sabato 25 ottobre 2025

Stella rossa del mattino

 





Stella rossa del mattino, chi ti ha messo sul sentiero

A vegliare questo bimbo, fin da quando è messo al mondo

A proteggere e sostenere, che la vita è un mistero

Stella rossa a contemplare, il suo potere è profondo

 

Stella rossa, ma che diavolo è questa poesiola, da dove arriva ora?

Così pensa Quarto, immerso da qualche ora nel dormiveglia. Si è stufato di guardare il soffitto e all’improvviso gli sono balenati in mente da chissà dove, quegli sciocchi versi. Non ci pensa a lungo perché è sopraffatto da un sonno imperioso e sogni, pensieri e immagini reali si rincorrono e si confondono in un pazzo girotondo.

Forse, pensa in un effimero momento di veglia, era una filastrocca che mi cantava la mia mamma quando sono nato, immagina Quarto e sorride al buio, sono passati quasi novant’anni dalla sua nascita ed è sicuro di non poter essere in grado di ricordare nessun particolare di quel periodo remoto della sua vita.

Non ricordo nemmeno il volto di mia madre, pensa in uno sprazzo di lucidità e immensa amarezza Quarto, è questo non è giusto, davvero non è giusto.

Quante cose non sono giuste nella vita ma quelle che decidiamo noi sono una conseguenza delle nostre azioni, dei nostri errori e ne abbiamo la responsabilità. Altre cose non dipendono dalla volontà e sono ingiuste e basta.

Questo sa Quarto, anche sotto l’effetto dei farmaci.

Torna a sognare, di una presenza, una donna dal volto sfumato ma familiare che canta, canta una dolce melodia con voce aggraziata e delicata, Stella rossa del mattino…

Poi la donna tace e il suo volto subisce una metamorfosi, gli occhi diventano luminosi e azzurri, i capelli corti e biondi, quasi bianchi, la statura cresce e Quarto si sente felice perché anche questa persona gli è cara e la riconosce. Sua moglie che non ha mai dimenticato, sua moglie persa quindici anni fa che sembra ieri. Quarto sente una fitta al cuore, un dolore intimo che nemmeno la morfina endovena può sedare. Il dolore di un vuoto, di un arto amputato, di un buco nella sua anima. Mi manchi tanto, pensa mentre gli scorrono lacrime che continuerà a piangere anche dopo, nel sonno. Perché non ha mai smesso di piangere la scomparsa di sua moglie. Piange per gli anni che non hanno avuto ma anche per la vita che hanno trascorso, sa di averle regalato bei momenti e un amore sincero ma le ha anche gettato addosso giornate terribili, liti e notti insonni, un tradimento da lei perdonato ma mai dimenticato, e soprattutto silenzi. Dei silenzi si era pentito già prima che lei morisse, cercava sempre qualcosa da raccontarle, un accadimento, perfino le barzellette, faceva in modo di riempire il vuoto dei silenzi anche quando lei era stanca e avrebbe preferito riposare.

Era terrorizzato dal silenzio che sarebbe sopraggiunto alla sua morte e che ormai lo accompagnava da tanti, troppi anni.

Stella rossa del mattino, veglia e proteggi lei che non ho più, recita e si sente un vecchio stupido e deteriorato che non è nemmeno più in grado di pregare e forse non lo è mai stato.

Sulla soglia appare una giovane donna. Quarto sa che non può essere sua mamma e neppure sua moglie. Poi ricorda, è la giovane infermiera del turno di notte. Si avvicina per misurare e rilevare, valutare e riportare in cartella. È brava ma è giovane, troppo giovane, pensa Quarto. Chissà se ha già visto morire qualcuno, si chiede, mentre lei gli sfiora la mano e gli chiede perché non dorma.

Quarto le vorrebbe dichiarare la verità, che i fantasmi del suo passato sono giunti a tenergli compagnia e gli impediscono di addormentarsi ma preferisce non spaventarla, lei è davvero tanto giovane e presto dovrà assisterlo e sostenere i suoi ultimi respiri. Le dice di stare bene ed è vero, perché il letto è comodo e non avverte dolore. L’infermiera gli sorride e gli ricorda di suonare il campanello in caso abbia bisogno di lei. Poi si gira e scompare dalla porta come l’ennesimo fantasma della notte. Deve avere circa l’età di suo nipote, anzi potrebbero conoscersi e anche piacersi, perché no, se solo lui trovasse il tempo (avesse il coraggio) di andare a trovarlo. Pazienza, in fondo è un bravo ragazzo e la sua casa gli farà comodo, così ha deciso Quarto e l’ha già messo su carta a evitare ripensamenti.

La casa non gli serve più, questo è sicuro da quando è entrato in quel letto, anche se chiunque indossi un camice bianco non abbia mai fatto mancare la speranza di una cura, di una possibilità. Quarto sa che certe cose non si possono procrastinare e sarà anche un vecchio deteriorato ma non è stupido. Non gli importa, non può dire di non avere paura ma a questo punto la curiosità è più forte della paura.

Solo una cosa lo angustia, non ricordare il volto di sua mamma, quando era piccolo e lei gli cantava le canzoncine per farlo addormentare.

La notte sembra non avere fine e dal buio, a un certo punto, emerge una figura, una donna, avrà trenta anni, i lunghi capelli neri legati in una treccia puntata dietro la nuca, senza trucco a parte un filo di rossetto, sembra una diva del cinema muto, anni trenta.

Si avvicina e lui la vede, è molto bella e priva di rughe.

Lei gli sorride e inizia a cantare, con una voce bellissima, dolce e vellutata. Proprio come quella che sentiva da bambino.

Stella rossa del mattino, chi ti ha messo sul sentiero…

Quarto la riconosce e sorride.

E con quel sorriso, finalmente trova pace e si addormenta.

 



domenica 19 ottobre 2025

Olly esce in strada

 







Lei lo fissa negli occhi.

Ogni volta è un colpo al cuore.



I loro visi distano pochi centimetri e lei è capace di fissarlo senza imbarazzo, lo fa sempre e ogni volta, a lui sembra la prima volta.

In quegli occhi scuri e grandi, che gli fanno venire in mente un cerbiatto smarrito, Oliviero si è perso tante volte, dalla prima superiore.

E ora che si avvia verso la maturità, ne è completamente, pazzamente innamorato.

Olly è una bestia in matematica, se la cava appena con la fisica ma nelle materie letterarie non ha rivali. Gaia chiede sempre un suo parere quando c’è il tema in classe.

Olly, come lo chiamano a scuola, per un momento ha dimenticato cosa deve dire, prima di baciarla.

Poi si concentra e ritrova la parola.


“Tu sei la forza del mattino, ciò che mi permette di fare il primo passo, tu sei il coraggio del giorno, che doma la mia perenne paura, tu sei il fuoco che riscalda i miei inverni e sei la speranza della sera che socchiude le mie palpebre”.


È fiero Olly di riuscire a dire quelle parole, tenendo lo sguardo in quello di lei. E già sa quale sarà la risposta della giovane donna.


“Tu sei il cavaliere che mi porge gentile la mano, l’uomo che ho scelto per affrontare il mare quando è in tempesta, chi mi circonda di tenerezza e mi fa camminare su un tappeto di sogni”.


Olly sente un calore invadere la sua pancia, un calore piacevole. Lo avverte ogni volta che sente la voce di Gaia pronunciare quelle parole.

Poi fa quello che deve.

Appena lei socchiude gli occhi, si avvicina, chiude gli occhi a sua volta e poggia le labbra su quelle di lei.

Attorno è solo silenzio.

Fuoco e miele, sono le labbra di lei, velluto e petali di rosa. Alito caldo e fragrante come pane appena sfornato.

Il profumo del paradiso.

Un bacio casto che vale mille promesse, consola mille attese.



Poi una voce imperiosa pone fine al sogno e alla magia.



“STOP! Va bene così, Gaia perfetta, Olly meno nervoso se puoi, non siamo al Regio, è solo il teatro della scuola, perdinci! Gli altri ok, di più non si può pretendere. Ora tutti a casa a fare una doccia, puzzate come caproni, stasera si debutta”.

Il docente è stanco, lavorare fuori orario lo snerva ma a sorpresa, qualcosa di buono sta venendo fuori.



Il sipario si chiude, Gaia scappa di corsa, fuori dalla scuola c’è qualcuno che la aspetta.

Lui le afferra una mano, lei lo guarda interrogativa.

Sembra pronunciare una domanda che rimane inespressa.

Lui la fissa, cercando di parlare ma non riesce a emettere suono.

Allora Gaia lo saluta nervosa. Devo andare, ci vediamo stasera, poi si gira e corre via.

I compagni del laboratorio di teatro battono pacche sulle spalle di Olly, sei grande, gli dicono, stasera sarà un successo. Olly non se ne cura, piuttosto cerca di mettersi sulla scia di Gaia e le corre dietro.

Esce dal teatro, la porta sul retro è antipanico e sembra pesare dieci tonnellate.



Esce in strada.

Vede la scena che temeva.

Gaia s’infila un casco integrale che le ha porto il suo “ragazzo”.

Olly ha un brivido di repulsione.

L’altro è diversi anni più adulto. Una montagna di muscoli.

Guida una moto che peserà trecento chili. Ha portato un casco per lei, che Gaia ha indossato.

Poi li vede discutere.

Lei toglie il casco, poi lo indossa di nuovo.

Lui mette in moto, lei sale sul sellino e si volta.

Mentre l’energumeno dà gas facendo un rumore d’inferno lei si gira. E lo guarda.



Sta fissando me, pensa Oliviero, sta guardando me.



Gaia lo osserva intensamente, prima che il ragazzo faccia sgommare la moto in un trionfo di rumore, puzzo di benzina e gomma bruciata.



Olly pensa: Non sa che la sta perdendo.

Ripensa agli occhi di lei, al sapore delle sue labbra, al suo sguardo.

L’ha già persa.

E rientra in teatro.










sabato 11 ottobre 2025

Il mondo di Pedro

 






Il cielo è terso e nero.

Il vento degli ultimi giorni ha spazzato nuvole e smog. Anche se smog, qui in quota mille non ce n’è molto per fortuna.

Lo respirino i cittadini, pensò distratto Pedro, mentre guardava le stelle.

Il cielo di notte è bellissimo. 

Poi fece il gioco che ripeteva fin da quando era un bambino. Socchiuse un occhio e col pollice alzato nascose una stella, poi un'altra e un'altra ancora. Come se potesse, solo alzando un dito, cancellare, schiacciare una massa incandescente di idrogeno e elio in continua reazione, decine o centinaia di volte più grande del sole. Per poi farla riapparire solo spostando il dito.

Pedro lo sapeva che è un pensiero puerile ma quel gioco gli aveva sempre dato l’illusione di avere il potere di un demiurgo.

La temperatura è vicina allo zero e lui indossa solo una felpa ma non ha voglia di entrare. Mille volte preferisce stare sotto quel cielo, osservare i corpi celesti, luminosi, chiedersi come colmare la distanza da essi e sentire di farne parte.

Pedro in realtà si chiama Pietrantonio, come suo nonno, per quell’usanza di perpetuare il nome degli avi come a garantire loro una sorta d’immortalità, ma lui suo nonno non lo aveva mai nemmeno conosciuto. A quindici anni, durante una gita in Spagna, durante la quale i suoi compagni di classe si erano distrutti di canne, qualcuno gli aveva affibbiato quel nome e a lui era piaciuto.

A quindici anni avevo un sacco di amici, pensò con amarezza, oggi ho le stelle da guardare, da contare.

Era stata una sua scelta. Non si pentiva di averla fatta, vivere isolato, lontano dal rumore e dal traffico, dalle offerte speciali, dai venditori e da quelli, i peggiori, che volevano esserti amici ma si nutrivano delle tue energie.

Io le energie, le consumo scalando. Pedro amava arrampicarsi in solitaria, conosceva quelle pareti come la cucina di casa sua.

Non gli mancava niente, soprattutto sotto quel cielo.

Si era fatto tardi, si sfregò gli occhi stanchi e asciugò distratto una lacrima che gli solleticava, scorrendo sullo zigomo. È il freddo, si disse.

Ma il pensiero conseguente era stato, sono più dolorose le lacrime che versiamo noi stessi o quelle che abbiamo fatto versare ad altri?

Pedro non aveva voglia di iniziare con le elucubrazioni che non lo avrebbero portato da nessuna parte e lo avrebbero costretto all’ennesima notte insonne. Non ne aveva per niente voglia, ma era troppo tardi.

Aveva fatto bene a ritirarsi in quella casa ai piedi della montagna, lasciandosi tutto il suo mondo, le persone care, la sua vita passata alle spalle?

Forse sì, forse no, era la risposta che si dava sempre ed era come contare le stelle, sapeva che non sarebbe andato da nessuna parte.

Forse era il momento di trovare un compromesso, il tempo passava e stava diventando vecchio. Non era preoccupato per lui, accettava il fatto di terminare i suoi giorni, solo, nella sua baita, senza che questo fatto gli provocasse il minimo disagio ma iniziava a pensare alle altre persone.

La sua ex moglie, che si preoccupava per la sua salute e non mancava di scrivergli anche ora che Pedro aveva smesso di usare il telefono. Suo figlio che era salito fin lassù per dirgli che la compagna aspettava un bambino e lui non aveva saputo mostrarsi emozionato e l’unica cosa che era riuscito a sussurrare era stato: cerca di essere un buon padre.

Il sottinteso era chiaro, non essere come me, e il ragazzo doveva avere capito, non si era fatto più vedere, a pensarci a quest’ora il bambino doveva essere nato da un pezzo.

Fu scosso da un brivido, faceva freddo e le stelle erano più vivide che mai.

Non posso far scomparire le persone passando sopra il pollice, come faccio con le stelle.

Le persone tornano, se non fisicamente, almeno nei pensieri e nello spirito e lasciano il segno. Spingono, stuzzicano, pungono, fanno male.

Pedro capiva che non avrebbe potuto continuare così, aveva coperto di nuvole il suo cielo ma le stelle continuavano a esserci e ogni tanto si facevano vedere.

Prima di rientrare decise.

Sarebbe sceso in paese e avrebbe iniziato a comprare un cellulare nuovo in cui inserire la vecchia scheda. Lì cerano salvati i numeri dei suoi contatti. Suo figlio avrebbe risposto o forse no, ma non poteva saperlo ed era deciso a provarci.

Rientrò in casa, era mezzo congelato.

Si aspettava di non riuscire a dormire ma l’insonnia non mise piede nella sua camera.

Dormì bene.

Le stelle vegliarono su di lui.