Chissà come era fredda
l’acqua del Ticino.
Chissà se lo hai
sentito quel freddo, chissà se eri cosciente, se pensavi a qualcosa mentre il
mulinello del fiume ti tirava giù verso il buio.
Chissà se hai sentito
lo strattone e il dolore, la mano che ti afferrava per i capelli e ti tirava su
verso l’aria, se hai sentito parlare quell’omone tedesco che ti restituiva alla
vita e ti adagiava sulla riva pietrosa del fiume.
Chissà se poi era
davvero un tedesco.
Chissà se hai avuto
memoria di tutti i particolari, oppure il racconto, che ascoltavamo da bambini
un po’ annoiati, era frutto di memorie altrui, di particolari che ti avevano
riferito dopo la disavventura, quando ti eri ormai ripreso.
E chissà quali sogni, quali
speranze e progetti avevi, giovanissimo da poco emigrato al nord, con un lavoro
nuovo di zecca e per la prima volta qualche soldo in tasca da potersi
permettere una scommessa sportiva sul risultato di una partita di calcio, un
bottiglione di vino in palio con i colleghi, quasi tutti veneti.
Qualche soldo in tasca
da potersi permettere una trasferta in corriera allo stadio di San Siro per
guardare il derby (e tifare il Milan) con gli amici, da potersi permettere una
scampagnata al Ticino e un bagno nel fiume, lido improvvisato per gente comune.
Chissà se hai pensato,
mentre l’acqua gelida ti avvolgeva, che avresti potuto perdere quello che avevi
e soprattutto quello che avresti avuto in futuro, una vita di lavoro ma anche
cose buone, vacanze, una famiglia, dei figli.
Non lo so, non so tutto
questo, il racconto che ascoltavamo era per noi come quelle foto in bianco e
nero che ritraevano la tua gioventù, un mondo perduto che apparteneva a un’altra
realtà per noi poco o nulla reale.
E quelle storie
ripetute all’infinito sulla miseria di un’infanzia fatta di povera scuola,
lavoro duro e poco da mangiare, si ascoltavano con fatica perché mettevano
tristezza e nessuno vuole ascoltare che il proprio padre ha patito e sofferto,
anche se è una cosa passata.
Ma ora avrei voglia di
riascoltare, di sentire la tua voce che dice: una volta ho rischiato di annegare nel Ticino, avrei voglia di
assaporare quelle storie in bianco e nero che ogni tanto a tavola ci propinavi,
puntando la nostra attenzione sulle cose che avevamo e su quanto eravamo
fortunati.
Ora non so cosa darei
per tornare bambino e poterti ascoltare senza capire che quei tuoi ricordi in
bianco e nero sarebbero diventati un giorno lontano nel futuro, il tesoro della
tua memoria.
La memoria di te.
Bello Giorgio, bel pezzo.
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