-Passami quella pallina
verde. No, non quella, quella è blu. L’altra, sì, quella verde.
-Non è presto per fare
l’albero?
Nella stanza vediamo
due uomini. Uno, sui quaranta, è accovacciato ai piedi di un abete sintetico
alto un metro e venti, di quelli economici, che si trovato nei supermercati. Si
affanna da dieci minuti a rendere meno spogli i rami, con discutibile successo.
-Non direi, domani è il
primo dicembre…
L’altro avrà un’ottantina
d’anni, se ne sta seduto su un divanetto con in mano due sacchetti di
decorazioni. Ha radi capelli bianchi che una volta devono essere stati chiari o
rossi. Non sembra essere avvezzo a quelle elaborate preparazioni.
-Quando ero giovane, si
usava fare il presepe, tutte statuette fatte a mano, di terracotta, qualcuna
tenuta insieme con la colla. Quando ero giovane, non si buttava niente…
-Quando eri giovane le
cose si riparavano, lo so, lo so.
-Poi si faceva il giro
delle case dei parenti ed era tutta una gara a chi aveva costruito il presepe
più bello e grande.
Il più giovane ha messo
quasi tutte le palline e ora fa un giro attorno all’albero per osservare il
risultato. Sembra soddisfatto. Fuori sta giungendo la sera.
-Di lato manca qualcosa,
mi passi due o tre palline rosse, per favore?
L’uomo anziano rovista
nel sacchetto, poi tira fuori tre palline e le porge all’altro.
-Ma queste sono viola,
possibile che tu non riconosca il colore rosso? Eppure ricordi tutti i colori
delle squadre di calcio…
-Fiorentina?
-Viola! Risponde con
orgoglio il vecchio.
-Cesena?
-Bianco e nero!
-Pistoiese?
-Arancione! Quasi lo
urla per affermare la propria preparazione calcistica.
Eppure le palline sono
viola, quasi fucsia, e non rosse come aveva chiesto, ma vanno bene lo stesso,
così il giovane le piazza sui rami mezzi spogli. Non importa come verrà
l’albero di Natale, quello che conta è che l’altro sia lì a farlo con lui.
-Dammi il cavo delle
lucine, per piacere. Ora te ne faccio una difficile: Milan?
L’uomo anziano ride e
le risate si trasformano presto in un accesso di tosse.
-Nemmeno ti rispondo!
Rosso e nero!
E’ un vecchio gioco,
che facevano tanti anni prima, fin quando il quarantenne era un ragazzino e suo
padre scambiava e confondeva i colori.
Ora che sono state
piazzate le lucine, il giovane raccoglie la spina che penzola da un’estremità
dell’albero, come una coda senza vita, e la infila nella presa di corrente. Il
risultato è qualcosa di piacevole, nella penombra della stanza. All’improvviso
si volta verso l’uomo anziano e gli chiede, serio:
-Perché sei qui?
-Volevo aiutarti a fare
l’albero di Natale. Risponde l’uomo sul divano.
-Ma se non lo hai mai
fatto, l’albero, e soprattutto non lo hai fatto con noi, era una cosa che non
ti apparteneva…
Potrebbe sembrare un rimprovero ma non lo è,
il giovane lo dice senza rancore, solo come un elemento di cronaca. Una cosa
che così è stata e non si può cambiare.
-Lo so, risponde il
vecchio, ma non per questo ora non mi fa piacere passare un po’ di tempo con
te!
Un po’ di tempo con me,
pensa il giovane e una fitta di nostalgia gli attraversa il corpo facendo un
male cane. Lo sa che di tempo assieme ne hanno passato molto e ci sono stati
momenti importanti, ben impressi nella sua memoria, anche se gli sarebbe
piaciuto averne molti di più.
-Certo che voi
aggiustavate tutto, non è così?
-Mica tutto, solo le
cose che si potevano riparare. Perché hai qualcosa di rotto?
-No, no, tranquillo. E’
tutto a posto.
Mica può dire all’uomo
anziano, che se ne sta seduto sul divano a guardare fuori dalla finestra, che è
il suo cuore quello a essere rotto ma che nessuno lo può riparare?
Il giovane sorride. E’
contento di avere avuto un po’ di quel tempo per parlare, per ricordare.
L’albero di Natale sembra finito ed è ora di accendere la luce perché fuori il
crepuscolo ha lasciato il posto alla sera. Si alza con le ginocchia che
scricchiolano. Accende la luce.
L’albero è carino,
piacerà ai bambini.
Osserva la stanza silenziosa,
il divano vuoto, stacca la spina dalla presa di corrente prima di uscire.
Con l’albero spento la
stanza sembra più triste.
Il giovane esce da casa,
pensando alle cose che una volta venivano riparate.
E mentre esce, sorride
di nuovo.
Perché è così che si
riparano le cose.