martedì 30 aprile 2019

la donna del destino











Il bambino si ritrae spaventato.

L’anziana donna non capisce, aveva sollevato la mano a mezz’aria, per carezzarlo dolcemente sulla testa.

Dopo un momento l’espressione del bimbo si rilassa e lei sa che può offrire la carezza.



Il piccolo ha sei anni, è un ometto, va a scuola accompagnato dal padre.

Il padre del bimbo è un omone, scorbutico e litigioso. Tutte le mattine cammina con la minuscola mano del figlio che scompare nella sua. Ha lo sguardo torvo e minaccioso di chi è pronto a fare la guerra col mondo.

Un giorno, una mamma alla guida, distratta dal telefono, ha frenato con violenza per evitare i pedoni che attraversavano all’incrocio e lui, con un pugno, ha ammaccato il cofano dell’auto come fosse stato di stagnola. Tanta palestra avrà pure il suo peso nelle questioni stradali, no?

Col bimbo non ci parla molto, non ha tempo, preso com’è nelle discussioni e nei litigi con gli automobilisti.

Lasciato suo figlio a scuola, torna a prendere l’auto e passa dall’altra parte della barricata a insultare i pedoni…

La mamma del bimbo è sempre indaffarata.

La spesa, le amiche, il pomeriggio televisivo sempre pieno di cose interessanti e bella gente… Poi prepara merende, pranzi e cene, la sera si sente uno straccio. Certo che si occupa di suo figlio, che domande, lo va a prendere a scuola, lo porta al parco, ogni tre giorni lo accompagna in piscina, dove tra l’altro c’è un bagnino da paura, con due spalle così… altro che suo marito, che non fa che mangiare, fumare e lamentarsi.

Insomma, il piccolo ha una famiglia regolare, mica di quelle che vanno di moda oggi, che non si capisce chi è la mamma e chi il papà… è un bimbo normale, sano, ha fatto anche le vaccinazioni, che la scuola ha preteso, perché i genitori non erano tanto convinti.

Certo, ogni tanto si litiga, come in tutte le famiglie normali, a volte si alza la voce, anzi spesso ultimamente ma la sera, sul tardi, quando il piccolo è a letto nella sua cameretta.

Il bimbo fa sempre più fatica ad addormentarsi. Gli concedono di giocare col telefonino di papà, e lui è contento, la sera, di passare due ore con tutti i giochini che ci sono nel cellulare, almeno non deve guardare i film che piacciono al papà dove c’è gente che uccide altra gente infilando coltelli nelle pance, sparando proiettili nelle teste, facendo uscire tutto quel sangue. Sì, i genitori gli hanno spiegato che si tratta di sangue finto e che può vederlo perché non c’è pericolo, ma a lui continua a sembrare tutto così vero. 
Sua mamma invece sta sul divano a chattare con le sue amiche. Ogni tanto ride da sola.

E poi è difficile addormentarsi se nell’altra stanza le voci sono forti e cattive e dicono tutte quelle parole che a lui è vietato dire.

Insomma, a volte a scuola gli viene da piangere, una volta gli è scappata la pipì ed è tornato a casa con un quaderno a nascondere il davanti dei pantaloni, temendo una punizione ma la mamma non si è nemmeno accorta…

A parte questo, le cose vanno bene ma è difficile capire, quando un adulto alza una mano verso la tua faccia, che non vuole farti del male…



La donna è una vicina di casa, pensionata, che cura le piante e le rose del giardino.

Il bimbo è sceso a giocare col suo camion di plastica e si è avvicinato a guardare.

Lei osserva un attimo l’espressione seria e un po’ malinconica del piccolo, allora con le forbici recide una rosa, la porge al bimbo e gli dice con voce calma:

-porta questa rosa alla mamma.

Il bambino sgrana gli occhi, capisce che non deve pagare il fiore ma maggiormente è colpito dalla voce serena e gentile della signora.

Per la prima volta, dopo tanto, il bimbo si apre in un sorriso.

Poi corre su, felice, dimenticando il giocattolo in cortile.

Ora sa che i gesti buoni non costano nulla e non ci si stanca a farli e sa anche perché i genitori sono sempre così stanchi e nervosi.

Ora può dirlo.



L’anziana torna alle sue rose, senza sapere che in quel momento un destino è cambiato per sempre.














lunedì 22 aprile 2019

La sedia pieghevole










-Buon giorno.

-Buon giorno, ragazzi.

L’uomo sale con fatica le scale. Avrà una settantina d’anni ma ne dimostra mille.

Una faccia piena di rughe e radi capelli, bianchissimi, sparati in tutte le direzioni. Arranca a fatica, sbuffa e fa smorfie di dolore, o stanchezza.

I due ragazzini scappano in salita come due lepri, divorandosi i tre piani con la voracità della preadolescenza. L’uomo, quando i ragazzini si chiudono la porta alle spalle, è ancora alla prima rampa.

I due giovanissimi sghignazzano e si danno di gomito. Complici nel gioco e nei puerili segreti.

Il padre di uno dei due, esce dal bagno e chiede loro:

-Cosa avete da ridere?

-Abbiamo appena incontrato il vecchio… il pazzo che abita qui di fronte.

L’uomo diventa serio e aggrotta le sopracciglia.

-Non dovete chiamarlo così.

-Scusi. Non ci sembrava una cosa brutta…

Si affretta a scusarsi l’amico, mentre suo figlio s’irrigidisce quasi a difendere la sua posizione.

-Perché, papà? Ne abbiamo parlato e non mi sembra la persona più sana di mente del condominio, forse dell’intera città.

L’uomo tace. Sa che ciò che argomenta il ragazzo corrisponde al vero ma suo figlio non sa tutto. Pensa che sia arrivato il momento di parlargliene.

-Non dovete chiamarlo pazzo né trattarlo in modo irrispettoso. Solo cercare di capire… sedete sul divano, vorrei raccontarvi una storia.

I due ragazzi obbediscono, sperando che si tratti di un racconto dell’orrore di cui sono grandi fanatici.



-Sapete cosa fa l’uomo tutte le sere, vero?

I due giovanotti ridacchiano perché lo sanno ma la loro risata nasconde un velo d’ansia.

-Tutte le sere, verso mezzanotte, esce sul pianerottolo con una sedia pieghevole di legno, la apre davanti alla porta, si poggia un giornale sulle gambe e, invece di andarsene a letto, se ne lì seduto e in silenzio, a vegliare per ore.

Poi verso le quattro e mezzo, si alza, piega la sua sedia e rientra.

-E non ti sembra un comportamento da pazzi? Lo interrompe suo figlio.

-Non m’interrompere.

L’uomo non è arrabbiato ma il suo tono non ammette repliche. Ottenuto silenzio e attenzione, prosegue.

-Noi abitiamo qui da quasi dieci anni, giusto? E durante i primi anni non ho quasi mai mancato di controllare dallo spioncino, ogni volta che sentivo il rumore della serratura del vicino. I primi tempi era spaventoso e inquietante, quel comportamento. Abbiamo avuto delle spiegazioni, dopotutto quell’uomo non ha mai disturbato nessuno, e alla lunga tutti ci siamo abituati, abbiamo assecondato quell’assurda abitudine. Se uno ha deciso di passare le notti davanti alla porta di casa, che facesse pure…

-Ma, papà…

Questa volta è sufficiente un’occhiata e il ragazzo ammutolisce.



-Tutto iniziò quattro o cinque anni prima che noi traslocassimo. Il nostro vicino aveva un figlio e avendo perso la moglie anni prima, quel figlio era tutto il suo mondo. A questo giovane piaceva uscire la sera e fare tardi, molto tardi, per andare a ballare. Una sera d’autunno, uscì che era quasi mezzanotte e suo padre che aveva tentato in tutti i modi di fargli cambiare idea, decise che per punirlo, avrebbe passato la notte fuori di casa ad aspettare così da farlo imbarazzare dal senso di colpa, al suo rientro.

Successe che prima delle cinque, si era appisolato con la schiena appoggiata alla porta, fu svegliato dal telefono che lo costrinse a rientrare nell’appartamento. Il figlio e tre amici, erano stati coinvolti in un grave incidente ed erano stati trasportati in ospedale. Troppo tardi.

L’uomo ha subito un grave trauma, è stato anche in clinica per lunghi mesi. Quando è tornato a casa, sembrava il fantasma di quello che era stato prima. Antidepressivi e tranquillanti lo avevano trasformato in uno zombie.

Passato un anno, la sera dell’anniversario di quell’orribile notte, cominciò a sedere fuori dalla porta come ad aspettare qualcuno che non sarebbe tornato. Così fa ancora e tutte le mattine, all’ora della telefonata, se ne rientra in silenzio. Così da anni. Poveraccio, fa una gran pena. Ma per il resto è una persona buona, gentile e discreta. Un vicino che molti vorrebbero.



I due ragazzini avevano smesso di ridere. Il racconto li aveva rapiti. Non riuscivano a muoversi dal divano, non avevano nemmeno più voglia di giocare.



-E’ tardi, io devo andare a casa.

-Ok, ciao. Ci vediamo domani, meno male che è domenica, niente scuola!

L’uomo saluta l’amico del figlio, poi aiuta sua moglie a preparare la cena.

Dopo cena suo figlio è strano, taciturno. Non rompe le scatole per vedere i cartoni, una serie di anime giapponesi che loro detestano.

Guarda distratto un film con loro, cosa insolita e quando sono le undici non fa storie per lavarsi i denti.

Poi si corica sul letto ma tiene i pantaloni.

Suo padre lo controlla, stupito.

Quando sono le 23,45, il ragazzino si alza, va da suo padre in camera e chiede: 
-Posso andare?

L’uomo lo osserva con profonda tenerezza e gli fa cenno di si con la testa.



Il ragazzino, che sta crescendo, prende una sedia pieghevole da campeggio, esce sul pianerottolo. Il vicino si è appena seduto.



-Posso stare qui?

Il vecchio gli rivolge uno sguardo interrogativo. Poi torna a guardare davanti, verso le scale.

-Certo.

Al ragazzino scende una lacrima. Il vecchio la vede e l’effetto è mille volte più curativo di tutte le terapie che abbia mai preso.

Stanno in silenzio per quasi mezz’ora. Poi il vecchio parla.

-Non posso farti stare alzato tutta la notte. Mi sa che è meglio che rientriamo, tutti e due. Vai a dormire, i tuoi staranno in pensiero.

-E lei?

-Credo, sì, credo che rientrerò. Magari starò sul divano. E domani uscirò e magari ti offrirò la colazione, che ne dici?

Il ragazzo si asciuga il viso, sussurra una buonanotte assonnata e rientra.

Il vecchio fa altrettanto.







sabato 20 aprile 2019

bottoni colorati












Una bella mattina di sole, di quelle che ben annunciano il tepore della primavera appena iniziata, la maestra porta in classe un grosso barattolo, avvolto in una stoffa colorata.

I bambini, ai quali nulla sfugge, sono subito incuriositi dallo strano contenitore.

Per le prime ore seguono vagamente la lezione, ma gli sguardi di tutti si posano furtivi sul barattolo.

Finalmente la maestra si decide a interrompere la lezione. Prende il barattolone, si appoggia alla scrivania e sorride ai bambini.

“Vi ho portato una cosa”

I bambini ridono, felici. Qualcuno batte le mani, Nino, non visto, si mette un dito nel naso.

“Venite attorno alla cattedra, da bravi. In ordine e senza fate troppa confusione.”

I bambini eseguono, impazienti.

La maestra svita il tappo del barattolo e rovescia sul tavolo una miriade di bottoni di tutte le forme, dimensioni e colori.

“Ooooohhhhhh” mormorano in coro i bambini.

“Adesso, senza litigare, osservate i bottoni, li studiate bene, li tenete tra le dita e ne controllate il peso e il colore. Poi, quando siete pronti, ne scegliete uno che vi rappresenta. Dovete pensare: quel bottone sono io.”

I bambini sono felici di fare questo nuovo gioco. Tuffano le loro dita paffute tra i mille colori dei bottoni sul tavolo, ne fanno cadere qualcuno ma subito Giovanni li raccoglie e cerca lo sguardo riconoscente della maestra.

Passano i minuti. Qualche bambino si contende i bottoni rimasti ma la quantità è tale che basterebbe per tre classi. Alla fine tutti tornano al proprio posto e mettono sul banco il bottone scelto.

La maestra osserva soddisfatta la sua classe.

Tutti al posto, tutti seduti composti, con un bottone sul banco. Tutti in attesa che lei spieghi il gioco.



“Fammi vedere, Valentino?” Chiede gentile, la maestrina. Valentino ha scelto due bottoni uguali, color grigio scuro.

“Queste sono le ruote della mia moto. Ho una moto velocissima, che supera tutti, piega in curva e mi fa vincere tante, tantissime gare!”.

La maestra è contenta di Valentino, minuto, dai capelli ricci e la fantasia sbizzarrita. Corre sempre e ogni tanto fa dei gran ruzzoloni per terra ma non piange mai.


Maria alza la mano. “Maestra, guarda qui”

La maestra osserva, sul banco Maria ha messo un bottone scuro all’estremità del banco, in mezzo una busta di carta e dall’altra parte altri tre bottoni. “I tre bottoni sono ex amici del bottone scuro e discutono se decidere di perdonarlo, solo in questo caso toglieranno la busta e staranno tutti insieme”.

“Perché la busta?”

“E’ la prima cosa che ho trovato nello zaino”.

La piccola, biondissima Maria, con la sua voce strana, un po’ mascolina, inquieta, per la sua notevole intelligenza, la maestra, che non sa mai come prenderla. 


La maestra si sposta vicino e dice: “E tu, Alberto?”

Alberto, si sistema il cravattino, fissa enigmatico la maestra e spiega calmo: “Questi sono bottoni antichissimi, vede, sono stati trovati in un sito di scavi archeologici. Un giorno scriverò un libro sull’utilizzo dei bottoni nell’antica Roma”.

“Bravo Alberto, sono sicura che lo farai”.



All’improvviso un bimbo grida: “Maestra, Matteo mi prende in giro, dice che sono nero perché non mi lavo…” e si mette a piangere.

“Tranquillo Mario, piuttosto fammi vedere il tuo bottone”.

Mario, che per la sua età è una spanna più alto di tutti gli altri bambini, è lo sportivo della classe, si asciuga gli occhi e spiega alla maestra: “Non è un bottone, è un pallone, quando lo tiro con il dito, faccio sempre goal.”

E così dicendo spara un bolide con l’indice, facendo partire il bottone che, con una parabola perfetta, centra lo zaino aperto. 


“Ma stai zitto, tu. Sei nero e non devi parlare prima di me. Prima vengo io che sono italiano.”

“Matteo, fai silenzio e chiedi scusa a Mario!” Sbotta la maestra, già sapendo che Matteo alzerà le spalle e resterà chiuso nel suo mutismo.

Allora cerca di prenderlo con le buone, chiedendo: “Fammi vedere il tuo bottone”.

Matteo la guarda con insolenza e risponde. “Non ho preso nessun bottone. Se ne vorrò, metterò le tasse agli altri bambini e mi dovranno dare tutti quelli che voglio…”. 


La maestra mette Matteo in punizione, dietro alla lavagna.

Pensa, crescerà, e presto smetterà di fare il bullo. 


Ma a volte anche le brave maestre si sbagliano, giusto?


domenica 14 aprile 2019

luoghi insoliti: Un uomo normale

luoghi insoliti: Un uomo normale: Fidelio è un uomo come tanti. Meglio di tanti. “Buona sera, Fidelio” “Buona sera signora, lasci a me le borse della spesa, le port...

Un uomo normale










Fidelio è un uomo come tanti. Meglio di tanti.

“Buona sera, Fidelio”

“Buona sera signora, lasci a me le borse della spesa, le porto su io”.

L'anziana vicina è fortunata ad abitare nella stessa scala di una persona così gentile e a modo.

Tutti, nel quartiere, conoscono quest'individuo.

Sempre calmo, mai una parola fuori posto, uno all’antica, capace di sollevare il cappello per salutare i conoscenti per strada.

Fidelio è anche particolarmente religioso. Non perde una funzione, ammirato dalle pie donne della parrocchia come uomo devoto.

Certo, non è uno che parli volentieri, anzi, a pensarci bene, io non ci ho mai scambiato più di due parole di fila. Al massimo un saluto.

Sembra uno che è sempre in ritardo o che abbia una gran fretta di rientrare a casa.

Nel circondario ci conosciamo tutti, la gente sa che lavoro faccio, conosce le mie abitudini, quando esco per fare la spesa, a che ora parto per il running. Questa è la provincia. Non che mi dispiaccia. Mi sono abituato.

Ma questo Fidelio è un enigma.

Uno molto riservato, che non dice molto di sé. Non dice niente per la verità.

Le comari ne parlano bene, è tanto gentile, così a modo. Averne di più di gente così nel quartiere.



Pare che abbia un figlio e che questo, una volta, sia passato sotto casa spingendo un passeggino. Ma sembra che il giovane non sia salito e che Fidelio sia rientrato nello stabile, contrariato, chiudendo il portoncino un poco forte.

Non se ne sa molto, perché il giovanotto non è stato più visto da queste parti.



“Come sta la sua signora?” Chiede ogni tanto la vicina curiosa.

“Bene grazie, le porterò i suoi saluti”.

La laconica risposta di Fidelio è sempre la stessa.

In realtà la moglie di Fidelio non esce mai. Pochi sanno che faccia abbia.

Il farmacista l'ha servita un giorno di qualche mese fa, ha raccontato al fratello che la donna aveva un’ombra scura sotto l'occhio, come un livido, suo fratello l’ha riferito alla moglie che gestisce l'edicola. Che cosa volete, siamo in periferia. Il farmacista poi è vincolato dalla sua etica professionale e non confermerà né smentirà alcuna informazione.



L'altra sera, la solita vicina ha sentito rumore di vetri rotti, era tardi e si è spaventata. Poi qualcuno ha picchiato colpi sulle pareti che sono rimbombati per tutte le scale. Lei è uscita ma non ha visto nessuno.

Il mattino ha incrociato il signor Fidelio è ha provato a chiedere se lui avesse sentito qualcosa.

“Le chiedo scusa, cara, forse ieri ho lasciato il televisore a volume troppo alto. Sa, c'era un film di guerra… le chiedo scusa, non si ripeterà”.

Che persona gentile, che educazione. Peccato che la moglie sia una donna così riservata e nascosta.



La vicina ha un debole per Fidelio, un uomo d'altri tempi, educato e gentile. Certamente una persona di classe.

Peccato ce ne siano così pochi oggi giorno.

Altro che i giovani d'oggi, rozzi e maleducati.



Stamattina, uscendo da casa, ho visto un’ambulanza ferma al fondo della strada.

Non sono uno curioso e poi era tardi. Ma la signora che abita vicino Fidelio era in strada che osservava tutto.

Sarà preoccupata per il suo vicino così galante. Mi sono allontanato e un'auto della polizia mi ha quasi investito all'incrocio.



Meno male che si tratta di un quartiere tranquillo…

So che al rientro ci sarà chi m’informerà sugli sviluppi di cronaca.

Dopotutto viviamo in provincia, ve l'ho detto, vero?









domenica 7 aprile 2019

una preghiera







Sento che sono tante le cose da sistemare. 

Chiedere non costa niente, chiedere non è mai peccato. Domandare è lecito e rispondere è cortesia… 

Così ho pensato che potrei pregare. 



Vorrei pregare per quelli che hanno bisogno, perché scoprano di che cosa hanno veramente bisogno. 

Vorrei pregare per chi prova dolore perché trovi chi può dare un sollievo. 

Vorrei pregare per chi capisce e si prende cura degli animali, anche se non ci chiedono niente. 

Vorrei pregare per chi si sente solo perché trovi un'anima affine che sia disposta ad ascoltare. 

Vorrei pregare per chi ha bisogno di ricevere qualcosa, che incontri sulla strada qualcuno che ha necessità di donare. 

Vorrei pregare per chi non ha memoria delle cose positive avute durante la vita. E per chi non ne ha di quelle negative. 

Vorrei pregare perché fosse più facile riconoscere il bene nascosto in fondo alle persone e perché nessuno più abbia bisogno di andare in giro per il mondo col cuore nascosto. 

Vorrei pregare perché in ogni posto si possa restare senza avere paura e perché si abbia la forza per affrontare la notte. 

Vorrei pregare per quelli che hanno perso la speranza e vagano senza energie e senza più mete e per quelli che dalla troppa speranza sono stati illusi, ingannati e uccisi. 

Vorrei pregare per quelli che sono morti senza raggiungere i loro cari. Vorrei pregare per quelli che ora dormono sul fondo del mare e per quelli che sul mare non sono mai arrivati. 

Vorrei pregare per chi lotta con tutte le energie per i propri diritti, perché non si dimentichi di quelli altrui. 

Vorrei pregare perché fossimo capaci di usare chiodi, viti, martelli e pinze e per avere mani e braccia abili a costruire e a mantenere in ordine il mondo. 

Io non so se ne sono capace. 


Mi piacerebbe anche poter pregare per chi abbassa spesso lo sguardo, per chi non cerca sempre di avere l'ultima parola, per quelli che raccolgono cartacce e lattine abbandonate da altri e per quelli che non hanno forze per reagire alle avversità. 



Ma a che serve pregare? 

Non sono capace di donare. Non sono bravo a dare sollievo. Non sono in grado di ascoltare. 

Non so dare coraggio né indicare una meta. 

Non ho imparato a costruire usando un martello e delle pinze e non sono sicuro di poter ristabilire una parvenza di ordine. 



Cosa resta da fare, se non so nemmeno pregare? 

Forse smettere di pregare soltanto. 

Smettere di fare domande e chiedere solamente e provare qualche volta a costruire assieme qualche risposta.





giovedì 4 aprile 2019

luoghi insoliti: Tre generazioni

luoghi insoliti: Tre generazioni: Vivo nella stessa piccola cittadina da tutta una vita.  No, non è per niente noiosa la provincia.  Al contrario, ha un...

Tre generazioni









Vivo nella stessa piccola cittadina da tutta una vita. 

No, non è per niente noiosa la provincia. 

Al contrario, ha un effetto particolare. 



Girando per le vie della città, incontro spesso facce conosciute, sguardi familiari. Alcuni li conosco da più di quarant'anni. 

Quando frequentavo la seconda elementare, immaginavo il mondo degli adulti come qualcosa d’insondabile, d’incomprensibile. Un mondo che ritenevo troppo complesso per la mente di un bambino. 

Non capivo ancora le mie emozioni, non afferravo cosa influenzasse le interazioni, i rapporti umani, sociali, commerciali. 

Mi dicevo: è presto, crescerò, per adesso ci sono i grandi, loro ci sanno fare, capiscono i problemi e sono in grado di trovare le soluzioni. 



Poi vedevo gli anziani. 

Negli anni settanta eravamo educati a portare il massimo rispetto per le persone di una certa età. Ci alzavano in piedi, non solo sull’autobus, e lasciavano sedere chiunque avesse qualche capello grigio. Ci è stato insegnato che gli anziani erano i depositari della saggezza umana. 

Lo erano? 



In realtà io credevo in questi valori, era ciò che genitori, maestri e catechisti ci insegnavano. Ero anche fermamente convinto, essendo un fervido lettore di fumetti, che nel 2000, per me lontano futuro, avremmo viaggiato su macchine volanti e che avremmo avuto regolari contatti e visite da parte di extraterrestri provenienti da lontani sistemi solari. 

Insomma, ero confuso. 



Questa confusione dura da diversi decenni. 



L'altro giorno ero in giro per commissioni. 

Nel giro di pochi minuti e poche centinaia di metri, ho salutato due fratelli, il minore più giovane di me, il maggiore di qualche anno più vecchio. Li conosco da quando eravamo bambini. Hanno le stesse facce, gli stessi occhi. Solo qualche ruga in più, le barbe, fili bianchi tra i capelli più radi e la corporatura li separano dai due bambini stampati nella mia memoria. 



Poi ho incrociato una donna, sua figlia ha da poco partorito un bebè. Io quella donna la ricordo alle scuole elementari, con i capelli legati in due trecce sottili. 



Così ho realizzato all'improvviso, che gli adulti che guardavo senza comprendere, quelli che avrebbero dovuto essere capaci di risolvere i problemi, ora siamo noi. 

E se i problemi ci sono ancora, se si sono addirittura moltiplicati, è perché non abbiamo capito qualcosa, forse siamo diventati adulti sono negli anni ma dentro siamo ancora quei bambini, confusi e spaesati. 



Quanto agli anziani e alla loro saggezza? 

Mi sono guardato attorno, ho visto persone anziane non rispettare la fila, parlare con arroganza e prepotenza, ho sentito discorsi maligni e vuoti, vedo in giro delle nonne spingere i nipoti nei passeggini, fumargli in faccia le proprie sigarette, abbigliarsi da modelle, pantaloni attillati e tacco a spillo, andare con passo veloce perché, una volta consegnato il nipote, le aspetta il personal trainer in palestra. 



Qualche romantico affermerà che la verità risiede negli occhi dei bambini, non metto in dubbio la bellezza della frase. 

Ma oggi sono più confuso che mai. 

Dove sta di casa la ragione? E dov’è finita la saggezza? 



Mi chiedo, se ero così incerto e confuso io da piccolo, come potranno sentirsi i bambini di oggi. 

Costretti a crescere con attorno adulti che si credono eterni ragazzi e anziani mai cresciuti veramente.