martedì 6 ottobre 2020

Lo scemo del villaggio. Altri personaggi

 








Sono in coda alle poste. 

Capita che arrivi nella buca delle lettere che so, una bolletta, una multa, qualcosa del genere che mi costringa a uscire da casa per venire qua davanti. 

Ore sottratte allo Spritz con gli amici al bar. 

Certo, qualche persona perbene dirà che in posta ci si va al mattino ma anche all’ora di pranzo, aggiungo io, e poi è sempre tempo per un aperitivo. 

In coda, davanti a me, c’è tutta una fauna variopinta e variegata. Pagherei il biglietto per stare qua a guardarli. 

Mortadella, per esempio, questo bestione davanti a me, per carità non chiamatelo così perché si offende, esce dalla macelleria e vi rincorre in canottiera brandendo una mannaia insanguinata come nei peggiori film splatter. Per la verità lui vive in canottiera, la indossa tutti i giorni e tutte le stagioni, qualcuno insinua che sia sempre la stessa a causa dell’odore rancido, altri sostengono che il fetore provenga dai congelatori dove conserva la carne. E’ un pessimo macellaio, tratta male tutti ma è l’unico nel paese e pesa centotrenta chili. Quindi evviva Mortadella e viva pure la sua canottiera. 

In questo momento sta parlando con don Lurio, il parroco, pure lui in coda, lo sento chiedere qualcosa, il sacerdote vorrebbe organizzare una festa dell’oratorio con mega grigliata e, ovviamente, serata danzante, e cerca di trattare sul prezzo di salsicciotti e luganega e di strappare uno sconto ecclesiastico ma Mortadella ha già subodorato puzza di fregatura e si prepara ad affilare coltelli metaforici. 

D’improvviso si sente il rombo di un trattore cingolato molto pesante oppure di un Panzer tedesco, residuato del millenovecentoquaranta, mi volto e scopro che si tratta solo di un vecchio Garelli mono marcia degli anni settanta con la marmitta bucata e con due ragazzi magrolini stretti sul sellino. Uno dei due è Forchetta. Affiancano la donna prima della fila, si potrebbe pensare a uno scippo ma la donna è la mamma di Forchetta, ancora più magra del figlio. Una volta che una perturbazione, durata una settimana, aveva portato giornate ventose sul paese, Forchetta le aveva riempito le tasche del cappotto di pietre e l’aveva obbligata a indossarlo, anche se c’erano quasi trenta gradi. Il ragazzo parlotta con la madre, la donna prende qualche banconota, gliela allunga e tenta di dare un bacio sulla guancia del ragazzino ma i due sul motorino sono già spariti in una nuvola di scarico più puzzolente della canottiera di Mortadella e più rumorosa di un’Augusta dell’esercito in fase di decollo. 

Dietro la mamma di Forchetta aspetta il suo turno Wilma. Don Lurio l’ha già squadrata con occhio inquisitore e lascivo. Non si capisce se stia pensando a un’assoluzione o ad altre cose più impure. La Wilma indossa una gonna in finta pelle, di moda una generazione fa, una camicia a fiori tre taglie troppo piccola da cui cercano di evadere disperate due mammelle di dimensioni colossali tenute a bada da un reggiseno sportivo probabilmente fatto con la gomma di uno pneumatico. Wilma misura un metro e sessanta ma i tacchi la fanno svettare in altezza su tutti, prima di indossare quelle scarpe deve chiedere il permesso all’aeroporto della Provincia. Sebbene sia in pensione, così si dice, non ha mai rinnegato il suo passato da escort di cui è fiera e che le ha lasciato una discreta rendita. Di fatto, nonostante l’età, fa ancora girare il collo dolorante e artritico di tanti vecchietti e infuriare le mogli del paese come se fosse ancora in servizio attivo. 

Mi accorgo che il tempo passa perché dal campanile in piazza arriva il rintocco delle dodici mentre dentro le poste si deve essere formata una bolla temporale che ha fermato il tempo, tra ventimila anni l’umanità qua fuori potrebbe essere estinta mentre dietro lo sportello l’impiegata sta ancora finendo di inserire i dati di una bolletta del telefono degli anni venti… 

Vedo passare il medico condotto. Don Lurio alza un momento gli occhi dal didietro della Wilma per salutare, buon giorno dottor Di Somma. 

Il dottore risponde con un gesto della mano. Nell’altra tiene la borsa, sempre la stessa da un quarto di secolo. E’ un bravo medico, appassionato, fin troppo. Entra talmente tanto in empatia con i suoi assistiti che ne assume anche le caratteristiche e i sintomi. Quando c’è stata l’epidemia di varicella a scuola ha girato con i puntini fino a estate inoltrata. Quando visita qualcuno con nausea e inappetenza, perde peso mentre se va a vedere i diabetici gli sale la glicemia. Lui lo sa e organizza le visite in modo tale da ottenere l’equilibrio. Pensate che il dottor Di Somma si chiama Tiziano e la gente alle sue spalle lo chiama Dottor Di Somatizziamo. 

In lontananza si sentono gli schioppi della marmitta del Garelli di Forchetta mentre la sua mamma si aggiusta i capelli sulla fronte ossuta. 

Wilma fa un sospiro e per poco non le saltano due bottoni. 

Don Lurio si volta e cerca la redenzione tirando fuori un rosario dalla tasca. 

Mortadella si scaccola e si pulisce le dita sulla canottiera facendomi prendere in seria considerazione il vegetarianismo. 

Il dottore è scomparso, in cammino verso la sua prossima patologia. 



La fila fa un passo in avanti, la bolla temporale deve essere scoppiata oppure hanno aperto un’altra cassa, forse non si farà così tardi, e se non si ritarda del tempo ne rimane. 

A quest’ora c’è sempre qualcuno al bar. 

Ed è sempre tempo di uno Spritz, giusto? 









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