sabato 8 gennaio 2022

La musica nelle dita

 





Com’era?

Il dito indice sulla quarta corda, il medio sulla terza, l’anulare sulla seconda del secondo capotasto?

Ti faccio vedere! Rispondeva Mimmo, serio, afferrandomi le falangi con forza e costringendomi a premere i polpastrelli morbidi contro le corde di metallo della chitarra acustica che mi aveva prestato.

Ma così mi fai male, ahia, mi stanno sanguinando le dita.

Provavo a lamentarmi ma Mimmo era un maestro severissimo.

Tieni duro, questo è il “LA” senti?

Passare il plettro sulle corde produceva un suono stridente, che somigliava vagamente a un richiamo per anatre, niente a che vedere con il suono armonico che l’amico chitarrista aveva eseguito poco prima come esempio.

Non ci riuscirò mai, pensavo. Poi la sera a casa, con la mia chitarra da scuola e le sue morbide corde in nylon, m’intestardivo e alla sessantesima prova fui convinto di saper riprodurre un suono decente.

Quanto lavoro per un la… figurarsi per un brano completo! Come farò a conquistare Adele, mi chiedevo, se non riesco nemmeno a suonare un La? E io che le avevo promesso di dedicarle una canzone…

Adele aveva tredici anni, un vestito leggero a fiori, e tutta la vita davanti, certo, ma non mi avrebbe aspettato tutta la vita. Non m’importava. A me sarebbe bastato solo un istante.

Il bacio che mi aveva promesso.

“Ti dedicherò una canzone”. Era stata l’imprudente promessa, un azzardo che mi ero lasciato sfuggire, quando lei mi aveva visto con la chitarra sulla tracolla, aveva sorriso e si era portata le mani sul viso, pudica e tenera, in un gesto che da solo mi aveva fatto innamorare. Lei si era avvicinata alla mia guancia e mi aveva schioccato un bacino leggero e casto. Le sue labbra erano petali e la sua pelle profumava di primavera. Poi aveva risposto seria: Se lo farai, allora ti darò un bacio vero.

Fu quello il preciso momento in cui smisi di capire il mondo. Le ore in classe passavano lente, l’unica consolazione era il viso sorridente di Adele che solo io riuscivo a vedere proiettato sulla lavagna. Un professore mi dovette chiamare più volte, per farmi uscire dalla trance, scatenando le grasse risate della classe. Poveri ingenui, ridevano di me perché non conoscevano l’amore.

Presi da parte Mimmo, gli dissi che doveva insegnarmi a suonare una canzone. Lui mi rispose subito: Sei scemo? Non sai nemmeno come si tiene, la chitarra! Ma io avevo bisogno di lui e non lo lasciai in pace finché non si arrese e mi propose La canzone del sole!

Cosa? Ma nemmeno mi piace… io sognavo di suonare pezzi folk, di cantautori maledetti, magari con un mozzicone di sigaro in bocca, e ora Mimmo mi suggeriva di mettere una margherita tra le labbra e con la mia voce stridula, imitare Battisti…

Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi

Le tue calzette rosse

E l'innocenza sulle gote tue

Due arance ancor più rosse…

No, non avrei cantato quei versi sdolcinati, dopotutto Adele non aveva le trecce e nemmeno gli occhi azzurri. Provai a resistere ma l’amico fu inflessibile. Tu hai le mani come due zappe, non posso insegnarti altro in poco tempo, questa è semplice, ha solo tre accordi, anche un impedito come te potrebbe impararla… forse.

Quel forse mi sfidò e mi spinse ad accettare, quello e il pensiero della promessa di Adele, il sogno di un suo bacio, di quelle labbra morbide sulle mie, l’odore buono, come di pane appena sfornato, che la avvolgeva ovunque andasse. Accettai, dissi di sì e Mimmo si mise le mani nei capelli.

Insomma, alla soglia dei quattordici anni di notte sognavo Jimmy Page e David Gilmour, Jimi Hendrix e B.B. King, Eric Clapton e Mark Knopfler e di giorno provavo fino allo sfinimento i tre accordi ripetuti la, mi, re, mi, che mi avrebbero permesso di suonare La canzone del sole e sognavo Adele, le sue efelidi e le sue labbra vellutate. Suonavo, se si può utilizzare questo verbo, chiuso nella mia stanza, circondato dai poster dei mostri sacri della musica, immaginando che anche loro dovevano avere iniziato storpiando accordi e torturando le orecchie delle proprie famiglie.

Mi esercitavo durante i bui e noiosi pomeriggi di un inverno alla fine, fu un periodo difficile, mio fratello maggiore mi dileggiava e mi scoraggiavo facilmente ma vedere Adele nei corridoi, che mi sorrideva da lontano e portava la sua mano sulla bocca, mi spronava a continuare. Mimmo arrivava, trascinando la sua pesante chitarra e obbligandomi a lunghe e dolorose sessioni e fu così che dopo poche settimane fui in grado di riprodurre il brano, che lui suonava con facilità assoluta, in una versione abbastanza accettabile. Giunse perfino ad ammettere: Le tue zappe hanno iniziato a muoversi come si deve e hai anche un insospettato senso del ritmo, forse puoi farcela! Nonostante avesse ripetuto quel forse, il giudizio di Mimmo provocò un tuffo al cuore, sentivo che le labbra di Adele si stavano avvicinando alle mie.

Un ostacolo imprevisto le fece allontanare, non riuscivo a imparare il testo. Lo trovavo stucchevole e banale, ma dopo tutta la fatica fatta per imparare gli accordi non era il momento di fare gli schizzinosi, e poi la canzone era bella e forse sarebbe piaciuta ad Adele.

Adele. Adele. Adele. Adele del mio cuore.

Qualunque cosa, farò qualunque cosa, dissi a Mimmo, che sopportava stoicamente le debolezze dell’amico col cuore rapito. Un foglietto, mi propose, con le parole scritte, incerottato sul legno della chitarra, era la soluzione. Non preoccuparti, lo fanno anche i grandi, mi rassicurò Mimmo ed io gli credetti.

Tutto era pronto, prima delle vacanze di primavera, portai a scuola la chitarra. Ero eccitato, il cuore mi pulsava veloce tanto da farmi male. Avrei suonato nel corridoio della scuola, davanti a tutti, se non era una prova di coraggio quella… La cercai alla prima ora, poi all’intervallo. Osai affacciarmi alla sua classe ignorando i risolini delle compagne.

Ma Adele non c’era.

Venni a sapere che i suoi avevano divorziato e lei aveva seguito la madre in un'altra città. La mia Adele non era più lì, la ragazzina che aveva promesso di darmi un bacio. Per qualche tempo ebbi la morte nel cuore, nemmeno Mimmo si avvicinava per parlare.

In un impeto di rabbia tagliai le corde della chitarra e la nascosi in fondo all’armadio. Il mondo andava avanti ma io mi ero fermato. Avrei voluto annegare nelle mie lacrime.

Un giorno, prima delle vacanze estive, Mimmo venne vicino con un’espressione furbetta e mi porse un pacchetto di carta, dicendo: Regalino! Oggi vengo da te e le montiamo, vediamo che cosa ricordi. Si allontanò sorridendo. Aprii il sacchetto e vidi cosa c’era dentro. Corde metalliche da chitarra classica. Il mio amico faceva sul serio. Venne a casa mia, rimise a posto la chitarra e la accordò. Non suonava male. Poi me la porse. Io sapevo suonare solo una canzone e feci quella. Sì, condivisi, non suonava male. Capii che era il momento di ripartire e provare a raggiungere il mondo che non ne voleva sapere di fermarsi. Imparai altri accordi, molte altre canzoni, alcune in inglese, imparai a cantare mentre suonavo. La cosa si fece interessante mi diede piacere e anestetizzava il mio dolore e durante gli anni del liceo feci parte di numerose band, tutte con molti sogni e poche certezze ma ci divertivamo. Poi mi diedi all’ingegneria informatica e la chitarra venne richiusa nell’armadio. Questa volta senza tagliare le corde!

E’ curioso, a quattordici anni, ogni volta che vedevo Adele, mi tornava in mente che dovevo imparare La canzone del sole, poi per anni ogni volta che davano quel brano alla radio, mi tornava alla mente Adele, il suo viso, il suo profumo. Il dolore per quel bacio mancato che non ricevetti mai. Chissà se la mia vita sarebbe stata diversa.

Non lo so e non importa, quel bacio non lo aspetto più da decenni, ma quella promessa è stata un bene, mi ha regalato la musica.

E quella l’ho ancora nelle dita.

 

 

 

 

 




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