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Schröder cammina con
passo pesante e deciso. Non ha paura d’inciampare nonostante i suoi settanta
anni. Non ha paura di scivolare, nonostante la neve copra il marciapiede
sudicio.
Schröder ha solo un
pensiero che lo angustia.
È dicembre.
Un bambino lo osserva
dall’altra parte della strada e tira con la manina, la manica di sua madre. Lei
non lo degna di attenzione, mentre continua a starnazzare al cellulare. La
vetrina alle spalle dei due è piena d’inutile ciarpame. Paccottiglia dorata e
luccicante, che sarà scartata da persone annoiate e andrà presto a prendere
polvere sui ripiani delle cantine.
Schröder procede senza
curarsi della gente che deve evitarlo per non esserne urtata, di quelli che si
girano a guardarlo storto, degli insulti che ogni tanto giungono alle sue
orecchie. Perché dovrebbe curarsene, in fondo sono sconosciuti e a lui non importa
neanche dei parenti.
Oggi se ne sarebbe
stato al caldo della sua stanza, sulla poltrona dalla stoffa lisa e puzzolente
di antichi peti, a leggersi il giornale ma purtroppo è dicembre. Non che se ne
sia scordato, lo sa già da un pezzo ma ormai siamo a metà del mese e non può
più far finta di niente.
Per questo lo vediamo
camminare col suo modo risoluto di fare le cose, tipico del vecchio acido qual
è, a camminare, quasi a correre, sul marciapiede innevato di fresco.
La voce di suo figlio
gli risuona ancora nella testa. “Lo sai che ci teniamo ad averti a casa, il
giorno di Natale, anche Roberta, sicuro. Non è importante che porti un regalo,
già la tua presenza lo sarà”.
Si ferma di botto! Per
poco non si accorgeva del semaforo rosso e stava per attraversare l’incrocio,
immerso nei suoi pensieri.
Certo, sarebbe stato un
vero colpo di fortuna, pensa Schröder, farmi investire, battere la testa ed
entrare in coma. Dormire per tutto il periodo delle feste e svegliarmi in pieno
anno nuovo. Magari in primavera. Gli scappa mezza risata ad alta voce e una
ragazzina lo guarda come si guardano i mentecatti.
Schröder si sta
dirigendo al centro commerciale. Altro luogo che odia con tutte le sue forze.
La sola cosa positiva è che le commesse sono troppo impegnate a passare i
prodotti sul nastro e non si prendono la briga di guardare negli occhi i
clienti. E poi basta una telefonata e gli consegnano la spesa a casa.
Schröder non ha tempo
da perdere con l’internet o come diavolo si chiama quella roba li.
Così anche quest’anno
gli toccherà di passare il pranzo di Natale con quell’inetto di suo figlio e
quella sciacquetta della moglie, Roberta. Bella coppia. Li ha visti nemmeno
tanto tempo prima, sarà stato fine settembre o ottobre. Ha dovuto firmare dei
documenti della banca e Giacomo l’ha voluto accompagnare a tutti i costi.
È stato un pomeriggio impegnativo.
Un taxi gli sarebbe costato di più ma sarebbe stato più piacevole. Giacomo era
andato a prenderlo e gli aveva fatto la sorpresa della presenza di Roberta, quell’acciuga
ossuta. Tutto il tempo aveva dovuto rintuzzare continui inviti a essere più
presente nelle loro vite, a partecipare a qualche domenica gioiosa in famiglia,
magari a giocare a carte.
A Schröder il gioco
delle carte faceva schifo.
Ma più ancora, gli dava
il voltastomaco passare un giorno con quei due e il padre di lei, Antonio, che
non vedeva l’ora di fare l’amicone e di dargli sui nervi col suo sgradevole alito
e le sue odiose pacche sulla schiena.
Che fosse Natale o
meno.
Sentiva il duro del
portadocumenti nella tasca interna del cappotto. Il libretto degli assegni
avrebbe parlato per lui. Già si vedeva trattare con il confuso commesso, che
non avrebbe capito il suo gioco al rialzo.
“Non avete qualcosa di
più costoso?” il garzone avrebbe sgranato gli occhi e questo lo avrebbe fatto
somigliare a una triglia. “Vorrei un articolo più ricercato, se non ne avete,
andrò da un'altra parte”!
Nessuno si era mai
fatto sfuggire un cliente come lui, anche se si ostinava a impiegare quell’antiquato
sistema di pagamento.
L’anno prima era venuto
a sapere che l’amicone del consuocero aveva acquistato come regalo di Natale
per i ragazzi, un frullatore. Schröder aveva riso per un’ora, poi si era
organizzato e aveva scelto, nel negozio più caro della città, una specie di
mostro, un robot che cuoceva, impastava, friggeva, sminuzzava, omogeneizzava,
pastorizzava, surgelava ogni tipo di alimento. Lo avevano solo alcuni
ristoranti stellati e pochi chef lo sapevano usare. Certo era costato la sua
cifretta ma il Natale era un gioco al massacro e Antonio avrebbe capito che non
ci si mette contro Schröder, mai, nemmeno a Natale!
Quest’anno l’amicone si
era impegnato e la sua scelta era caduta su un computer portatile, utile sul
lavoro e in casa, Di certo aveva salassato il suo conto. Antonio aveva un
difetto oltre all’alito orribile, amava chiacchierare e Schröder si era fatto
confidare la notizia.
Non sapeva ancora cosa
avrebbe acquistato in uno dei lussuosi negozi del centro commerciale ma di
sicuro il suo regalo avrebbe fatto presto dimenticare l’utilità di un banale
laptop.
Attraversò il
parcheggio e nell’entrare non si accorse che aveva calpestato qualcosa. Un
pezzo di cartone si era appiccicato alla suola bagnata.
Una debole voce
protestava e lamentava la proprietà del cartone.
Schröder lo staccò
dalla scarpa. Vi lesse una scritta.
A ME BASTA UNA MONETINA. PER TE LA PREGHIERA
PER UN NATALE SANTO.
Schröder guardò alle
sue spalle.
Un omino segaligno quanto
lui ma sporco e puzzolente, reclamava il suo messaggio sul cartone. Schröder si
chiese come quell’essere avesse la supponenza, il coraggio di poter pregare per
qualcuno.
Represse una smorfia di
disgusto per l’odore di urina che proveniva dall’uomo e diede un calcio al
cartone, poi un altro, fino a farlo finire in una grata del parcheggio
sotterraneo.
Il barbone si girò con
il capo chino e se ne tornò al suo posto, sugli stracci.
Aveva capito, pensò Schröder,
che non era il caso di mettersi contro di lui.
Che fosse Natale o
meno.