Quell’estate non si parlava d’altro in viale dei Pini.
Anche se a dire il vero l’estate stava chiudendo i suoi giorni, non si
sarebbe parlato d’altro almeno fino alle feste Natalizie.
Quando Tobia nacque tutte le neomamme del nido si giravano, non viste, a
guardarlo e molte dedicavano poco tempo al proprio bimbo per ammirare con
colpevole invidia quello spettacolo di neonato.
Questo fenomeno non riguardò i genitori di Tobia, per i quali il figlio era
sì il più bel bambino del mondo al pari di altri genitori innamorati.
All'età di sei anni Tobia andò a scuola.
Le varie maestre che, a causa del precariato, si avvicendarono durante la
scuola primaria, non riuscirono mai a non considerarlo un bambino speciale, a
non trattarlo con una particolare cortesia, ammaliate dall'eccezionale bellezza del pargolo. Molte mamme iniziarono ad accompagnare i propri figli in
classe ma appena varcata la soglia si attardavano ad ammirare Tobia.
Questo problema lo seguì anche durante il ciclo delle medie per poi
peggiorare durante le superiori. Ragazze di tutte le età e delle varie classi
inciampavano per le scale, sciamavano nei corridoi, perdevano lezioni tra
risolini imbarazzati. Alcune a costo di fallire interrogazioni e di perdere
anni scolastici! Tutte le studentesse della scuola, compresi molti maschi, avevano
una cotta per Tobia che continuava ad andare per la sua strada senza fare troppo
caso a nessuno di loro!
Già. Perché Tobia non mostrava nessun interesse per le altre ragazze, né
per i ragazzi. Tobia in tutti gli anni della scuola non era riuscito ad
allacciare lo straccio di un’amicizia, non aveva mai voluto bene a nessuna
maestra.
Qualcuno lo avrebbe definito anaffettivo, ma non avendo problemi o sintomi
particolari, Tobia non era mai stato valutato da un medico o da uno psicologo.
Perché farlo, visto che, se c’era mai stato un bimbo che piaceva a tutti,
era proprio lui.
Mai un problema, mai un richiamo, tutti e tutte volevano fare i compiti, studiare,
giocare con Tobia ma a lui semplicemente non interessava la compagnia e stava
bene da solo.
Una volta entrato nel mondo universitario, alla facoltà tutti iniziarono a
girarsi al passaggio di quest’Apollo, studenti e studentesse, docenti e
personale, donne delle pulizie e conducenti di autobus.
Tobia non ascoltava i commenti, non prestava attenzione alle frenate e ai
vetri infranti agli incroci, non si curava di fischi e richiami né dei continui
sguardi lascivi, ammiccanti e complici e tantomeno degli inviti sia impliciti sia
espliciti.
Certo,
con quegli occhi verde ghiaccio, impossibili da evitare, quella fronte alta e
quei capelli color della paglia, quella pelle perennemente abbronzata che lo
faceva sembrare un marinaio appena sbarcato, quella rada barba che gli scuriva
e gli rendeva maturo il viso, avrebbe potuto trarre vantaggio come, quando e
con chi avesse voluto, ma lui niente, non sentiva il bisogno.
Al
contrario, per non ascoltare più inviti disperati, velati ammiccamenti, esplicite
offerte sessuali, pianti e singhiozzi di cuori infranti, Tobia aveva iniziato
ad amare la montagna e i luoghi isolati, posti in cui poteva far lunghe
passeggiate e stare con se stesso, l’unica persona che amasse davvero.
A Tobia non
importava niente di nessuno, passava piacevoli ore in compagnia di se stesso e la
cosa migliore che gli potesse capitare era incontrare uno specchio d’acqua in
cui poter ammirare la perfezione del suo essere.
Questa fu
molto probabilmente la causa dell’incidente e chi lo ritrovò, restò inorridito,
con che autorità la morte si era presa una persona di quella bellezza? Con
quale potere?
Anche quell’autunno
non si sarebbe parlato d’altro in viale dei Pini, la strada che portava verso il cimitero
monumentale.
Il
passaparola delle vedove si era allargato a macchia d’olio tra i visitatori
del triste luogo e le visite erano già aumentate.
Tutti
passavano dallo stesso vialetto, ad ammirare quella foto, per fermarsi a
guardare quel giovane che anche da dietro un marmo non aveva smesso di far
girare le teste.
Il custode
prevedeva problemi…
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