sabato 23 marzo 2024

Cristiano e la mamma frontaliera

 






Fammi vedere quell’occhio?

Cristiano cercò di sviare l’attenzione della madre, svicolando verso la sua camera ma quella donna aveva più fiuto di un cane antidroga dell’aeroporto, forse perché leggeva tutti quei libri di Simenon e Camilleri.

Niente, mamma. Solo un graffio.

Proprio per niente!

La mamma non c’era cascata.

Questo è un livido bello e buono! Hai fatto a botte con qualcuno?

Ma no, mamma. Sì, c’è stata una rissa fuori dalla scuola ma non centro niente, passavo di lì e qualcuno mi è caduto addosso, non è niente…

Domani andrò a parlare con il preside, se le cose non migliorano alla fine dell’anno cambi scuola!

La madre di Cristiano sapeva essere inflessibile come un mastino, quando addentava un osso, non lo mollava più.

Cristiano era allarmato, non c’era bisogno di arrivare a tanto e poi anche da un'altra parte non sarebbe cambiato niente…

Si era pentito di aver parlato ma era troppo tardi. Sua madre aveva taciuto, riflettendo sulla portata di quell’affermazione. Poi aveva abbassato il tono.

Quindi è quello che penso, sei tu che ti porti addosso la causa di queste risse?

Ma no, mamma. Io non c’entro.

Troppo timido, troppo poco credibile.

Ora devo prepararmi e andare. Domani avrò il giorno di riposo e ne parliamo. La pasta gratinata è in forno, scalda venti minuti a centoquaranta gradi. Metti quella roba sporca che hai addosso in lavatrice e togli i fazzoletti di carta dalle tasche che fanno un casino. Vai a dormire presto e chiudi bene la porta.

Lo so, mamma. Lo so… tutte le volte che era nervosa, la donna gli ripeteva la stessa litania come quando aveva undici anni e lei aveva iniziato quel lavoro oltre confine che le imponeva un’ora di viaggio e il rientro a casa alle tre del mattino.

Quel maledetto lavoro, causa di tutti i suoi problemi.

Cristiano ora di anni ne aveva quattordici. Aveva un mazzo di chiavi tutto suo e tutte le sere che sua madre lavorava, lui era costretto a cenare da solo. Odiava la televisione, tutte stronzate, qualche programma furbo ma a ore assurde, lui la mattina si alzava presto e aveva mezz’ora di metro per arrivare a scuola.

Già. La scuola.

Un istituto tecnico dall’altra parte della città dove lui sperava di non conoscere nessuno, di essere lasciato in pace ma dove si era portato dietro, suo malgrado, un manipolo di cretini delle medie, che invece lo conoscevano e sapevano tante cose su di lui.

Che cosa faccio, le dico la verità? Chiedeva disperato verso la radio accesa, ma il conduttore lo aveva bellamente ignorato e aveva continuato a raccontare di quando Chet Baker era stato in Italia all’inizio della sua travagliata carriera e non considerava per niente il problema di Cristiano.

Stare da solo non gli pesava. C’era abituato e ascoltava musica, il jazz gli piaceva, metteva addosso una specie di malinconia che tanto bene s’intonava alla sua solitudine. Quel suono triste gli rendeva più leggera la sua di tristezza. Qualche volta studiava anche ma non quella sera. L’occhio faceva male e non aveva idea di come avrebbe affrontato la madre il giorno dopo.

Quando lei rientrò, come al solito a notte fonda, lui era ancora sveglio.

Aveva passato le ore a costruire discorsi immaginari e a fantasticare quanto storte sarebbero potute andare le cose.

Ma le cose non andarono storte.

Cristiano, cosa c’è che non va in te? Perché non puoi vivere in pace, fare le tue cose, studiare, essere un ragazzo allegro?

Cristiano non se la sentiva di confessare, dire alla madre che i compagni si burlavano di lui, che avevano sparso la voce, e ora tutta la scuola ne parlava, che sua madre lavorava in una casa d’appuntamenti poco distante dal confine, che forse era lei stessa una prostituta, viveva di notte e che addirittura qualcuno dei docenti era stato suo cliente. Cristiano aveva il suo daffare a cercare di ignorare le malelingue, le offese, gli insulti ma ogni tanto cedeva alle provocazioni e finiva in presidenza o nel bel mezzo di una rissa.

Il tuo lavoro… ma si era morso la lingua.

La madre che non era una stupida, cercò di abbracciare suo figlio ma Cristiano scappò a rintanarsi in camera.

La sera cenando, lei provò a parlargli, a rassicurare quel figlio ma lui non era più interessato. Quello che fai tu della tua vita non m’interessa, avrebbe voluto gridarle, a scuola ci vado io e devo starci io tra quelli! Ma non disse niente, perché è questo che fa un adolescente. Vive nel suo mondo circondato da fossati e da alti muri e non ha nessun piacere quando un adulto cerca di farvi ingresso.

Dopo cena, la madre entrò in camera. Cristiano ascoltava la radio, un pezzo di John Coltrane aleggiava nella stanza.

Ti ho portato un regalo dalla Svizzera.

Cristiano la guardò stupito. Tutto si sarebbe aspettato quella sera ma non un regalo.

Aprì la confezione e dentro c’era una tromba. Vera, luccicante, squillante.

 

Lui non sapeva come reagire.

Mi sono informata, c’è una scuola di musica qui vicino. Puoi cominciare quando vuoi, se ti va.

Ecco, che in un attimo tutto era stato portato via, spazzato da un vento potente come foglie da un viale. I compagni crudeli, gli insegnanti indifferenti, il preside severo, gli oltraggi, le risse e le offese.

Tutto.

Sua madre lo capiva certo molto meglio di quanto facesse lui stesso.

Sarebbe andato a iscriversi. Non chiedeva altro. La sua musica lo avrebbe seguito e accompagnato e non solo dalla radio.

Avrebbe reso tutto più dolce, forse malinconico ma dolce.

Toccò i tasti della tromba e dalle dita un calore gli si diffuse fino al cuore.

E senza che se ne accorgesse si lasciò abbracciare.

 

 

 




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