sabato 28 gennaio 2023

La lacrima di Cate

 






Una lacrima scivola calda e salata, percorrendo la dolce curva dello zigomo e piegando improvvisa verso il vertice delle labbra.

Cate si guarda allo specchio, non vorrebbe piangere ma il rubinetto si è aperto da solo.

Meno di mezz’ora e il suo turno sarebbe terminato ma il collega di reparto, visto l’accaduto, è sceso prima a darle il cambio in guardia.

Cate asciuga le lacrime e poi soffia forte il naso.

Sulla guancia appena un segno rosso, domani non si vedrà nulla. Sull’anima il segno si sentirà per molto più tempo. È dentro che sente il bruciore più intenso.

Aveva percepito l’ostilità dell’uomo, si era accorta subito di essere in pericolo, infatti, aveva lasciato la porta spalancata e questo l’aveva salvata da danni maggiori. Ai primi rumori sospetti, il raschiare della sedia che cadeva, la voce e il tono dell’utente, Duilio, una guardia armata sveglia e grossa, era accorso e tutto si era risolto immediatamente, sgonfiato come un palloncino bucato, accartocciato come una foglia secca gettata nel fuoco.

L’uomo si era fatto piccolo di fronte al metro e novanta di Duilio, poi era scomparso attraverso la porta. La guardia non aveva perso tempo e lo aveva fermato in portineria.

-Tu non vai da nessuna parte. Poi aveva chiamato il pronto intervento.

Cate, o meglio la dottoressa Caterina Rossini, medico specializzando, era rimasta attonita nello studio, con la mano a coprire il segno dello schiaffo ricevuto, come fosse una cosa vergognosa da mostrare, nemmeno fosse stata colpa sua.

Tutto per una ricetta di farmaci che lei non era autorizzata a rilasciare, tutto per l’arrogante e ignorante supponenza del cafone che si era trovata davanti.

Non voleva piangere, mostrarsi debole ma ora sembrava non poter controllare la reazione del suo corpo. Aveva chiamato il collega medico in reparto, questi le aveva controllato la ferita, poi era scesa negli spogliatoi a darsi una rinfrescata.

Non sentiva dolore e anche ora, che si guarda allo specchio, capisce che il danno è minimo ma il collega e Duilio l’avrebbero convinta a sporgere denuncia.

Quello che le fa male ora sono le parole che l’uomo le ha rivolto dopo averla schiaffeggiata.

-Se non mi scrivi quella ricetta ti vengo a trovare a casa, so chi sei lesbica di merda!

Mentre un'altra lacrima scende, seguendo il percorso bagnato delle prime, ripensa all’università, alle notti insonni a bere caffè a litri, agli esami impossibili da passare davanti ai vetusti baroni, ai sacrifici economici quando la borsa di studio non copriva le spese, e tutto questo per arrivare qua, turni di dodici ore notturne, in balia del primo idiota pronto a minacciare e a passare alle vie di fatto.

Cate sentiva la rabbia montare dentro e quelle parole “lesbica di merda” bruciare come se fossero state marchiate a fuoco sulla sua pelle.

Che cosa importava agli altri come lei aveva scelto di vivere? Come si era permesso quello, che credeva uno sconosciuto, di fare quell’intrusione nella sua sfera privata, di esprimere in quel modo banale e orribile il suo orientamento sessuale?

Lesbica di merda.

Come avrebbe potuto raccontare a Patrizia, la sua compagna, senza che questa avrebbe preteso di sapere nome e cognome di quell’essere meschino?

Il loro rapporto era basato sulla completa sincerità e Cate non voleva comprometterlo. Ma aveva anche paura della reazione della compagna.

Patrizia era istruttrice di Tai Boxe e una volta, in un bar, aveva appiccicato al muro un tizio, solo perché si era permesso una battuta fuori luogo. Questa volta Patrizia non avrebbe fatto passare liscia l’aggressione, sapendo che dopo la denuncia non sarebbe accaduto nulla.

Cate si lava la faccia e si aggiusta la coda scompigliata di capelli. Torna su, ora saranno arrivati gli agenti e vorranno chiederle com’è andata. Faranno il verbale e tutto si chiuderà.

Ma niente si chiuderà per lei, né il ricordo dello schiaffo, né le parole dell’uomo.

Sarebbe tornata a casa con il cuore gonfio di sentimenti nuovi e dolorosi, sarebbe tornata a coprire i turni in guardia medica con la certezza che prima o poi si sarebbe ripetuto un incidente simile, con lo stesso uomo o con un altro, il mondo era pieno di questi vermi su due piedi.

E lei? Come doveva considerarsi?

Non abbastanza grave da essere una vittima, non abbastanza medico da imporre la propria decisione, non abbastanza donna da avere un marito… come la vedeva il mondo?

Cate, finito tutto, mette il cappotto e si affretta verso casa.

Non le importa di come la vede il mondo e questo pensiero le dona una forza fresca nelle gambe. Non le interessa di com’è stata chiamata da quell’uomo.

È un problema degli altri non riuscire a capire e ad accettare il prossimo, non suo.

Vuole solo tornare a casa dal suo amore.

Vuole solo farsi abbracciare addormentarsi e dimenticare lo schifo che c’è nel mondo.

Fare una doccia bollente e togliersi il fango che abbonda nelle vite degli altri e che a volte, malauguratamente, questi ti schizzano sulle gambe.

Cate osserva il sole che spunta e avverte che il bruciore di quelle lettere sta velocemente scomparendo.

Lei ora è solo Cate e a casa c’è una donna che la ama così com’è.





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