La sala polifunzionale della
biblioteca è uguale a tutte quelle viste in precedenza.
È un’area rettangolare.
Su un lato corto l’ingresso da un’ampia vetrata, su quello opposto lo spazio
per un piccolo palco rialzato in caso di rappresentazioni teatrali, oppure per
un tavolino con due o tre sedie in caso di una chiacchierata, come stasera.
All’angolo un paio di
microfoni e il leggio per le letture.
Circa dieci file di
poltroncine, quattro posti per lato con un passaggio centrale.
Questa sera i posti a
sedere sono tutti occupati e c’è gente al fondo che resta in piedi. Succede
quando chi presenta un libro, fa parte della comunità locale ed è conosciuto
oppure se è molto celebre, ma non è sempre detto.
Il terrore di chi organizza
presentazioni è di vedere la sala tristemente semivuota tanto che ho sentito dire
che, per evitare fiaschi, molte associazioni sono “precettate” pur di fare
numero ed evitare imbarazzi.
Non è il caso di
stasera.
Ci sono partecipazione,
curiosità ma si sente odore di vero interesse, profumo di affetto. La gente
sorride, si sente a proprio agio e anche queste condizioni non è detto che
siano abituali alla presentazione di un libro. Anzi.
Ascolto le letture,
trasformate dalla sapiente arte teatrale di chi legge in puro spettacolo, ma di
là dell’intrattenimento apprezzo la qualità del testo che c’è dietro.
Lo so già che l’autore
è bravo, ho acquistato il libro all’ingresso perché odio le code, inoltre
volevo leggere la quarta di copertina prima che tutto cominciasse.
Ascolto domande poste
con arguta cortesia e risposte che mi toccano il cuore.
L’argomento non mi
lascia indifferente, si parla di persone che hanno lasciato la propria terra
per cercare un nuovo lavoro, una nuova vita in una regione sconosciuta e si
finisce inevitabilmente a discutere dei flussi migratori che in ogni tempo
hanno interessato il genere umano.
La serata evoca in me
un ricordo.
Per anni ho vissuto uno
strano stato conflittuale che mi vedeva figlio di meridionali a casa mia e
turista Torinese quando d’estate si passavano le vacanze al paese dei nonni,
con i cugini che si stupivano perché non si era capaci di parlare in dialetto.
Come essere né carne né
pesce.
Risolto il conflitto,
rimase una sorta di leggera malinconia per una terra che non si è persa perché non
è mai stata veramente mia.
Ma sto divagando.
Ciò che volevo dire, e
che non sono riuscito a dire in questa sala forse per timidezza o perché si è fatto tardi, riguarda l’autore.
Ha raccontato di avere
incontrato, in occasione di un Salone del Libro, un vero Scrittore, di quelli
con la esse maiuscola.
Avrei voluto alzare la
mano e dissentire. Anche Quell’autore, certamente bravo e famoso, ha a sua
volta incontrato un vero Scrittore, perché questo è ciò che fai e ciò che sei.
Ecco, ora mi rivolgo
direttamente all’autore del libro.
Hai dichiarato di avere
utilizzato come materiale, i racconti di tanti vecchi perché non fossero
dimenticati, per dare loro una voce e questo ti fa onore. Nonostante i fili
bianchi della barba, la luce negli occhi e la voce sono di un ragazzino curioso
e attento, che non ha perso la capacità di scrivere un sogno e non ha nessuna
intenzione di smettere.
Altro punto.
Hai giustamente detto
che col tuo libro non vuoi salvare il mondo.
Certo. È comprensibile.
Nessuno può salvare il
mondo con un libro.
Io sono convinto però
che i libri siano letti (e scritti) al contrario, per salvare noi stessi.
E sono sicuro che nelle
tue pagine, oltre all’intrattenimento, troverò un po’ della mia salvezza.
Torno a casa, con un
nuovo libro sottobraccio e mi sento bene.
Le presentazioni,
quelle belle, mi sento di consigliare a tutti.
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