domenica 14 aprile 2024

Dante guarda le pozzanghere

 





Avete presente quelle persone che sono in grado di comprendere la personalità di un estraneo già a prima vista?

Dante non è una di queste.

Certo, anche lui ha le sue buone capacità. È in grado di percepire a pelle, quando qualcuno gli ispira simpatia, persino fiducia. O al contrario se qualcuno ha una pessima aura e quando entra in un luogo la temperatura si abbassa di una decina di gradi.

Il problema è che se uno gli ispira fiducia, lui poi questa fiducia la investe sul serio.

Da bambino questa caratteristica gli fece patire qualche pena.

All’età di sette anni prestò non si sa quante scatole di soldatini da collezione, al ragazzino dell’ultimo piano, si capisce, quando i bambini giocano assieme, si deve condividere il gioco, questo gli era stato insegnato.

Ma quando si accorse che, trascorse alcune settimane, i soldatini non facevano ritorno nella loro scatola sulla mensola, la cosa iniziò a dargli un certo fastidioso prurito.

Lui si fidava dell’amichetto dell’ultimo piano e decise di concedergli del tempo.

Solo che poi l’amico, assieme ai suoi genitori, aveva traslocato e dei soldatini era rimasto un vasto cimitero di croci che Dante aveva disegnato col pennarello sul plastico, come per giustificarne l’assenza agli altri commilitoni sopravvissuti. Passò una notte a piangere la perdita di quei preziosi elementi ma di più gli bruciava la fregatura patita dal vecchio compagno di giochi.

Anni dopo, in pieno caos adolescenziale, iniziò a frequentare Fabio, un controverso elemento, un tipo carismatico ed esuberante. Fabio era il giovane ripetente della terza C, si faceva già la barba da qualche tempo e andava forte con le ragazzine, fumava puzzolenti sigarette senza filtro e non aveva paura nemmeno del preside. Dante, come del resto tutti i suoi compagni, lo ammirava e gli invidiava certe caratteristiche. Lo spirito di emulazione gli era costato un furioso litigio con la madre e, peggio ancora, il divieto di partecipare alla gita scolastica.

Dante si era detto che non gli importava di quella gita di ragazzini, che anche Fabio non ci sarebbe andato, ma tutto questo somigliava all’uva acerba per la volpe.

Passò la gita e Dante ebbe il tempo per meditare. Gli passò per fortuna anche l’entusiasmo per Fabio il bullo, e non rimase che la tristezza per la sua scarsa capacità di capire le persone.

Capire chi si ha davanti non è facile, si diceva, ci vuole tempo e per rendere le cose difficili molti non sono davvero come si sforzano di apparire.

Nonostante questo barlume di maturità, Dante continuò a fidarsi delle persone che incontrava.

Della compagna di banco al liceo, di cui si era perdutamente innamorato e che lei ricambiava facendosi passare sottobanco le soluzioni di equazioni e le traduzioni dall’inglese.

Del suo amico che trascorreva i pomeriggi a casa sua divorando tutto ciò che trovava nel frigo.

Dell’insegnante di ginnastica che lo aveva incoraggiato a partecipare a durissimi allenamenti di atletica, con la promessa di portarlo alle gare nazionali, per poi leggere sul comunicato il nome di un altro.

Insomma Dante diventò adulto coltivando in sé un nodo di cinismo e disincanto che difficilmente si sarebbe sciolto.

Non ci si può fidare di nessuno, era diventato il suo mantra e questo lo aiutava a costruirsi una corazza di distacco e a non soffrire.

Un giorno, era uscito in pausa e si stava recando al solito bar per un tramezzino, non si accorse dell’auto che sopraggiungeva e che lo travolse, facendogli volare zaino e ombrello e lasciandolo sull’asfalto privo di coscienza.

Qualcuno chiamò un’ambulanza e lui si risvegliò il giorno dopo, con un gran mal di testa e una gamba ingessata.

Sua madre, che lo aveva vegliato, fu felice e gli spiegò quello che era successo.

Non erano stati in grado di ritrovare i suoi documenti ma nel bar sapevano chi fosse e dove lavorasse.

Sconosciuti erano stati vicini a sua madre e l’avevano tranquillizzata e sostenuta. I medici confermarono che Dante non era in pericolo e presto sarebbe stato dimesso.

Dante sopportava il dolore della frattura, meno quello per la scomparsa del suo zaino. Dentro c’era, oltre ai documenti, il PC portatile, da cui non si separava mai e qualcuno lo aveva rubato.

Le pozzanghere osservate dalla finestra della sua camera, avevano il colore del fango.

All’improvviso, un estraneo bussò alla porta e sporse la testa.

- Cerco Dante, il giovane investito qualche giorno fa.

- Chi è lei, cosa vuole?

Dante si rese conto della sua maleducazione, ma non riusciva a smettere di pensare a quelle pozzanghere di fango e a quando fosse brutta la vita.

- Scusi, mi hanno detto che l’avrei trovata qui. Le ho portato questo.

E dicendolo tirò fuori da una borsa il suo zaino, sporco e lacerato. Dentro i suoi documenti e soprattutto il suo portatile.

Dante non sapeva cosa dire.

L’estraneo continuò timidamente.

- Dopo il suo incidente è rimasto sul marciapiede e ho pensato di prenderlo per evitare che qualcuno lo rubasse. Poi non è stato facile capire dove consegnarlo, con questa mania della privacy… ma alla fine sono riuscito a sapere che era stato ricoverato e così eccomi qui.

Dante se ne rimaneva inebetito sulla sua sedia a rotelle, col gambone avvolto dal gesso. La prima impressione, vedendo quell’estraneo, con quei capelli legati da un elastico e la barba lunga e nera, non era stata positiva. Si rilassò e invitò l’uomo ad avvicinarsi alla finestra. Il tizio si avvicinò chiedendosi il perché.

- Le vede le pozzanghere?

- Sì, rispose l’uomo, Ha piovuto molto stamattina.

- Come le sembrano? Insistette Dante, che doveva sembrare un matto.

- Piene di acqua sporca. Rispose paziente l’uomo.

- Se guarda bene, oltre l’acqua sporca, vedrà altro.

Le pozzanghere riflettevano la luce di un cielo tornato sereno e, pensava Dante, non erano mai state così azzurre.

L’uomo si disse d’accordo. Non è prudente fermarsi a un primo sguardo, come a un giudizio affrettato. Sorrise e pensò che quel matto ingessato non fosse poi così male.

Dante capì in quel momento che anche su una pozzanghera di fango può specchiarsi un pezzo di cielo limpido.

E la vita non gli sembrò più così brutta.

 




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