Cosa ci sarà mai alla fine di questa dannata salita?
Me lo chiedo da un’ora, che qui si suda e si arranca, si arranca e si suda
e a ogni curva speriamo di vedere qualcosa che non sia lo stesso sentiero, le
stesse pietre che torturano i piedi, gli stessi scalini naturali, che a
scalarli si arranca e si suda come mai sudato prima.
Ma a ogni curva il paesaggio non cambia, giro l'angolo e davanti ancora
sentiero, ancora salita, ancora pietre che spaccano i piedi, e schiene sudate e
una processione di uomini e donne e qualche cane, tutti con qualcosa in comune,
la stanchezza, il fiato grosso, la lingua penzoloni.
Ma cosa ci sarà mai alla fine di questa salita, che tutti non vediamo l’ora
di arrivarci e più avverto la stanchezza, più aumenta il bruciore nei muscoli,
più si annebbia la vista a causa del sudore che cola a litri negli occhi e più
mi viene di accelerare il passo se non altro per porre termine a questa
temporanea tortura.
E dopo due lunghe, interminabili ore di cammino verso l’alto, vana rincorsa
al cielo, inseguimento di nuvole che non vediamo perché tutti stiamo attenti a
dove mettere i piedi per non inciampare e rotolare nel bosco, chissà come, il
fiato mi torna e il passo si fa regolare, uno-due, uno-due, uno-due, e inizio
una pazza gimcana tra le schiene, evitando di prendermi le bacchettate sulle
gambe, schivando chi decide di rifiatare con una sosta, superando i marciatori
più lenti, e finisco così per guadagnare posizioni perché non ce la faccio più
a camminare in salita e non vedo l’ora di sapere cosa c’è alla fine di questa
maledetta salita.
Ma per quanto aumenti l’andatura, le cose non cambiano, davanti a me una
fila di schiene sudate, zaini oscillanti, pietre che fanno male ai piedi e
soprattutto salita, salita e poi ancora salita. Così per un’altra buona
mezz’ora non penso, non mi chiedo cosa troverò, metto solo un piede avanti
all’altro, spingo sul ginocchio buono e sull’altro che scricchiola, ma non
rallento, solo vado avanti e salgo, salgo perché non c’è altro da fare.
Ma come tutte le cose che hanno una fine, all’improvviso lo scopro cosa c’è
alla fine della salita.
Acqua, finalmente acqua per tutti, uomini, donne, cani, beviamo, ci
ristoriamo, a fatica perché dobbiamo prima respirare ed entrambe le cose sono
urgenti. E alla fine della salita trovo le persone, quelle arrivate prima,
quelle che mi hanno seguito, quelle che mi hanno aspettato e quelle che mi
hanno raggiunto, quelle che non conosco e che saluto perché hanno negli occhi
la mia stessa stanchezza, la stessa voglia, le persone che mi hanno deluso e
che ho perdonato, le persone che su di me hanno sempre contato. E tutti assieme
ci ristoriamo che la salita non era infinita e tra poco si riparte.
Lo so bene, lo sappiamo tutti che ci aspetta una lunga e altrettanto
faticosa discesa, l’altro versante è lì a due passi e ci accoglie nell’ombra.
Si capisce subito che sarà peggio. Il sentiero è ripido e umido, le pietre sono
bagnate e rotolano verso valle che è un piacere. La processione umana riprende
a rilento che è tutto un frenare, un urlare di quadricipiti, un fischiare di menischi.
E qualcuno comincia a chiedersi abbastanza stupidamente, cosa ci sarà alla
fine di questa discesa.
Ma la vita non è forse questo, uno scendere e un salire, un faticare e
sudare, un cercare di resistere e di andare avanti finché c'è fiato?
Finché c'è qualcuno che cammina con noi e che si volta ad aspettarci se
rallentiamo o ci sorride se ci giriamo indietro a vedere che non si allontani
troppo?
E che importa se alla fine di questa discesa ci sarà un pianoro o se
comincerà subito una nuova salita.
Berremo la nostra acqua e mangeremo e andremo avanti perché la giornata è
ancora lunga e non sappiamo cosa ci riserverà la strada.
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