Se siete di quelli che
dicono: Oggi fa troppo caldo, non vado a correre... Oppure: mi sono
addormentato, è tardi e devo pensare al pranzo... L'aria è fredda, ho i geloni
ai piedi... Ci sono nuvole minacciose... Non sono molto in forma... Ho la
nausea... Sta cominciando un bel film alla TV...
Probabilmente non siete
il tipo di persona alla quale piace il running.
Per evitare di correre
le scuse sono infinite. Ne trovate quante ne servono, ogni giorno diverse, ogni
volta valide. Nessuno troverà da ridire.
Al contrario, per
correre ci vuole solo una cosa (oltre a un paio di scarpe adatte): la volontà.
Senza una forte
volontà, una grande motivazione, non si va da nessuna parte. Non si esce
nemmeno da casa.
Anche durante la corsa,
in genere dopo solo un paio di chilometri, i pensieri si possono fare negativi.
Cosa ci faccio qui, fa
troppo caldo, mi tira il polpaccio, oggi proprio non respiro... Così di questo
passo si rischia di durare poco, di invertire il senso e tornare presto sotto la
doccia.
Dunque, decido che non
devo pensare, per tenere il passo devo distrarmi. In genere basta la radio ma
oggi ho deciso di fare un piccolo esperimento psico-sociologico.
Oggi provo a salutare,
con un gesto della mano, un semplice cenno, chiunque incontri sulla strada.
Voglio vedere in quanti rispondono, se rispondono, e provare a capire cosa
pensano.
Cominciamo.
Tipologia:
il professionista.
Abbigliato alla
perfezione, orologio conta battiti, scarpette da trecento euro e pochi grammi
di peso, canotta traspirante, occhialetti tecnici, fascia anti sudore.
Mi sfreccia di fianco a
velocità da autovelox. Neppure vede la mia mano alzata, figurarsi il resto di
me...
Tipologia:
il superbo.
Lui mi vede, anzi mi
squadra. Dall'alto.
Non restituisce il
gesto di saluto. Pensa: chi è questo, cazzo vuole?
Proseguo la corsa...
Tipologia:
donna runner, di solito corre in coppia, se non può, col cane.
Vede il saluto e mi
guarda male. Sta pensando: Ecco, l'ennesimo galletto che ci prova, che schifo,
una donna non può permettersi di uscire a fare due passi, mettersi dei
pantaloncini, che subito è importunata, molestata, ma come si permette, mi avrà
squadrata dalla testa ai piedi, che porco, tutti uguali, eppure non sembrava,
aveva una faccia da bravo ragazzo, poi a pensarci bene non sembrava da buttare
via, chissà se ripassa, magari la prossima volta lo saluto anch’io, chissà...
Tipologia:
runner con prole (se piccoli, al seguito su biciclettine minuscole).
Al cenno della mano
allego, premuroso, un sorriso rassicurante.
Risponde al cenno ma la
sua mano rimane chiusa e i suoi occhi si stringono in due fessure, stile Clint
Eastwood.
Di sicuro pensa: guarda
solo i miei bambini e sei un uomo morto.
Tipologia:
l’amicone.
Al cenno della mia mano
si rianima, apre le braccia e urla cose senza senso tipo, come va, bella
giornata per correre, vero? Ci vediamo, stia bene, buon allenamento… dopo
duecento metri posso ancora sentire la sua voce accalorata, mi sembra di
conoscerlo da una vita.
Tipologia:
lo sportivo autentico.
Mi vede, risponde al
saluto.
I suoi occhi sanno
trasmettere tutta la sofferenza per la fatica provata e la dignità di chi
stoicamente lascia da parte le debolezze umane per mettersi in gioco e sfidare
i propri limiti. Condivide in un attimo, con me, questa esperienza mistica ma
si rende conto che questo non è un gioco di squadra e si trattiene dal proporre
“il cinque” al volo. Prosegue per la sua strada incurante della stanchezza
propria e consapevole di quella altrui.
Bene, il percorso è
quasi finito.
L’esperimento anche.
Non saprei dire com’è
andata, mi piacerebbe che ci fosse a leggere qualche esperto, per capire se la
mia disamina può avere carattere di scientificità, oppure era semplicemente un
delirio causato da ipoglicemia e carenza di ossigeno al cervello.
Un risultato l’ho
ottenuto.
Correndo non ho
ascoltato la stanchezza e la vocina nella mia testa che sussurrava a
ripetizione: cosa fai qua? Torna a casa e stenditi sul divano!
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