Passano due ragazzi.
Fotocamera compatta a tracolla uno, sacca leggera sulla spalla il secondo.
Il primo parla inglese, ogni tanto ride.
L’altro sorride e annuisce. Chissà se capisce?
Sembrano amici o forse si sono appena conosciuti.
Oltrepassano la mia panchina, poi scompaiono alla vista.
Il cinguettio dei passeri è quasi continuo, di sottofondo. Ogni tanto si
sente il gracchiare di un corvo. O forse si tratta di una cornacchia, non
saprei.
Passa una coppia, lui parla di acquistare un regalo, magari un I-pad, la
ragazza sembra ridere felice. Forse il regalo è per lei.
Poi per dieci lunghi minuti non passa nessuno.
Da lontano, saranno due, trecento metri in linea d’aria, arrivano radi i
rumori metallici di uno stabilimento.
Ma questo non fa parte dello scenario e anche i suoni che giungono sembrano
arrivare da un altro mondo.
Odo un vociare distante, donne e uomini in visita ma fortunatamente sono
lontani e concentrandomi sul ronzio degli insetti non li sento più.
Ora i viali sterrati che circondano la vasca d’acqua e che si allungano per
un paio di chilometri, sembrano deserti.
Guardo a sinistra: nessuno. Mi volto verso destra: un gruppo si muove,
forse una classe.
Sembrano formiche.
La luce del sole sbatte sulla facciata bianca della Reggia e fa quasi male
agli occhi.
Non credevo si potesse provare una simile pace senza per forza scalare una
vetta.
Ora tutto è silenzio.
Il mondo procede al lento ritmo del mio respiro.
Poi tre persone sbucano parlottando da un vialetto laterale.
Mi vedono scrivere e subito si allontanano in silenzio con un misto di
pudore e imbarazzo.
Ma l’incanto è terminato.
È giusto così, le cose belle sono brevi.
Mi alzo, lascio a malincuore la mia panchina pensando che tornerò presto.
Un bimbo molto piccolo, dal suo passeggino, mi fissa mentre passo.
Gli sorrido.
Lui chissà, forse non pensa a niente.
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