Mi piace molto correre.
Lo faccio ogni volta
che ho tempo libero da spendere.
Corro anche quando non
dovrei. Quando mi fa male il ginocchio, per esempio, oppure quando alle nove
del mattino ci sono già trentacinque gradi.
Non so se i
trentacinque gradi sono all’ombra, in ogni caso ombra sulla ciclabile ce n’è
poca…
Stamattina sono stato
imprudente, lo ammetto. Ho bevuto mezzo bicchiere d’acqua, ho fatto una
colazione troppo leggera, insomma dopo un paio di chilometri mi sentivo già
stanco e disidratato.
Ma noi sportivi, noi
uomini veri, non lasciamo mica che queste piccolezze ci tarpino le ali?
Insomma, stringo i
denti, alzo il mento e allungo la falcata, fino a quel momento tremolante e
incerta.
La pista ciclabile è
circondata da cespugli e vegetazione incolta, riflette la luce di un sole
implacabile che vi farebbe sudare, anche se foste immobili.
L’aria che entra dal
naso e dalla gola è rovente e gratta come sabbia, la luce si specchia sul suolo
e mi costringe a socchiudere gli occhi già irritati dal sudore che scende
copioso dalla fronte, dalle tempie, da ovunque…
Oggi sono cotto, forse
non era il caso di mettersi a fare lo sportivo ma ormai sono qui.
In effetti, in quasi
venti minuti non ho incontrato nessuno, di solito incrocio ciclisti, cani a
passeggio con relativi proprietari, altri runner, oggi non c’è anima viva.
Tranne uno laggiù, in
mezzo alla pista.
Sembra un uomo che
cammina al centro della ciclabile, non sembra un corridore. E’ ancora distante
più di duecento metri ma lo vedo chiaramente venire verso di me camminando giusto
in mezzo della strada.
Mentre mi avvicino,
capisco perché non mi sembrava uno sportivo.
L’uomo è vestito con pantaloni
scuri, un gilè chiaro sopra la camicia, e qualcosa sulle spalle, sembra una
coperta militare. Poi come se non bastasse sulla testa, ha calato un dannato
cappello da mandriano, che mi venisse un colpo, ma che diavolo ci fa quel
cretino vestito da cow boy sulla ciclabile a quasi quaranta gradi.
La mia corsa rallenta,
non riesco a credere ai miei occhi feriti.
Ora siamo distanti meno
di cento metri e gli vedo la faccia.
Qualcosa di scuro gli
penzola fuori dalla bocca, potrebbe essere un sigaro.
Ma cos’è uno scherzo?
Forse stanno girando un film, quello è solo una comparsa che si fa due passi, sì,
ma io che faccio? Gli passo a fianco come niente fosse? Lo saluto o magari tiro
dritto… intanto ho smesso di correre, sono troppo sbalordito e stanco, quasi
trascino i piedi e respiro a fatica, anzi sembro un mantice.
Devo essere allucinato,
il sole mi ha dato alla testa.
Ora siamo a una
cinquantina di metri.
L’uomo si è fermato e
mi fissa, i suoi occhi sono due fessure da cui non sfugge alcun sentimento.
Io mi dico che devo
essere impazzito.
Sono fermo al centro
della ciclabile e sto fissando Clint Eastwood!
C’è Clint Eastwood
fermo al centro del vialetto, con la faccia dell’assassino che si prepara al
duello.
Infatti, sputa il
sigaro al suolo e si scosta la coperta lasciando libero il fianco da cui brilla
il calcio di una pistola enorme.
Probabilmente una Colt
45 a tamburo.
La lunga fondina è
legata alla coscia con un laccio di cuoio.
Le mie braccia
penzolano lungo i fianchi, sono disarmato, incredulo, spossato.
Al pistolero non sembra
interessare questo particolare.
Con un movimento troppo
veloce perché i miei occhi pieni di sudore possano percepirlo Clint Eastwood, perché
ormai sono certo che si tratti di lui, ringiovanito al periodo della
collaborazione con Sergio Leone, tira fuori la colt e mi spara al petto.
Non ho nemmeno il tempo
per morire bene, penso, ma il proiettile non mi uccide perché provo solo un
gran dolore diffondersi sotto lo sterno e resto in piedi.
Allora Eastwood si
avvicina velocemente e spara altre due volte sempre mirando al torace.
Mi sembra di avere
preso in pieno un camion a tutta velocità, l’aria esce dai polmoni facendomi
fare un verso abbastanza ridicolo, il dolore è insopportabile e mi chiedo perché
sto li, ancora in piedi, a godermi la scena.
Poi la stanchezza, più
che i proiettili, mi convince a sedermi a terra e poi a sdraiarmi.
Da questa posizione
posso vedere bene il cielo azzurro e le nuvole bianche come fosse un quadro. Il
sole alle spalle continua ad arroventare il tutto.
Finché nel quadro non
appare la faccia bonaria di Clint, che si avvicina, sento nel suo alito caldo l’odore
del sigaro, e mi dice: “Oggi è la tua giornata fortunata”.
Poi appoggia la canna
della colt al mio petto e spara. Il dolore è atroce.
Non capisco, dovrei
essere ben morto a quest’ora.
Clint Eastwood è ancora
chino su di me, sembra guardarsi attorno.
Poi urla: LIBERA!
Poi spara un ultima
volta.
Tutto è confuso da quel
momento, c’è chi mi spinge, chi mi tira, sento tante voci.
Poi mi caricano su un
mezzo dal motore acceso e l’ultima cosa che guardo, prima di chiudere gli occhi
e riposare, è quello sguardo a fessura, quello sguardo che non trapelava
sentimenti, la faccia di quell’uomo.
Solo che non è più
Clint Eastwood ma un infermiere che mi ha salvato la vita.
Nessun commento:
Posta un commento