è inutile. Passo il giorno sdraiato sul letto, così mio padre è contento, potrà dire di avere sempre avuto ragione a ritenermi un inutile fallito.
Lorenzo 21 anni

Guardo alla finestra e vedo passare qualche persona con la mascherina, sembrano zombie senza speranza…
Gloria, 20 anni


J
Osservo fuori dalla finestra, il sole sta per tramontare e l’aria è immobile e tiepida. Gli alberi in strada sono fioriti e gli uccelli cantano come in un concerto senza pubblico. Non si sentono rumori di auto né di moto. L’aria è pulita e trasparente. Mi dispiace per le persone che sono state male o che sono morte e sono triste per loro e per le loro famiglie ma sembra che il mondo se ne freghi di noi e vada avanti col suo solito composto e silenzioso ruotare. La primavera è scoppiata senza far rumore e presto arriverà anche l’estate. Porterà qualcosa di buono anche a noi, piccole creature impaurite e indifese.
Giorgio, 53 anni










sabato 11 aprile 2020

luoghi insoliti: Il ragazzo al balcone

luoghi insoliti: Il ragazzo al balcone: Sono quasi le quattro.  Ero al cellulare, stavo per cambiare il mio stato, mi chiamo Giada, ho tredici anni e ...

Il ragazzo al balcone













Sono quasi le quattro. 

Ero al cellulare, stavo per cambiare il mio stato, mi chiamo Giada, ho tredici anni e mi piacciono i gatti e i tramonti… troppo da bambina. Ma è tardi e lo farò dopo… 

Devo prepararmi, pettinarmi. Oggi sono un mostro, non ho fatto nemmeno il letto e non so che camicia indossare. Questi giorni, dovrei dire queste settimane, me ne resto in pigiama a guardare le lancette dell’orologio sulla parete. A volte sembra che vadano al contrario, quanto sono lente. 

Ma da qualche giorno, verso le quattro lui esce sul balcone e ci resta per dieci minuti a osservare le nuvole. 

A scuola non mi aveva mai nemmeno vista, sempre circondato dai suoi insulsi amici e dalle sciacquette della terza, ma ora la scuola non esiste più, è solo un pallido ricordo, ora c’è solo lui sul balcone. 

Ed io esattamente di fronte. 

Io abito al terzo piano, così lo guardo dall’alto perché lui sta al primo, i nostri condomini distano solo una ventina di metri, separati da due file di grigi box per auto. 

Se urlassi, mi sentirebbe ma pensate che figuraccia. 

Sono pronta, ho messo la camicia bianca con i fiorellini, i jeans quelli vecchi, tanto dal balcone non si vedono. Lui ha la tuta sportiva e un paio di pantaloncini da tennis, ecco… ha sollevato la testa e mi ha fatto un cenno. 

Lo saluto con la mano e lui mi risponde agitando la sua. Per un momento non lo vedo più, si è chinato a raccogliere qualcosa, si solleva e vedo che ha una racchetta in mano. 

Me la mostra come un trofeo, sorride. 

A scuola non mi aveva mai sorriso. Allora gli faccio segno di aspettare e scappo in casa. 

Mia madre mi guarda come guarderebbe uno appena scappato di manicomio, io la ignoro, corro in cameretta e cerco frenetica nello scatolone sotto il letto… eccola! La vecchia racchetta da tennis mai più usata da quando mio padre mi obbligò a prendere delle lezioni. Mi aveva trovata ingrassata e si lamentava con mia madre che non facessi sport, io lo avevo accontentato fingendo interesse, più per mantenere la fragile tregua tra due genitori separati e pronti a scatenare l’inferno per qualunque problema. 

In ogni modo ora ho la mia bella racchetta in mano e corro sul balcone col terrore che lui sia rientrato. 

Invece lui è lì che guarda il cielo, come fa sempre, immobile e bellissimo. 

Comincio ad agitarmi, faccio dei salti alzando la mano con la racchetta e lui percepisce il movimento perché ora mi guarda di nuovo. Poi simula il gesto della battuta e per poco non distrugge il vaso di gerani che gli sta dietro, sul davanzale. 

Io rispondo con un colpo diretto e lui ricambia col suo rovescio ma non mi faccio sorprendere perché con un gran colpo gli rimando indietro la pallina invisibile. 

Lui scarta di lato e guarda dietro mettendosi le mani sulla testa. Poi mi punta l’indice e mi fa capire che il punto è mio. Posa la racchetta e mi applaude sorridendo. Io non so come reagire, di sicuro sono arrossita ma dal suo balcone non lo può vedere. 

Ci voleva una quarantena per farmi giocare a tennis tra balconi col ragazzo più bello della scuola, mi dico, mentre lui soffia un bacio dalla mano e mi saluta rientrando in casa. 

Le giornate sono lunghe e vuote ma da quando ci vediamo dal balcone, non è più così terribile. Non abbiamo la possibilità di parlare ma non serve, non tra i palazzi. Ora vibra il cellulare, è lui che mi chiede l’amicizia, finalmente ha trovato il coraggio. 

Vorrei che le cose non cambiassero mai, vorrei restare confinata a casa e aspettare tutti i giorni il nostro breve appuntamento sul balcone e magari la buonanotte via messaggio. 

Ho paura che quando tornerà tutto nella norma e le scuole riapriranno, lui smetterà di salutarmi e di sorridermi, sarà circondato dai suoi amici e dalle sciacquette e ricomincerà a non vedermi. 

Ed io non voglio che tutto torni come prima. 

Voglio che tutto sia diverso. 

E voglio continuare a giocare a tennis virtuale col ragazzo che vive nel palazzo di fronte al mio.