lunedì 16 maggio 2016

VISIONI








Mi sento bene finalmente.
Non esattamente bene, diciamo che ho raggiunto l'equilibrio da qualche tempo cercato.
Equilibrio tra dolore e benessere, tra sofferenza e godimento, tra fastidio e piacere.
Adesso mi sento bene, non il bene chimico regalato da molecole e droghe, o quello spirituale raggiunto con l'illuminazione.
Piuttosto un "bene" fatto d’inerzia, di silenzio, di annullamento.
Sto talmente bene da sentirmi neutro, non so se mi spiego.
Era da qualche tempo che non mi sentivo così leggero, pulito, neutro insomma!

Senza grandi sforzi immagino di esser leggero come una piuma, di poter volare soffiato da un vento fresco che non sa dove andare, e, infatti, spinge prima da un lato, poi si arresta e vira dall'altro, poi sorregge e mi porta in alto per gettarmi in una folle picchiata, penso che sia divertente, come andare sulle montagne russe, se non fosse che fa un po' freddo.

Dall'alto vedo un disco di luce provenire dal suolo, come una moneta d'argento investita dai raggi del sole. Mi avvicino e scendo di quota, in realtà è il vento che rallenta e mi fa cadere dolcemente verso questa sagoma luminosa e avvicinandola mi accorgo che si tratta di un lago dalla superficie liscia e calma.
Sono colto dalla paura, non voglio finire nell'acqua, ho freddo e non sono sicuro di saper nuotare.
Non c'è niente da fare, mi piaceva volare e godere del panorama nella tiepida luce del crepuscolo, ma il vento è cessato e ho scoperto di aver riacquistato il mio peso perché ora sto precipitando sempre più veloce verso la superficie dell'acqua.
Ho paura, sento freddo, so che mi farò male perché l'altezza è notevole. Nessuno può cadere da quest’altezza senza farsi male, anche se sull'acqua.
Chiudo gli occhi prima dell'impatto, un attimo prima di capire cosa succederà, un attimo prima di cadere in preda al panico.
Stranamente il contatto con l'acqua non è doloroso, apro gli occhi e mi accorgo che la luce qua sotto è fioca e fa freddissimo, annaspo e capisco che vado sempre più sotto, come un mattone lanciato in una vasca, è evidente che non so nuotare, l'acqua fredda e sporca m’invade tutti gli orifizi, entra negli occhi, penetra nel naso, ostruisce i pori, non vedo che sporco e buio, non posso respirare e i polmoni sono trafitti da milioni di aghi e urlano di dolore e mentre dalla bocca spalancata esce un liquame freddo al posto della voce.
Le tenebre in cui sono sprofondato stanno invadendo anche i pensieri e quella che sembra essere l'ultima immagine consapevole, si rivela come un buco sul fondo del lago da cui fuoriesce una penombra come da uno spiraglio di una porta aperta.

So che non è possibile che sul fondo di un lago ci sia una porta socchiusa, non più di quanto ci sia stato un vento capace di farmi volare, almeno.
Ma non m’importa, ormai non respiro più aria da un pezzo, i polmoni sono spugne gonfie d'acqua, gli arti sono pezzi di carne semicongelata, e si muovono non di propria volontà ma spinti dalla corrente.
Mi stupisce che nella mente ottenebrata ci sia ancora un filo di funzionalità che permette pensieri elementari. Mi chiedo quanto ci vorrà per perdere definitivamente coscienza e nel frattempo raggiungo il fondo fangoso del lago. La corrente trascina il mio corpo inerme verso la fessura e piano piano, rotolando come una carpa, questo raggiunge la singolarità. Poi ci casco dentro e avverto uno strappo doloroso.
Non è un dolore come quando ci si frattura un osso oppure quando ci si lacera la pelle, no, è proprio come quando si strappa una stoffa ma a livello cellulare, come miliardi di strappi che non fanno davvero male ma che dividono, separano.

Sono seduto.
Faccio fatica a crederci. È come se quanto successo nel lago e prima in aria appartenga a un’altra persona o a un’altra vita.
Mi rialzo in piedi. Non sento niente, respiro come nulla fosse, aria profumata, ascolto il ronzio degli insetti e il brusio di esseri piccolissimi tra l'erba del prato.
Comincio a camminare e presto le vedo.
Il campo da verde si macchia prima di chiazze rosse per diventare presto un’infinita distesa purpurea.
Rose dappertutto, non ho mai visto tante rose di un colore così intenso e di un profumo così assoluto.
Cammino in mezzo alle rose e non ho ancora capito dove andrò a finire. Il cielo sembra rispecchiare il colore di quell'oceano infuocato, potrebbe essere il tramonto quanto l'alba.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime di commozione, gioia e altro che non so definire, forse amore.
Ora vedo, in lontananza, la sagoma luminosa di quella che sembra una città.
Continuo a camminare, non ho altro posto dove andare.

Quando mi accorgo di essere sveglio mi morde un senso di disperazione. Sono più che dispiaciuto, sono arrabbiato che fosse tutto un sogno, le immagini, le sensazioni, era tutto così vivido e reale.
Mi faccio forza e mi alzo.
Continuare e andare avanti, come tutti i giorni, mi dico.
Poi, facendo il letto, scopro un petalo rosso sulla federa del cuscino.


E il mio cuore è inondato dalla speranza.




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