Mi sento bene
finalmente.
Non esattamente
bene, diciamo che ho raggiunto l'equilibrio da qualche tempo cercato.
Equilibrio tra
dolore e benessere, tra sofferenza e godimento, tra fastidio e piacere.
Adesso mi sento
bene, non il bene chimico regalato da molecole e droghe, o quello spirituale
raggiunto con l'illuminazione.
Piuttosto un
"bene" fatto d’inerzia, di silenzio, di annullamento.
Sto talmente
bene da sentirmi neutro, non so se mi spiego.
Era da qualche
tempo che non mi sentivo così leggero, pulito, neutro insomma!
Senza grandi
sforzi immagino di esser leggero come una piuma, di poter volare soffiato da un
vento fresco che non sa dove andare, e, infatti, spinge prima da un lato, poi
si arresta e vira dall'altro, poi sorregge e mi porta in alto per gettarmi in
una folle picchiata, penso che sia divertente, come andare sulle montagne
russe, se non fosse che fa un po' freddo.
Dall'alto vedo
un disco di luce provenire dal suolo, come una moneta d'argento investita dai
raggi del sole. Mi avvicino e scendo di quota, in realtà è il vento che
rallenta e mi fa cadere dolcemente verso questa sagoma luminosa e avvicinandola
mi accorgo che si tratta di un lago dalla superficie liscia e calma.
Sono colto dalla
paura, non voglio finire nell'acqua, ho freddo e non sono sicuro di saper
nuotare.
Non c'è niente
da fare, mi piaceva volare e godere del panorama nella tiepida luce del
crepuscolo, ma il vento è cessato e ho scoperto di aver riacquistato il mio
peso perché ora sto precipitando sempre più veloce verso la superficie
dell'acqua.
Ho paura, sento
freddo, so che mi farò male perché l'altezza è notevole. Nessuno può cadere da quest’altezza
senza farsi male, anche se sull'acqua.
Chiudo gli occhi
prima dell'impatto, un attimo prima di capire cosa succederà, un attimo prima
di cadere in preda al panico.
Stranamente il
contatto con l'acqua non è doloroso, apro gli occhi e mi accorgo che la luce qua
sotto è fioca e fa freddissimo, annaspo e capisco che vado sempre più sotto,
come un mattone lanciato in una vasca, è evidente che non so nuotare, l'acqua
fredda e sporca m’invade tutti gli orifizi, entra negli occhi, penetra nel
naso, ostruisce i pori, non vedo che sporco e buio, non posso respirare e i
polmoni sono trafitti da milioni di aghi e urlano di dolore e mentre dalla
bocca spalancata esce un liquame freddo al posto della voce.
Le tenebre in
cui sono sprofondato stanno invadendo anche i pensieri e quella che sembra
essere l'ultima immagine consapevole, si rivela come un buco sul fondo del lago
da cui fuoriesce una penombra come da uno spiraglio di una porta aperta.
So che non è
possibile che sul fondo di un lago ci sia una porta socchiusa, non più di
quanto ci sia stato un vento capace di farmi volare, almeno.
Ma non m’importa,
ormai non respiro più aria da un pezzo, i polmoni sono spugne gonfie d'acqua,
gli arti sono pezzi di carne semicongelata, e si muovono non di propria volontà
ma spinti dalla corrente.
Mi stupisce che
nella mente ottenebrata ci sia ancora un filo di funzionalità che permette pensieri
elementari. Mi chiedo quanto ci vorrà per perdere definitivamente coscienza e
nel frattempo raggiungo il fondo fangoso del lago. La corrente trascina il mio
corpo inerme verso la fessura e piano piano, rotolando come una carpa, questo raggiunge
la singolarità. Poi ci casco dentro e avverto uno strappo doloroso.
Non è un dolore
come quando ci si frattura un osso oppure quando ci si lacera la pelle, no, è
proprio come quando si strappa una stoffa ma a livello cellulare, come miliardi
di strappi che non fanno davvero male ma che dividono, separano.
Sono seduto.
Faccio fatica a
crederci. È come se quanto successo nel lago e prima in aria appartenga a un’altra
persona o a un’altra vita.
Mi rialzo in
piedi. Non sento niente, respiro come nulla fosse, aria profumata, ascolto il
ronzio degli insetti e il brusio di esseri piccolissimi tra l'erba del prato.
Comincio a
camminare e presto le vedo.
Il campo da
verde si macchia prima di chiazze rosse per diventare presto un’infinita
distesa purpurea.
Rose
dappertutto, non ho mai visto tante rose di un colore così intenso e di un
profumo così assoluto.
Cammino in mezzo
alle rose e non ho ancora capito dove andrò a finire. Il cielo sembra
rispecchiare il colore di quell'oceano infuocato, potrebbe essere il tramonto
quanto l'alba.
Gli occhi mi si
riempiono di lacrime di commozione, gioia e altro che non so definire, forse
amore.
Ora vedo, in
lontananza, la sagoma luminosa di quella che sembra una città.
Continuo a
camminare, non ho altro posto dove andare.
Quando mi
accorgo di essere sveglio mi morde un senso di disperazione. Sono più che
dispiaciuto, sono arrabbiato che fosse tutto un sogno, le immagini, le
sensazioni, era tutto così vivido e reale.
Mi faccio forza
e mi alzo.
Continuare e
andare avanti, come tutti i giorni, mi dico.
Poi, facendo il
letto, scopro un petalo rosso sulla federa del cuscino.
E il mio cuore è
inondato dalla speranza.
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