sabato 4 febbraio 2023

La ragazza nella valigia

 





“Tu mi fai girar, tu mi fai girar

Come fossi una bambola

Poi mi butti giù, poi mi butti giù

Come fossi una bambola…”

 

Dalla radio, la voce di Patty Pravo le dà una spinta e la riporta indietro di quasi trent’anni, facendole provare un’intensa vertigine.

Da tanto non ripensava più alla sua infanzia. Non che avesse dimenticato, piuttosto ora aveva altro da fare. La mano passa con una carezza, sulla curva della sua pancia da gestante, come per proteggere la vita che cresce dentro.

Si accorge che sta sorridendo. Quella canzone. Ricorda che i suoi la suonavano sempre, sua sorella cantava e accompagnava con la chitarra elettrica, suo padre alla batteria e la ripetevano mille volte finché non era uguale all’originale. Le era venuta a noia ma oggi la ascolta con un piacere misto a malinconia.

Mio padre mi chiudeva in una valigia.

Detta così, fuori contesto, è una frase orribile, lo so. Pensa Dafne con tenerezza.

Ero una bimba che amava giocare e per me quello era un gioco, fare la contorsionista non era complicato per una bambina di otto anni, tanto magra quanto snodata. In più amavo esibirmi e quando lo scarno pubblico applaudiva, stupefatto, vedendomi comparire in quella valigia microscopica, tutta piegata su me stessa come un minuscolo origami umano, per dispiegarmi e lenta mettermi in piedi a inscenare un acerbo inchino, sorridevo felice.

Dafne si guarda allo specchio, decide che deve comprare un vestito più largo, ora nel sesto mese, niente le va più, tantomeno i suoi jeans strettissimi, abbandonati, per il momento, in fondo all’armadio. I ricordi rievocati dalla canzone si trascinano, legati uno all’altro, come anelli di una catena. Quante classi cambiate ogni mese, scuole diverse, bambine che la prendevano in giro per il suo nome inusuale, maschietti che s’innamoravano e cercavano di toccarle i lunghissimi capelli dorati, insegnanti che, con poca pazienza, le riempivano il diario di compiti, sottovalutando la sua intelligenza. Compiti che lei non avrebbe fatto, perché lei lavorava, si esibiva nello spettacolo con i genitori e le prove erano molto più importanti che non lo scrivere dei pensierini sul quaderno a righe o di qualche esercizio con moltiplicazioni e divisioni su quello a quadretti.

Suo padre era discendente di un’importante famiglia circense e sapeva fare tutto. Suonava almeno quattro strumenti, faceva roteare tre clave infuocate, e al pensiero le torna nel naso il forte odore della nafta che lui usava. Sapeva fare la verticale reggendosi sugli anelli, e come la sgridava quando lei si aggrappava a quegli anelli, facendo il verso di uno scimpanzé, perché quello era uno strumento di lavoro e il lavoro andava rispettato.

Dafne non smette di sorridere anche se i suoi occhi sono diventati umidi.

Le piaceva quella vita, cambiare città ogni due settimane, dormire nel rimorchio del camion, possedere tutte le sue cose in un baule, quaderni, bambole, vestiti, ci sarebbe stata lei stessa in quel baule e meno stretta che nella valigia, perché bisognava viaggiare leggeri e suo padre le aveva insegnato che nella vita non contavano gli oggetti che si possedevano ma gli applausi che si raccoglievano.

Poi, negli anni, gli applausi si erano via via ridotti, il pubblico era diminuito, fino a sparire quasi, la gente era distratta da altri tipi di spettacolo, non sempre di qualità, offerto dal piccolo e grande schermo e dopo da internet e il loro mestiere, la loro arte era scomparsa.

Dafne non lo riteneva un male, aveva capito che le cose cambiano, non sono mai le stesse, e continuare a guardarsi dietro, come facevano i suoi, l’avrebbe condotta alla rovina. Da tanti anni non entrava più nella valigia e anche la sua famiglia ad un certo punto era diventata una valigia troppo piccola perché la contenesse, per questo motivo li aveva dovuti lasciare, era andata via dalla sera alla mattina e si era costruita la sua vita, non sempre priva di errori, certo, ma chi non sbaglia mai?

Dafne si guarda la pancia, con fiducia e paura e si chiede se mai un giorno la sua famiglia vorrà perdonare i suoi errori, se accetteranno di incontrarla e conoscere la nuova vita che lei sarà stata capace di creare.

 

Il suo ragazzo la chiama dalla cucina, la colazione è pronta.

La radio trasmette la pubblicità. Dafne sente ancora risuonare la canzone nella sua testa.

 

“Tu mi fai girar, tu mi fai girar

Come fossi una bambola

Poi mi butti giù, poi mi butti giù

Come fossi una bambola

Non ti accorgi quando piango

Quando sono triste e stanca, tu pensi solo per te…”

 

 





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