giovedì 27 settembre 2018

L’isola di plastica







Come tutti sappiamo, o meglio come tutti abbiamo la possibilità di sapere grazie al signor Google, esiste una cosa chiamata l’isola di plastica.


  
In realtà la corretta definizione è Great Pacific Garbage Patch. Più semplicemente Pacific Trash Vortex. 
Un vortice d’immondizia sul Pacifico. 



Essa è un immane agglomerato di residui umani, che galleggia negli strati più superficiali dell’oceano Pacifico del nord, un’isola galleggiante di rifiuti mantenuta assieme dalle correnti oceaniche. 
Da anni siamo a conoscenza del vergognoso e preoccupante fenomeno su cui si discute, come su tante altre cose, circa la pericolosità per l’ecosistema marino, le ricadute in termini di salute e di costi, senza peraltro venire a capo di un bel nulla. 
Tonnellate e tonnellate di detriti, per la maggior parte di plastica, che causano la morte di pesci, uccelli marini e tartarughe. 
Il fenomeno è noto da almeno tre decenni ed è oggetto di studio e tutti auspichiamo progettazioni d’intervento… 
Ma non è tutto! 

Io so qualcos’altro. 



L’isola di plastica è composta principalmente di bottiglie. 
Questo si era capito. 

Ma ciò che ho capito io, non l’ho trovato leggendo riviste scientifiche. 
Me l’ha insegnato un altro genere di letteratura. 
Dalla storia di Giona a quella di Ulisse, da Verne a Poe si narra di naufraghi e naufragi, fino a giungere al celebre Robinson Crusoe di Daniel Defoe. 

Adesso so cosa c’è in quell’isola. 


So cosa contengono le bottiglie. 
Nelle bottiglie sono contenuti messaggi. 



Il mare è un postino imprevedibile e ritardatario. A volte consegna, chissà dove e chissà quando e tanti sono i casi in cui le spiagge hanno parlato. 
Ma talvolta il messaggio non può essere recapitato, perché è morto chi l’ha scritto oppure chi lo doveva ricevere, allora le onde lo affidano a strane correnti che, agendo come vortici, intrappolano ciò che vi galleggia e lo tengono lontano dalle coste. Nel bel mezzo di un oceano. 

Per questo motivo non leggeremo mai i tanti messaggi custoditi nelle bottiglie dell’isola di plastica: 
“Qui sono tutti impazziti, mi trovo sul tetto della torre nord, ho paura che non verrà nessuno a salvarci” 
“si-siamo stati colpiti da qualcosa, un missile forse, la torre crollerà, per l’amor del cielo, aiutateci” 
“ti prego, se non ci vedremo più dì ai bambini che li amo e che non dimentichino il loro papà” 

Migliaia di messaggi come questi altri: 
“questo è un inferno, se non troviamo il cecchino, nessuno uscirà vivo da questo buco” 
“ore e ore di addestramento per poi essere ammazzati da un bambino con un kalashnikov” 
“mamma perdonerai mai tuo figlio? Tu non volevi che entrassi nell’esercito” 

Poi altri ancora: 
“ ci hanno assicurato che la diga terrà, tanti sono fuggiti ma noi non lasceremo le nostre case” 
“doveva essere una crociera spensierata, perché la nave si sta inclinando? E dove corrono tutti?” 
“guido piano, non si vede nulla, perché le auto davanti a noi stanno scomparendo?” 


Messaggi drammatici, disperati. Messaggi che non avranno mai un perché né una risposta. 
Messaggi che resteranno per sempre chiusi nella propria bottiglia. 

Sull’isola di plastica i messaggi si accumulano senza pause e se un giorno qualcuno riuscirà a ripulire il mare e li leggeremo, non ci rimarrà altro da fare che piangere nuovamente per le persone che li hanno scritti. 








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