venerdì 30 ottobre 2020

Il grande freddo










Siamo tutti seduti attorno a un lungo tavolo rettangolare. 

Sulla tovaglia bianca una distesa di briciole di pane disegna un percorso che, in diagonale, unisce i due vertici. I bicchieri, macchiati di vino, sono tutti vuoti. 

Dopo la crisi, i ristoranti faticano a lavorare e abbiamo avuto la sala tutta per noi. 

Siamo in sette. 

Negli anni le coppie non sono più le stesse, una si è dileguata inseguendo e trovando l’oblio da parte del gruppo. 

Una si è sfasciata e ricomposta, sostituendo un componente, la nostra affascinante amica, dopo il divorzio non ha certo sudato per attrarre un altro uomo. Qualcuna ha supposto che fosse già in panchina, pronto a sostituire il titolare; il commento più malizioso di un altra ha aggiunto che si fosse anche ampiamente riscaldato. 

Uno di noi è rimasto solo e non ha cercato più nessuna, rendendo dispari le nostre serate. 

Le cene si sono rarefatte. Molto. Nell’ultimo anno questa è solo la seconda volta che organizziamo. 

Anche le parole si sono rarefatte, come i capelli sulle tempie di qualcuno di noi e invece di moltiplicarsi come le rughe, sono diventate scarse. 

I discorsi, le domande che prima nascevano dalla curiosità, dall’interesse per le nostre reciproche vite, non sono più così fitti. 

Forse perchè sappiamo tutto l’uno dell’altro, conosciamo i particolari, vediamo le immagini postate sui cellulari, il nuovo gattino della nipotina, la nuova moto acquistata, le capitali visitate, le piste di sci, i tramonti al mare, non c’è istante della vita degli altri che non si sia già visto e commentato e quando alla fine siamo insieme, parlare sembra superfluo. 

Che peccato. 

Partono i soliti discorsi del post prandium, appesantiti dall’arrosto e dai carboidrati, confusi dal vino, cosa ne pensi del nuovo sindaco? tuo figlio ha poi finito il master? avete sentito che chiude il vecchio negozio di dischi? 

Domande fatte così, per cercare il suono di un'altra voce, per non ricadere nel silenzio, perché il silenzio dopo una cena tra amici è qualcosa d’insostenibile, come se fosse un funerale. 



Ancora più insopportabile è che qualcuno cominci a tirare fuori il cellulare. Si potrebbe passare per un gruppo di adolescenti, salvo il fatto che almeno durante la cena quei cosi non si sono visti. Ma hanno continuato a vibrare, trillare, mandare piccoli gong, suoni di nocche sulla porta, ronzii di mini scariche elettriche, dalle tasche e dalle borsette e ora ecco che i proprietari si affrettano a recuperare i messaggi persi. 

Poi l’amico, quello che è dispari e ha già bevuto molto, ordina un'altra bottiglia. 

I compagni sorridono e anche se sanno che il conto salirà, lo incoraggiano, brindiamo con te, gli dicono. 

E lui sostenuto, parte con la sua solita filippica. 

“Secondo voi, quelle persone che si vantano di essere atee e che assicurano che non c’è proprio niente dopo la morte e poi aspettano il nove ottobre per postare i commoventi auguri di buon compleanno a Lennon scrivendo: auguri John, dovunque tu sia… che problemi hanno?” 

Qualcuno sorride, le donne in genere non approvano costui che prima beve troppo e poi parte con i sermoni ma in fondo è un povero diavolo e poi è così solo. 

E lui continua. 

“E quelli che partecipano alle marce di protesta a favore dei commercianti e poi spaccano le vetrine degli esercizi commerciali? Oppure quelli che manifestano a favore dei più disagiati e poi bruciano le auto parcheggiate sulla strada da proprietari disagiati? Quelli che problemi hanno?” 

L’amico vicino è infastidito dallo sproloquio e gli versa il vino nel calice nella speranza che almeno, bevendo, questo taccia un momento. O che magari si strozzi. 

Ma ormai l’uomo è un fiume in piena che esce dall’argine e, dopo aver scolato il bicchiere prosegue. 

“E quei politici che si proclamano fortemente a favore della famiglia tradizionale e poi hanno alle spalle due divorzi e figli con tre partner diversi, quelli che problemi hanno? Me lo sapete spiegare? E quelli che ti chiedono di stringere l’amicizia su un social per leggere i tuoi tweet, ficcare il naso tra le tue foto, commentare i tuoi post, riempire la tua bacheca di cuoricini, cagnolini, gattini e pollici in alto e poi se t’incontrano in mezzo alla strada ti salutano a malapena, che problemi hanno…?” 

Su, su adesso, calmati, non vedi che sei tutto rosso, lo tranquillizza l’amico di fianco, guardando male gli altri, basta bere per stasera. Ora chiediamo il conto e ti accompagniamo noi a casa. 

Scusate, forse ho esagerato, volevo solo scaldare un poco la serata… gli amici si stanno già alzando, le donne indossano i cappotti e qualcuno è andato alla cassa a pagare il conto che poi divideranno. 

Il silenzio è tornato a calare sulla compagnia, come una coltre di fredda nebbia che ormai ha raffreddato i rapporti tra le persone, comprese quelle tra cui è sempre esistito un rapporto amicale. 

Saldati i conti è tutto uno stringere di mani, scambiare pacche sulle spalle e fare commenti galanti verso le signore. 

Prima che il freddo scenda e ammutolisca i presenti, qualcuno riesce a chiedere: allora? Quando ci ritroviamo, gente? 

Tutti sorridono solidali. Tutti concordano. 

Al più presto, amici. 

Al più presto. 








lunedì 26 ottobre 2020

Lo scemo del villaggio. Errori di valutazione

 








Come ho già detto in precedenza, da noi non esiste lo scemo del villaggio. 

Almeno, non ce n’è uno fisso. 

Abbiamo una certa flessibilità nel coprire il ruolo. 

E non lo facciamo a tempo indeterminato, perché non appena qualcuno sale sul podio per avere commesso un’idiozia, arriva qualcun altro a occupargli il posto per averne combinata una ancora più clamorosa. 

Come quando il maestro elementare Filippo Bauli, detto Pippo Baudo perché si presenta in classe in doppiopetto e cravatta e gli incontri genitori-insegnanti con lui sembrano delle presentazioni di Festival canori, portò la classe in gita sul monte Bianco, tutti infilati in spesse tute antigelo e attrezzati di ciaspole e slittini, peccato che fosse primavera e c’erano venticinque gradi. Gli slittini si ostinavano a non scivolare tra le margherite e i bambini tornarono sul bus sudati marci, puzzolenti e piangenti perché per fare un pupazzo di neve avevano trovato soltanto del letame. 

Come quando il ragionier Guido Pestalozzi, gran brava persona, astemio e integerrimo frequentatore di chiese, fu invitato dal vicino all’addio al celibato del figlio e fu fatto bere smodatamente. Il ragioniere che non reggeva nemmeno il vin brûlé, dovette trangugiare una sfilza di shottini di vodka, un paio di pinte di birra scura non fermentata, qualche whiskey singolo malto e alla fine tre o quattro giri di un Calvados pregiato delle colline atlantiche della Francia. Lui che aveva sempre detestato i tatuaggi era stato ingaggiato nella festa da un tatuatore pessimo, privo di scrupoli e di etica del lavoro, che aveva imparato l’arte durante un soggiorno coatto alle spese dello stato, e si era risvegliato con un appariscente e orribile disegno tribale sullo zigomo destro e una serie di scritte oscene dietro il collo che lo costrinsero a girare con la sciarpa anche in piena estate e con gli occhiali da sole pure di sera a costo di picchiare la fronte sui lampioni del vialetto di casa. 

Come quando la vedova Agnolotti Agnese, che millantava un passato da cantante lirica, era stata cacciata dal coro da don Lurio nel bel mezzo della funzione Pasquale, perché era stonata come una campana e i chierici si premevano le mani sulle orecchie e non smettevano di ridere e lei per vendicarsi la domenica successiva aveva versato la colla di pesce nelle acquasantiere e i fedeli erano rimasti con le mani appiccicate nello scambiare il segno di pace… 

Come quando il mio vicino, Antoniuzzi Baldo detto Braccobaldo, che non è cintura nera di simpatia ma si vanta di avere alte conoscenze d’informatica e di essere stato il primo nel paese a utilizzare il computer per fare acquisti on line, pensò di comprare del burro pregiato ma al posto di digitare quattro pezzi aggiunse, chissà perché, quattro zeri e si ritrovò quattromila mattoncini di burro di montagna che dapprima provò a rimandare in dietro e poi vendette a metà prezzo improvvisando un banchetto davanti casa. Che io sappia sta ancora facendo la cura per il colesterolo alto. 



Errori di valutazione. 

Può succedere a tutti, chi non sbaglia mai? 

E poi, come ho detto, fare lo scemo del villaggio è una vocazione ma siamo in tanti ad averla… 



Pippo Baudo, scusate, volevo dire il maestro Bauli, intimoriva i bambini col suo doppiopetto e così fu promosso preside e fu chiuso in un ufficio, dove non poteva fare grossi danni. 

Il Pestalozzi smise di fare il ragioniere e aprì un bar in una periferia urbana, una zona disastrata e degradata, dove fu molto apprezzato e rispettato per i suoi tatuaggi e la sua recente competenza in fatto di alcolici. 

La vedova Agnolotti si fece perdonare da don Lurio e come penitenza usò la colla di pesce rimasta per preparare dodici buonissime cheesecake (fatte anche col burro comprato a metà prezzo) per il goloso sacerdote. A ogni buon conto, per preservare le orecchie dei fedeli, non fu reintegrata nel coro. 

Braccobaldo vendette un migliaio di confezioni di burro, le altre dovette mangiarle oppure regalarle alle associazioni benefiche, ai ristoratori della valle e al vicinato. Si fece molti amici e fonti sicure affermano che ora è diventato vegano e mangia solo insalata scondita. 



Tutti facciamo errori e commettiamo stranezze. 

Siamo sbadati oppure adottiamo comportamenti bizzarri. 

Si fa presto a puntare il dito ma attenti, domani potrebbe capitare a voi. 

In questo periodo non abbiamo nessuno sul podio. 

Non abbiate timore, fatevi avanti… 






domenica 18 ottobre 2020

luoghi insoliti: Facciamola semplice

luoghi insoliti: Facciamola semplice:   -Buon giorno. Vorrei una pianta da regalare ad amici. -Che tipo di pianta? Che tipo di amici? -Non saprei, una con tante foglie. Bella...

Facciamola semplice

 






-Buon giorno. Vorrei una pianta da regalare ad amici.

-Che tipo di pianta? Che tipo di amici?

-Non saprei, una con tante foglie. Bella da guardare… ma poi che c’entrano gli amici?

-Un sempreverde? Una pianta da appartamento? Che faccia fiori? Per laureati? Gente di cultura? Professori di economia? Ingegneri informatici? Bidelli?

Non so cosa rispondere. Se volevo un vegetale da mangiare, sarei andato dal verduriere, vorrei solo una pianta da portare in regalo. Propendo per una risposta diplomatica.

-Mi consigli lei…

Il fioraio è professionale, forse troppo.

-Non è così semplice… Vede, la pianta da regalare va abbinata alla personalità di chi la riceve. Se la pianta è inserita in un ambiente a lei sgradevole o ostile mi patisce e muore… Abbiamo qui una bellissima Paetulantis Complex che deve vivere in case poco rumorose e piuttosto ordinate, alla temperatura costante di ventidue gradi e mezzo, può ricevere acqua demineralizzata solo nelle giornate secche, a tal proposito vendiamo un barometro portatile da legare al tronco, nella misura di quattro gocce l’ora, non si preoccupi al costo della pianta è compreso un comodo contagocce… ma abbiamo anche questo bellissimo esemplare di Nobilae Praesuntuosis che va lucidata minuziosamente, spruzzata con acqua Perrier e le si può rivolgere la parola dandole del lei.

Sono dubbioso.

Il venditore percepisce i miei dubbi e insiste.

-Abbiamo una splendida Personalitae Multiplex, dalle foglie di sedici gradazioni di verde, ha solo bisogno di un’ora di musica classica al giorno per affrontare i cambiamenti d’umore, meglio se suonata con vinile, una fialetta di potassio ogni tre settimane e un cucchiaino di humus mattino e sera. Nei sottovasi c’è anche un comodo libretto d’istruzioni impermeabile…

-Altrimenti?

Il commesso sembra spazientito ma il tono rimane glaciale.

-Altrimenti sullo scaffale ho ancora un esemplare di Demagogis Populae. Deve ricevere la luce di tutte le finestre della casa e va spostata almeno ogni due ore seguendo le direzioni sud-nord e ovest-est, inoltre oltre al nutriente liofilizzato ha bisogno di ascoltare la voce umana che le sussurri morbide parole di apprezzamento perché mantenga la lucidità delle foglie. Saltuariamente ascolta anche il telegiornale ma solo di alcune emittenti selezionate.

-Sono indeciso. Faccio io.

-Lei ha detto che la pianta deve essere scelta in base alle persone che la ricevono e questi esemplari mi sembrano un tantino complicati…

Il commesso non nasconde un’espressione irata.

-Certo che se non voleva una pianta poteva dirlo, nella strada a pochi metri c’è una gelateria, può sempre comprare un chilo di pistacchio e cioccolato e fa la sua bella figura…

-Ma no, non si arrabbi, è che la pianta mi sembrava un’idea carina, e poi i miei amici sono gente semplice.

Comincio a sentirmi a disagio e con amici inadeguati…

Il commesso con voce sprezzante m’indica un vasetto con una pianta grassa un po’ ingiallita.

-Lì è rimasto un Cactus Adiposus Qualunquis. Mezzo bicchiere d’acqua di rubinetto al mese e se lo dimentica. Ha superato test di congelamento mettendolo in freezer accanto al limoncello per mezz’ora e subito dopo in forno a 220° per trenta minuti. Le patate si sono bruciate, il cactus è sopravvissuto. Se le va bene è l’ultima pianta che le consiglio…

Ci penso su, poi decido che i miei amici meritano di meglio.

-Senta, non si offenda, la ringrazio ma penso che andrò a comprare il gelato…

Mi volto e sto già per uscire ma sulla porta mi fermo e rientro.

-Ci ho ripensato. Compro il cactus. Ma non metta fiocchi, è per me!

 

Mi sembra un bel tipo, piuttosto resiliente.

A casa mia farà un figurone!

E si troverà bene accanto al limoncello ghiacciato e alle patate bruciacchiate…

 






sabato 10 ottobre 2020

luoghi insoliti: Le cose da fare

luoghi insoliti: Le cose da fare:   Le cose da fare sono tante. Ci sono liste infinite, compilate con tutte le buone intenzioni. Armadi da sistemare, cantine da vuotare, ...

Le cose da fare

 






Le cose da fare sono tante.

Ci sono liste infinite, compilate con tutte le buone intenzioni.

Armadi da sistemare, cantine da vuotare, diete da cominciare, memorie da riordinare.

Ma ancora tante sono le cose da fare.

Poesie da comporre, capolavori da leggere, materie da studiare.

Ci sono paesi da visitare, ricette da cucinare, persone da chiamare.

Abbiamo la spesa da comprare e la dispensa da riempire.

Abbiamo farina da impastare e sughi da assaggiare.

Vini da degustare e dolci da assaporare.

Regali da scartare e gentilezze da ricambiare.

Ci sono percorsi da sudare e montagne da scalare.

Monumenti da fotografare e sermoni da ascoltare.

Abbiamo passi da camminare e stelle da contare.

Laghi per veleggiare e musei da visitare.

Spiagge su cui dormire e fiori da regalare.

Ci sono film da guardare e palloni da calciare.

Gatti da carezzare e cani con cui giocare.

Parole da pronunciare e abbracci da incatenare.

Sguardi da reggere e promesse da mantenere.

Abbiamo prove da superare e fatiche da sopportare.

Abbiamo teatri in cui recitare e balletti da vorticare.

Ci sono percosse da penare e ferite per cui soffrire.

Abbiamo gioie per cui brindare e ricorrenze da celebrare.

Abbiamo compleanni da festeggiare e sbagli da depennare.

Vittorie per cui cantare e intoppi da aggirare.

Ci sono rospi da ingoiare e applausi che fanno gioire.

Goal per cui esultare e rigori che fanno imprecare.

Attori da ammirare e belve feroci da cui scappare.

Abbiamo nodi da sciogliere e amori da legare.

Buio da temere e mani da cercare.

 

Tante sono le cose da fare.

E abbiamo altrettante scuse per non fare.

 

Armadi e cantine da ignorare.

Diete da rimandare.

Cibi che non cucineremo e vini che non berremo.

Passi che non percorreremo e posti in cui non andremo.

Parole che non diremo e sguardi che non reggeremo.

Persone che dimenticheremo e telefonate che non faremo.

Torti che non perdoneremo.

Compleanni che scorderemo e sbagli che rifaremo.

Promesse che non manterremo e frasi che smentiremo.

 

Tante le cose da fare oppure da non fare.

Tante le cose da segnare.

E noi pronti, a ogni cambio di vento, con la lista da aggiornare .

 

 

 






martedì 6 ottobre 2020

luoghi insoliti: Lo scemo del villaggio. Altri personaggi

luoghi insoliti: Lo scemo del villaggio. Altri personaggi:   Sono in coda alle poste.  Capita che arrivi nella buca delle lettere che so, una bolletta, una multa, qualcosa del genere che mi costringa...

Lo scemo del villaggio. Altri personaggi

 








Sono in coda alle poste. 

Capita che arrivi nella buca delle lettere che so, una bolletta, una multa, qualcosa del genere che mi costringa a uscire da casa per venire qua davanti. 

Ore sottratte allo Spritz con gli amici al bar. 

Certo, qualche persona perbene dirà che in posta ci si va al mattino ma anche all’ora di pranzo, aggiungo io, e poi è sempre tempo per un aperitivo. 

In coda, davanti a me, c’è tutta una fauna variopinta e variegata. Pagherei il biglietto per stare qua a guardarli. 

Mortadella, per esempio, questo bestione davanti a me, per carità non chiamatelo così perché si offende, esce dalla macelleria e vi rincorre in canottiera brandendo una mannaia insanguinata come nei peggiori film splatter. Per la verità lui vive in canottiera, la indossa tutti i giorni e tutte le stagioni, qualcuno insinua che sia sempre la stessa a causa dell’odore rancido, altri sostengono che il fetore provenga dai congelatori dove conserva la carne. E’ un pessimo macellaio, tratta male tutti ma è l’unico nel paese e pesa centotrenta chili. Quindi evviva Mortadella e viva pure la sua canottiera. 

In questo momento sta parlando con don Lurio, il parroco, pure lui in coda, lo sento chiedere qualcosa, il sacerdote vorrebbe organizzare una festa dell’oratorio con mega grigliata e, ovviamente, serata danzante, e cerca di trattare sul prezzo di salsicciotti e luganega e di strappare uno sconto ecclesiastico ma Mortadella ha già subodorato puzza di fregatura e si prepara ad affilare coltelli metaforici. 

D’improvviso si sente il rombo di un trattore cingolato molto pesante oppure di un Panzer tedesco, residuato del millenovecentoquaranta, mi volto e scopro che si tratta solo di un vecchio Garelli mono marcia degli anni settanta con la marmitta bucata e con due ragazzi magrolini stretti sul sellino. Uno dei due è Forchetta. Affiancano la donna prima della fila, si potrebbe pensare a uno scippo ma la donna è la mamma di Forchetta, ancora più magra del figlio. Una volta che una perturbazione, durata una settimana, aveva portato giornate ventose sul paese, Forchetta le aveva riempito le tasche del cappotto di pietre e l’aveva obbligata a indossarlo, anche se c’erano quasi trenta gradi. Il ragazzo parlotta con la madre, la donna prende qualche banconota, gliela allunga e tenta di dare un bacio sulla guancia del ragazzino ma i due sul motorino sono già spariti in una nuvola di scarico più puzzolente della canottiera di Mortadella e più rumorosa di un’Augusta dell’esercito in fase di decollo. 

Dietro la mamma di Forchetta aspetta il suo turno Wilma. Don Lurio l’ha già squadrata con occhio inquisitore e lascivo. Non si capisce se stia pensando a un’assoluzione o ad altre cose più impure. La Wilma indossa una gonna in finta pelle, di moda una generazione fa, una camicia a fiori tre taglie troppo piccola da cui cercano di evadere disperate due mammelle di dimensioni colossali tenute a bada da un reggiseno sportivo probabilmente fatto con la gomma di uno pneumatico. Wilma misura un metro e sessanta ma i tacchi la fanno svettare in altezza su tutti, prima di indossare quelle scarpe deve chiedere il permesso all’aeroporto della Provincia. Sebbene sia in pensione, così si dice, non ha mai rinnegato il suo passato da escort di cui è fiera e che le ha lasciato una discreta rendita. Di fatto, nonostante l’età, fa ancora girare il collo dolorante e artritico di tanti vecchietti e infuriare le mogli del paese come se fosse ancora in servizio attivo. 

Mi accorgo che il tempo passa perché dal campanile in piazza arriva il rintocco delle dodici mentre dentro le poste si deve essere formata una bolla temporale che ha fermato il tempo, tra ventimila anni l’umanità qua fuori potrebbe essere estinta mentre dietro lo sportello l’impiegata sta ancora finendo di inserire i dati di una bolletta del telefono degli anni venti… 

Vedo passare il medico condotto. Don Lurio alza un momento gli occhi dal didietro della Wilma per salutare, buon giorno dottor Di Somma. 

Il dottore risponde con un gesto della mano. Nell’altra tiene la borsa, sempre la stessa da un quarto di secolo. E’ un bravo medico, appassionato, fin troppo. Entra talmente tanto in empatia con i suoi assistiti che ne assume anche le caratteristiche e i sintomi. Quando c’è stata l’epidemia di varicella a scuola ha girato con i puntini fino a estate inoltrata. Quando visita qualcuno con nausea e inappetenza, perde peso mentre se va a vedere i diabetici gli sale la glicemia. Lui lo sa e organizza le visite in modo tale da ottenere l’equilibrio. Pensate che il dottor Di Somma si chiama Tiziano e la gente alle sue spalle lo chiama Dottor Di Somatizziamo. 

In lontananza si sentono gli schioppi della marmitta del Garelli di Forchetta mentre la sua mamma si aggiusta i capelli sulla fronte ossuta. 

Wilma fa un sospiro e per poco non le saltano due bottoni. 

Don Lurio si volta e cerca la redenzione tirando fuori un rosario dalla tasca. 

Mortadella si scaccola e si pulisce le dita sulla canottiera facendomi prendere in seria considerazione il vegetarianismo. 

Il dottore è scomparso, in cammino verso la sua prossima patologia. 



La fila fa un passo in avanti, la bolla temporale deve essere scoppiata oppure hanno aperto un’altra cassa, forse non si farà così tardi, e se non si ritarda del tempo ne rimane. 

A quest’ora c’è sempre qualcuno al bar. 

Ed è sempre tempo di uno Spritz, giusto?