lunedì 22 aprile 2019

La sedia pieghevole










-Buon giorno.

-Buon giorno, ragazzi.

L’uomo sale con fatica le scale. Avrà una settantina d’anni ma ne dimostra mille.

Una faccia piena di rughe e radi capelli, bianchissimi, sparati in tutte le direzioni. Arranca a fatica, sbuffa e fa smorfie di dolore, o stanchezza.

I due ragazzini scappano in salita come due lepri, divorandosi i tre piani con la voracità della preadolescenza. L’uomo, quando i ragazzini si chiudono la porta alle spalle, è ancora alla prima rampa.

I due giovanissimi sghignazzano e si danno di gomito. Complici nel gioco e nei puerili segreti.

Il padre di uno dei due, esce dal bagno e chiede loro:

-Cosa avete da ridere?

-Abbiamo appena incontrato il vecchio… il pazzo che abita qui di fronte.

L’uomo diventa serio e aggrotta le sopracciglia.

-Non dovete chiamarlo così.

-Scusi. Non ci sembrava una cosa brutta…

Si affretta a scusarsi l’amico, mentre suo figlio s’irrigidisce quasi a difendere la sua posizione.

-Perché, papà? Ne abbiamo parlato e non mi sembra la persona più sana di mente del condominio, forse dell’intera città.

L’uomo tace. Sa che ciò che argomenta il ragazzo corrisponde al vero ma suo figlio non sa tutto. Pensa che sia arrivato il momento di parlargliene.

-Non dovete chiamarlo pazzo né trattarlo in modo irrispettoso. Solo cercare di capire… sedete sul divano, vorrei raccontarvi una storia.

I due ragazzi obbediscono, sperando che si tratti di un racconto dell’orrore di cui sono grandi fanatici.



-Sapete cosa fa l’uomo tutte le sere, vero?

I due giovanotti ridacchiano perché lo sanno ma la loro risata nasconde un velo d’ansia.

-Tutte le sere, verso mezzanotte, esce sul pianerottolo con una sedia pieghevole di legno, la apre davanti alla porta, si poggia un giornale sulle gambe e, invece di andarsene a letto, se ne lì seduto e in silenzio, a vegliare per ore.

Poi verso le quattro e mezzo, si alza, piega la sua sedia e rientra.

-E non ti sembra un comportamento da pazzi? Lo interrompe suo figlio.

-Non m’interrompere.

L’uomo non è arrabbiato ma il suo tono non ammette repliche. Ottenuto silenzio e attenzione, prosegue.

-Noi abitiamo qui da quasi dieci anni, giusto? E durante i primi anni non ho quasi mai mancato di controllare dallo spioncino, ogni volta che sentivo il rumore della serratura del vicino. I primi tempi era spaventoso e inquietante, quel comportamento. Abbiamo avuto delle spiegazioni, dopotutto quell’uomo non ha mai disturbato nessuno, e alla lunga tutti ci siamo abituati, abbiamo assecondato quell’assurda abitudine. Se uno ha deciso di passare le notti davanti alla porta di casa, che facesse pure…

-Ma, papà…

Questa volta è sufficiente un’occhiata e il ragazzo ammutolisce.



-Tutto iniziò quattro o cinque anni prima che noi traslocassimo. Il nostro vicino aveva un figlio e avendo perso la moglie anni prima, quel figlio era tutto il suo mondo. A questo giovane piaceva uscire la sera e fare tardi, molto tardi, per andare a ballare. Una sera d’autunno, uscì che era quasi mezzanotte e suo padre che aveva tentato in tutti i modi di fargli cambiare idea, decise che per punirlo, avrebbe passato la notte fuori di casa ad aspettare così da farlo imbarazzare dal senso di colpa, al suo rientro.

Successe che prima delle cinque, si era appisolato con la schiena appoggiata alla porta, fu svegliato dal telefono che lo costrinse a rientrare nell’appartamento. Il figlio e tre amici, erano stati coinvolti in un grave incidente ed erano stati trasportati in ospedale. Troppo tardi.

L’uomo ha subito un grave trauma, è stato anche in clinica per lunghi mesi. Quando è tornato a casa, sembrava il fantasma di quello che era stato prima. Antidepressivi e tranquillanti lo avevano trasformato in uno zombie.

Passato un anno, la sera dell’anniversario di quell’orribile notte, cominciò a sedere fuori dalla porta come ad aspettare qualcuno che non sarebbe tornato. Così fa ancora e tutte le mattine, all’ora della telefonata, se ne rientra in silenzio. Così da anni. Poveraccio, fa una gran pena. Ma per il resto è una persona buona, gentile e discreta. Un vicino che molti vorrebbero.



I due ragazzini avevano smesso di ridere. Il racconto li aveva rapiti. Non riuscivano a muoversi dal divano, non avevano nemmeno più voglia di giocare.



-E’ tardi, io devo andare a casa.

-Ok, ciao. Ci vediamo domani, meno male che è domenica, niente scuola!

L’uomo saluta l’amico del figlio, poi aiuta sua moglie a preparare la cena.

Dopo cena suo figlio è strano, taciturno. Non rompe le scatole per vedere i cartoni, una serie di anime giapponesi che loro detestano.

Guarda distratto un film con loro, cosa insolita e quando sono le undici non fa storie per lavarsi i denti.

Poi si corica sul letto ma tiene i pantaloni.

Suo padre lo controlla, stupito.

Quando sono le 23,45, il ragazzino si alza, va da suo padre in camera e chiede: 
-Posso andare?

L’uomo lo osserva con profonda tenerezza e gli fa cenno di si con la testa.



Il ragazzino, che sta crescendo, prende una sedia pieghevole da campeggio, esce sul pianerottolo. Il vicino si è appena seduto.



-Posso stare qui?

Il vecchio gli rivolge uno sguardo interrogativo. Poi torna a guardare davanti, verso le scale.

-Certo.

Al ragazzino scende una lacrima. Il vecchio la vede e l’effetto è mille volte più curativo di tutte le terapie che abbia mai preso.

Stanno in silenzio per quasi mezz’ora. Poi il vecchio parla.

-Non posso farti stare alzato tutta la notte. Mi sa che è meglio che rientriamo, tutti e due. Vai a dormire, i tuoi staranno in pensiero.

-E lei?

-Credo, sì, credo che rientrerò. Magari starò sul divano. E domani uscirò e magari ti offrirò la colazione, che ne dici?

Il ragazzo si asciuga il viso, sussurra una buonanotte assonnata e rientra.

Il vecchio fa altrettanto.







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