martedì 30 novembre 2021

Le cose che si riparano

 





-Passami quella pallina verde. No, non quella, quella è blu. L’altra, sì, quella verde.

-Non è presto per fare l’albero?

Nella stanza vediamo due uomini. Uno, sui quaranta, è accovacciato ai piedi di un abete sintetico alto un metro e venti, di quelli economici, che si trovato nei supermercati. Si affanna da dieci minuti a rendere meno spogli i rami, con discutibile successo.

-Non direi, domani è il primo dicembre…

L’altro avrà un’ottantina d’anni, se ne sta seduto su un divanetto con in mano due sacchetti di decorazioni. Ha radi capelli bianchi che una volta devono essere stati chiari o rossi. Non sembra essere avvezzo a quelle elaborate preparazioni.

-Quando ero giovane, si usava fare il presepe, tutte statuette fatte a mano, di terracotta, qualcuna tenuta insieme con la colla. Quando ero giovane, non si buttava niente…

-Quando eri giovane le cose si riparavano, lo so, lo so.

-Poi si faceva il giro delle case dei parenti ed era tutta una gara a chi aveva costruito il presepe più bello e grande.

Il più giovane ha messo quasi tutte le palline e ora fa un giro attorno all’albero per osservare il risultato. Sembra soddisfatto. Fuori sta giungendo la sera.

-Di lato manca qualcosa, mi passi due o tre palline rosse, per favore?

L’uomo anziano rovista nel sacchetto, poi tira fuori tre palline e le porge all’altro.

-Ma queste sono viola, possibile che tu non riconosca il colore rosso? Eppure ricordi tutti i colori delle squadre di calcio…

-Fiorentina?

-Viola! Risponde con orgoglio il vecchio.

-Cesena?

-Bianco e nero!

-Pistoiese?

-Arancione! Quasi lo urla per affermare la propria preparazione calcistica.

Eppure le palline sono viola, quasi fucsia, e non rosse come aveva chiesto, ma vanno bene lo stesso, così il giovane le piazza sui rami mezzi spogli. Non importa come verrà l’albero di Natale, quello che conta è che l’altro sia lì a farlo con lui.

-Dammi il cavo delle lucine, per piacere. Ora te ne faccio una difficile: Milan?

L’uomo anziano ride e le risate si trasformano presto in un accesso di tosse.

-Nemmeno ti rispondo! Rosso e nero!

E’ un vecchio gioco, che facevano tanti anni prima, fin quando il quarantenne era un ragazzino e suo padre scambiava e confondeva i colori.

Ora che sono state piazzate le lucine, il giovane raccoglie la spina che penzola da un’estremità dell’albero, come una coda senza vita, e la infila nella presa di corrente. Il risultato è qualcosa di piacevole, nella penombra della stanza. All’improvviso si volta verso l’uomo anziano e gli chiede, serio:

-Perché sei qui?

-Volevo aiutarti a fare l’albero di Natale. Risponde l’uomo sul divano.

-Ma se non lo hai mai fatto, l’albero, e soprattutto non lo hai fatto con noi, era una cosa che non ti apparteneva…

 Potrebbe sembrare un rimprovero ma non lo è, il giovane lo dice senza rancore, solo come un elemento di cronaca. Una cosa che così è stata e non si può cambiare.

-Lo so, risponde il vecchio, ma non per questo ora non mi fa piacere passare un po’ di tempo con te!

Un po’ di tempo con me, pensa il giovane e una fitta di nostalgia gli attraversa il corpo facendo un male cane. Lo sa che di tempo assieme ne hanno passato molto e ci sono stati momenti importanti, ben impressi nella sua memoria, anche se gli sarebbe piaciuto averne molti di più.

-Certo che voi aggiustavate tutto, non è così?

-Mica tutto, solo le cose che si potevano riparare. Perché hai qualcosa di rotto?

-No, no, tranquillo. E’ tutto a posto.

Mica può dire all’uomo anziano, che se ne sta seduto sul divano a guardare fuori dalla finestra, che è il suo cuore quello a essere rotto ma che nessuno lo può riparare?

Il giovane sorride. E’ contento di avere avuto un po’ di quel tempo per parlare, per ricordare. L’albero di Natale sembra finito ed è ora di accendere la luce perché fuori il crepuscolo ha lasciato il posto alla sera. Si alza con le ginocchia che scricchiolano. Accende la luce.

L’albero è carino, piacerà ai bambini.

Osserva la stanza silenziosa, il divano vuoto, stacca la spina dalla presa di corrente prima di uscire.

Con l’albero spento la stanza sembra più triste.

Il giovane esce da casa, pensando alle cose che una volta venivano riparate.

E mentre esce, sorride di nuovo.

Perché è così che si riparano le cose.





venerdì 19 novembre 2021

Le cose perdute

 






A volte Francesco pensa che le cose perdute non ci lascino per sempre.

Che facciano uno strano e contorto percorso, per poi rientrare nelle nostre vite.

Secondo lui anche gli oggetti hanno un’anima che si lega alla nostra e che le cose che per noi hanno un valore affettivo, sentano questo legame e in qualche maniera non possano tradirlo.

Francesco considera anche: lo credo che tutti mi prendono per lo “strano” della compagnia, con i pensieri che mi vengono in mente…

Ma questo, come molti altri concetti, scompare veloce.

E’ stato inevitabile, stamattina, pensare alle cose che si credono perdute e che ritornano.

Francesco adora girare tra la merce dei mercatini, frugare fra oggetti di dubbio gusto o dal presunto funzionamento, non prive di un certo fascino. Ama la musica e gli piace, ogni tanto, acquistare un trentatré giri in vinile, ed è questo che ha fatto oggi. Rock anni sessanta, roba buona, per intenditori, Bill Haley & the Comets, Buddy Holly, i Platters, Chuck Berry e i Beach Boys, Fats Domino, tutti nello stesso disco, imperdibile!  Francesco non vede l’ora di arrivare a casa e mettere il disco sul piatto, sperando che la puntina non salti troppe volte. Purtroppo i dischi usati hanno questo inconveniente e i primi due brani sono quasi inascoltabili, poi l’attenzione di Francesco è attratta da qualcosa che vede nella copertina del disco. Quello che subito è scambiato per un plico di fogli, magari contenenti i testi delle canzoni, si rivela essere un fascio di buste. Francesco è incredulo, gira la copertina e sul tavolo del salotto piovono cinque buste postali, con il francobollo della Repubblica Italiana da centocinquanta lire. Destinatario e mittente sono scritti a penna con una grafia sottile e regolare. A scrivere è una certa Catia di Savona e il destinatario, scritto in stampatello forse per evitare errori postali, è Gualtiero di Milano.

Francesco è incuriosito dal ritrovamento, le buste sono aperte, di certo lette da Gualtiero e conservate, chissà perché, dentro una copertina di un disco. Francesco si lancia sulla prima e tira fuori un foglio di carta sottile, pieno di fitte parole, intervallate da cuoricini. Senza dubbio sono lettere d’amore, provenienti da un tempo in cui, non esistendo cellulari e tantomeno chat su internet, si poteva comunicare solo in differita, aspettando magari per giorni e giorni la risposta dalla persona amata. Francesco ha un tremito dettato dall’imbarazzo, continuare e leggere quelle righe così intime lo disturba, avverte come un senso di pudore, non vorrebbe intromettersi nelle vite di due estranei, anche se sono passati quasi cinquant’anni. Il disco è stato pubblicato nel millenovecento settantatré e le lettere portano la data del settantacinque. La curiosità è troppo forte, Francesco si dice che quelle persone potrebbero anche essere morte e sepolte, in ogni caso lui non ha idea di chi possano essere, e ritiene di non poter arrecare loro alcun danno, così comincia a leggere la prima.

Sono effettivamente delle semplici dichiarazioni di amore, quasi puerili, di una ragazza che aspetta di rivedere il suo amato nei fine settimana. Parlano di buoni sentimenti, di mancanza, di lacrime di gioia e di regali e di treni che avvicinano. Chiedono quando potersi riabbracciare e di avere una foto per i momenti di solitudine. Francesco è commosso e ammira la delicatezza e la nitidezza dei sentimenti espressi dalla giovane donna, ma non sa cosa pensare di lui.

Gli piacerebbe poter credere che la storia d’amore tra i due si potesse essere conclusa bene, riconosce di essere un inguaribile romantico ma quale uomo perde le lettere d’amore della propria fidanzata?

Questo Gualtiero era solo un ragazzo distratto, tradito magari da un trasloco in cui si perde qualunque cosa? Oppure aveva nascosto le lettere nella copertina di un disco per celarle ai genitori? Forse aveva un padre dispotico che non accettava una ragazzina dalle umili origini per il proprio rampollo? Oppure, peggio ancora, Gualtiero le ha nascoste perché già fidanzato nella sua città, o addirittura sposato? Francesco, senza capire perché, comincia a detestare Gualtiero. Ma d’improvviso ha un sussulto e fantastica uno scenario più drammatico, forse quell’amore è stato troncato da un incidente oppure Gualtiero è stato falciato da una malattia giovanile, costringendo, dopo decenni, gli anziani genitori a sbarazzarsi dei dischi, regalandoli a qualche mercatino…

In tutti i casi quelle lettere meritavano un’attenzione maggiore, un maggior rispetto.

Ed è con rispetto che Francesco le vuole trattare.

A distanza di quasi mezzo secolo quelle lettere dense di sentimento vivo e reale, meritano di non essere dimenticate.

Francesco sa che oggi le possibilità per rintracciare una persona ci sono, viviamo un’epoca in cui i mezzi informatici e l’utilizzo delle piattaforme social lasciano ben poco spazio alla privacy.

L’unica remora, la questione che lo attanaglia è una, non vorrebbe mai fare del male a qualcuno e il pensiero che quelle lettere possano suscitare tristezza o dolore, lo frena.

Si propone di dormirci su, domani penserà a cosa fare.

Nel frattempo, deposita con cura le lettere riposte nelle proprie buste, in una scatola di metallo e mette la scatola sul ripiano dei ricordi.

Domani saprà cosa fare.

Se il destino lo vorrà, come tutte le cose che rientrano nelle nostre vite, anche quelle lettere, dopo tanti anni torneranno da chi le ha scritte.

O forse da chi le ha perdute.

Francesco si addormenta con un sorriso, pensando a quell’amore di tanti anni prima, in cui si è imbattuto, per caso, quel mattino.

E alle cose perdute, che non ci lasciano per sempre.

 

 




sabato 6 novembre 2021

Lo scemo del villaggio: Hemingway

 





Al bar del villaggio, anzi scusate, del paese, si sono seduti, nel corso degli anni, innumerevoli scemi.

Me compreso. Ma non siamo qui per parlare dei presenti.

L’altra domenica mi è capitato di fermarmi per un aperitivo, sapete come vanno quelle domeniche, verso le dodici, che non avete voglia di tornare a casa e il timido sole autunnale vi promette un po’ di tepore e v’invita a sedere ai tavolini in piazza. Decido di accettare l’invito e mi accomodo, quando dalle mie spalle arriva un saluto. Riconosco Hemingway dalla voce, accidenti, non mi ero accorto di lui ma ormai è troppo tardi.

-Gigio, tuona con voce tenorile, porta uno Spritz per il mio amico!

In realtà non siamo così amici, forse non ricorda neppure il mio nome ma quando c’è da accettare un giro al bar, non faccio troppo lo schizzinoso.

Mi siedo e aspetto Gigio il barista, che arriva con le solite pizzette stantie e col suo ghigno malefico di chi ti sta dicendo: Ti sei fatto beccare come un allocco, vero?

Afferro il calice senza dare soddisfazione a Gigio, trangugio il primo sorso, mormorando un laconico: Prosit.

Hemingway solleva il suo di calice, non credo per niente che sia il primo, e risponde con gli occhi. Poi si scola il liquido colorato in un unico lungo sorso, che nemmeno fossimo nel Sahara!

Lascio che beva, intanto saluto don Lurio, il nostro parroco ballerino, che passando ci benedice con un gesto elegante della mano, fa un volteggio e se ne va. Per poco non è investito da Forchetta, il diabolico ragazzino aggiusta tutto, che sfreccia ai settanta all’ora sul suo monopattino home-made, modificato… Hemingway tira fuori il taccuino e annota qualcosa. Sapete, oltre a bere tutto il giorno lui scrive, non nel senso che pubblica libri, scrive solo, di tutto, su qualunque supporto gli capiti. Negli anni settanta ha pubblicato un paio di poesie su una rivista del settore e da allora si atteggia a poeta maledetto. Per meglio calarsi nella parte si è annegato di whiskey doppio malto invecchiati sedici anni e altri liquori ameni come Calvados e Gin, Rum e Tequila.

Poi il suo medico gli ha imposto di produrre più versi e inghiottire meno distillati, pena una dieta perenne. Così Hemingway si limita a qualche Spritz la domenica e al tè freddo le altre sere…

Ma non gli manca mai un maglione dolcevita, che fa tanto artista, una matita da masticare e un blocco per appunti.

Che cosa scriva nessuno lo sa.

Forse un giorno si deciderà a pubblicare qualcosa e potremo leggere.

Fino ad allora lasciamogli fare il personaggio.

Qui da noi, lo scemo del villaggio può farlo anche un letterato…