sabato 11 aprile 2020

Il ragazzo al balcone













Sono quasi le quattro. 

Ero al cellulare, stavo per cambiare il mio stato, mi chiamo Giada, ho tredici anni e mi piacciono i gatti e i tramonti… troppo da bambina. Ma è tardi e lo farò dopo… 

Devo prepararmi, pettinarmi. Oggi sono un mostro, non ho fatto nemmeno il letto e non so che camicia indossare. Questi giorni, dovrei dire queste settimane, me ne resto in pigiama a guardare le lancette dell’orologio sulla parete. A volte sembra che vadano al contrario, quanto sono lente. 

Ma da qualche giorno, verso le quattro lui esce sul balcone e ci resta per dieci minuti a osservare le nuvole. 

A scuola non mi aveva mai nemmeno vista, sempre circondato dai suoi insulsi amici e dalle sciacquette della terza, ma ora la scuola non esiste più, è solo un pallido ricordo, ora c’è solo lui sul balcone. 

Ed io esattamente di fronte. 

Io abito al terzo piano, così lo guardo dall’alto perché lui sta al primo, i nostri condomini distano solo una ventina di metri, separati da due file di grigi box per auto. 

Se urlassi, mi sentirebbe ma pensate che figuraccia. 

Sono pronta, ho messo la camicia bianca con i fiorellini, i jeans quelli vecchi, tanto dal balcone non si vedono. Lui ha la tuta sportiva e un paio di pantaloncini da tennis, ecco… ha sollevato la testa e mi ha fatto un cenno. 

Lo saluto con la mano e lui mi risponde agitando la sua. Per un momento non lo vedo più, si è chinato a raccogliere qualcosa, si solleva e vedo che ha una racchetta in mano. 

Me la mostra come un trofeo, sorride. 

A scuola non mi aveva mai sorriso. Allora gli faccio segno di aspettare e scappo in casa. 

Mia madre mi guarda come guarderebbe uno appena scappato di manicomio, io la ignoro, corro in cameretta e cerco frenetica nello scatolone sotto il letto… eccola! La vecchia racchetta da tennis mai più usata da quando mio padre mi obbligò a prendere delle lezioni. Mi aveva trovata ingrassata e si lamentava con mia madre che non facessi sport, io lo avevo accontentato fingendo interesse, più per mantenere la fragile tregua tra due genitori separati e pronti a scatenare l’inferno per qualunque problema. 

In ogni modo ora ho la mia bella racchetta in mano e corro sul balcone col terrore che lui sia rientrato. 

Invece lui è lì che guarda il cielo, come fa sempre, immobile e bellissimo. 

Comincio ad agitarmi, faccio dei salti alzando la mano con la racchetta e lui percepisce il movimento perché ora mi guarda di nuovo. Poi simula il gesto della battuta e per poco non distrugge il vaso di gerani che gli sta dietro, sul davanzale. 

Io rispondo con un colpo diretto e lui ricambia col suo rovescio ma non mi faccio sorprendere perché con un gran colpo gli rimando indietro la pallina invisibile. 

Lui scarta di lato e guarda dietro mettendosi le mani sulla testa. Poi mi punta l’indice e mi fa capire che il punto è mio. Posa la racchetta e mi applaude sorridendo. Io non so come reagire, di sicuro sono arrossita ma dal suo balcone non lo può vedere. 

Ci voleva una quarantena per farmi giocare a tennis tra balconi col ragazzo più bello della scuola, mi dico, mentre lui soffia un bacio dalla mano e mi saluta rientrando in casa. 

Le giornate sono lunghe e vuote ma da quando ci vediamo dal balcone, non è più così terribile. Non abbiamo la possibilità di parlare ma non serve, non tra i palazzi. Ora vibra il cellulare, è lui che mi chiede l’amicizia, finalmente ha trovato il coraggio. 

Vorrei che le cose non cambiassero mai, vorrei restare confinata a casa e aspettare tutti i giorni il nostro breve appuntamento sul balcone e magari la buonanotte via messaggio. 

Ho paura che quando tornerà tutto nella norma e le scuole riapriranno, lui smetterà di salutarmi e di sorridermi, sarà circondato dai suoi amici e dalle sciacquette e ricomincerà a non vedermi. 

Ed io non voglio che tutto torni come prima. 

Voglio che tutto sia diverso. 

E voglio continuare a giocare a tennis virtuale col ragazzo che vive nel palazzo di fronte al mio. 














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