martedì 31 marzo 2015

Nei peggior bar della valle






Mi trovo in alta valle per lavoro. Non dirò quale, non ha importanza. e poi sono tutte uguali per un cittadino come me.
Sarei dovuto rientrare per sera ma si è rotta l'auto e l'unica officina, in questo buco di frazione, riapre domattina. Che importa, mi sono detto, un po' di spirito di avventura, passerò la notte qui tra le montagne. Ho chiesto alla trattoria dove avevo pranzato ed hanno una camera libera, l'unica!
Ma la sera è lunga e il posto, ad occhio, non sembra offrire molti svaghi.
Non voglio passare la sera alla trattoria, non  ho niente da leggere e non mi piace come mi guarda la proprietaria...


Il tramonto scende presto nelle valli, il sole si nasconde dietro i versanti che è ancora pieno pomeriggio, così dopo la frugale cena, consumata sotto lo sguardo allupato della corpulenta proprietaria, esco ed è già buio. Il vento mi costringe ad alzare il colletto e mi trasformo così in un Fonzie montanaro.


Giro un poco per il paesino, una manciata di case dal tetto aguzzo divise da un sottile serpente asfaltato da tempo e pieno di buchi. Qualche cane abbaia, frustrato dalla catena e dai cancelli per mia fortuna chiusi, per difendere una proprietà alla quale non sono minimamente interessato.
Mi chiedo per quale indecifrabile e maledettissimo motivo io abbia deciso di passare la notte in questa valle perduta, perché sia partito da casa con un auto non affidabile, perché abbia accettato questo incarico, perché, perché, perché...


Ma ormai è tutto inutile, l'auto non parte, nessuno è disposto a guidare tre ore su queste strade di montagna, al buio, per venire a prendermi e io non sono disposto a chiedere tale favore a nessuno. Poi non potrei nemmeno volendo. Il telefonino si è scaricato durante la cena con un languido lamento non ottenendo altro che richiamare maggiormente l'attenzione della locandiera.
Dunque meglio rassegnarsi, fare due passi al buio e al vento aspettando che venga il sonno e sperando che la megera si sia rassegnata e ritirata.
Mentre sto per decidere di tornare indietro vedo dal fondo di una curva arrivare un bagliore, faccio ancora qualche passo e noto con sorpresa che c'è un bar aperto.
Forse non tutto è perduto per questi poveri valligiani, o anche solo per me, magari riesco a fare due chiacchiere e a bere qualcosa in compagnia.
Allora mi dirigo a passo veloce verso il bar, contento di non dover rientrare così presto alla locanda.
L'insegna al neon manda una luce lattiginosa sulla strada ma le vetrine sono coperte da tende scure per cui non si vede all'interno.


Varco la soglia e l'immancabile campanello mi annuncia ai presenti.
Non che ce ne sia bisogno, il brusio delle chiacchiere si interrompe e un perfetto silenzio fa da benvenuto. Dietro il bancone in alto, una testa di cervo mi fissa con malevoli occhi di vetro.
Sotto questa il barista sta passando energicamente un panno lercio su un punto preciso, sempre lo stesso, con moto circolare. È talmente unto che ci potrei cuocere un uovo su quel bancone. Anche la temperatura nel bar sembra essere adatta alla cottura del suddetto uovo.
Sono sette le teste che si sono girate al mio ingresso, quattordici occhi se non contiamo quelli del cervo, solo il barista sembra non aver percepito l'ingresso dello straniero nel suo bar.
Ecco l'ennesima scelta sbagliata, mi dico. Ma ora sono qui e non torno certo sui miei passi, anche perché non credo di averne la possibilità. Un tipo, quello alla sinistra sta seduto al video poker e ha deciso che non gli interesso, quindi si rigira verso lo schermo e riprende a buttare via i suoi soldi.
Degli altri, due stanno alla destra dietro un tavolo da biliardo. Hanno in mano delle boccette e sembrano sul punto di volerle spaccare come noci. Non staccano lo sguardo bovino dal sottoscritto ma non sembrano molto pericolosi. Penseranno il doppio di me ma non mi arrivano al naso e una pancia enorme deborda dalle cinture per cadere flaccida verso le gambe.
Quelli che mi preoccupano sono i quattro al bancone, due per lato, sono grandi e grossi e poco amichevoli.
Ormai sono dentro, quindi faccio i primi passi verso il barista che ora ha mostrato di vedermi senza smettere di ungere il piano.
Uno sulla sinistra si rivolge ai due di destra mandando una frase in un dialetto strettissimo che non capisco, quello che è chiaro e che l'oggetto della considerazione sono io e tutti i cittadini come me che salgono su solo per interessi indicibili e per recare danno alle montagne, mucche comprese.
Dei due a destra, quello grosso ma davvero grosso annuisce con forza e abbandona lo sgabello scattando in piedi. Sono impressionato, il suo polso è largo quanto un mio polpaccio, probabilmente abbatte i vitelli destinati alla macellazione a mani nude.
Il tipo al suo fianco lo guarda e il bisonte umano torna a sedere sullo sgabello.
Allora capisco cosa fare.


Arrivo al banco, batto una mano li dove il barista passava il panno lercio, gli faccio un fischio che bucherebbe timpani leggermente più puliti ma che attira finalmente la sua attenzione.
Gli ordino la bottiglia di barolo, quella da collezione proprio dietro di lui e otto bicchieri.
Il barista sembra uscire dal torpore e a velocità insospettabile stappa la bottiglia con maestria da sommelier e posiziona otto bicchieri quasi puliti sul banco, lasciando a me l'incombenza e l'onore del versare.


Tutti si avvicinano, compreso il giocatore di video poker, ma nessuno accenna a fare una mossa. Aspettano chiaramente di vedere cosa fa il capo...
È decisivo essere tempisti, quindi afferrò la costosa bottiglia e colmo il primo bicchiere. Poi lo spingo verso quello che indubbiamente sembra essere il leader.
Ecco, ora si decide se tornare a casa pieno di lividi o cantando con nuovi amici...


Per dieci secondi non accade nulla, il tempo sembra essere congelato. Trattengo il fiato, poi l'uomo afferra il bicchiere, lo tracanna tutto d'un fiato e lancia un poderoso rutto, mentre io sorrido e riempio gli altri bicchieri mentre riprendo a respirare.

Alla prima bottiglia ne seguiranno altre, certo mi costa ma la salute val bene qualche sacrificio economico.
Dopo un paio d'ore si canta davvero e la compagnia decide di accompagnarmi alla locanda.
Non mi dispiace, sono simpatici e mi hanno fatto divertire, dopo la paura...

Ma non vogliono saperne di cantare sottovoce e mi assale un timore.
Che si conferma realtà quando vedo accendersi la luce di una finestra al primo piano...






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