mercoledì 4 novembre 2015

Di come i social ci stanno cambiando (e imbruttendo)









Che cosa c'è da dire ancora, il titolo del post la dice lunga.
In quest'epoca, grazie a pochi passaggi come la scelta di un nickname e di una semplice password, siamo diventati tutti potenziali giornalisti, fotografi, scrittori.
Niente di più semplice che pubblicare un post o una foto, un commento o un cinguettio.
Non occorre nemmeno più avere un computer. Oggi tutti abbiamo un cellulare che rende elementare fare tutto anche a chi, perché nato in epoche remote, non ha nessuna familiarità con basilari nozioni informatiche o anche a chi, per poca attitudine all'ascolto o allo studio, mastica male la grammatica o è a digiuno di tecniche di fotografia.
Ma sto divagando.
Stamattina se ne arriva mia figlia, con in mano il cellulare, dicendomi "guarda, qualcuno ha messo sul gruppo una foto di un auto di servizio pubblico parcheggiata in un area di sosta riservata a disabili, aggiungendo come didascalia un invito a vergognarsi".
Ah, faccio io, non sapendo bene cosa rispondere. È risaputo che io lavori per un ente pubblico e che usi per spostarmi un'auto pubblica identica a quella immortalata nella foto della vergogna.
Tengo a dichiarare che il numero di targa mi scagiona da ogni colpa ma non posso certo prendere le difese del colpevole, reo di cotanto vergognoso posteggio.
Dunque non dico niente. Ma il silenzio dura poco perché provo un che di disagio, di fastidio per il modo in cui viene denunciata l'infrazione.
Devo dire che difficilmente faccio parte di gruppi di discussione sui social network, salvo quelli in cui vigono regole ferree di comportamento, di rispetto dei partecipanti, verso il focus del gruppo stesso.
Mi tengo alla larga quindi da tutti quei gruppi formati da innumerevoli persone per nulla accomunate da un reale interesse se non quello di fare " informazione" che spesso è poco controllata e si trasforma in puro e semplice scambio di fatti non supportati da certezza o per peggio dire in pettegolezzi.
Ma una foto non è un pettegolezzo. È una prova. Quindi chi l'ha postata ha fornito un servizio, un'informazione alla popolazione virtuale di questo gruppo. Questo è quanto potrebbe obiettare mia figlia che ha subìto il mio moto di disagio.
Certo, questo è vero.
Solo che il fastidio non mi passa. Perché le informazioni preferisco leggerle su un giornale serio con un passato di consolidata serietà e correttezza. O da un sito dove il cronista si firma ed è verificabile la sua competenza e la sua etica del lavoro.
Non su un social dove chiunque, anche un cialtrone come il sottoscritto, può pubblicare ciò che vuole.
Più tardi ho ripensato all'episodio. E mi è sembrato di aver capito che lo scopo del post non era quello di risolvere un problema, di punire un infrazione del codice stradale.
Per fare questo sarebbe bastata una semplice e veloce telefonata alla polizia municipale.
Lo scopo non dichiarato del post era alimentare l'ego di chi lo ha pubblicato.
Far passare l'autore per un paladino della giustizia alla difesa dei più fragili.
E di fargli guadagnare qualche sospirato"mi piace".

Evviva la democrazia del web.
Grazie a questa anche io posso tediarvi con le mie farneticazioni.

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