Com’era?
Il
dito indice sulla quarta corda, il medio sulla terza, l’anulare sulla seconda del secondo capotasto?
Ti
faccio vedere! Rispondeva Mimmo, serio, afferrandomi le falangi con forza e
costringendomi a premere i polpastrelli morbidi contro le corde di metallo
della chitarra acustica che mi aveva prestato.
Ma
così mi fai male, ahia, mi stanno sanguinando le dita.
Provavo
a lamentarmi ma Mimmo era un maestro severissimo.
Tieni
duro, questo è il “LA” senti?
Passare
il plettro sulle corde produceva un suono stridente, che somigliava vagamente a
un richiamo per anatre, niente a che vedere con il suono armonico che l’amico
chitarrista aveva eseguito poco prima come esempio.
Non
ci riuscirò mai, pensavo. Poi la sera a casa, con la mia chitarra da scuola e
le sue morbide corde in nylon, m’intestardivo e alla sessantesima prova fui
convinto di saper riprodurre un suono decente.
Quanto
lavoro per un la… figurarsi per un brano completo! Come farò a conquistare
Adele, mi chiedevo, se non riesco nemmeno a suonare un La? E io che le avevo
promesso di dedicarle una canzone…
Adele
aveva tredici anni, un vestito leggero a fiori, e tutta la vita davanti, certo,
ma non mi avrebbe aspettato tutta la vita. Non m’importava. A me sarebbe
bastato solo un istante.
Il
bacio che mi aveva promesso.
“Ti
dedicherò una canzone”. Era stata l’imprudente promessa, un azzardo che mi ero
lasciato sfuggire, quando lei mi aveva visto con la chitarra sulla tracolla,
aveva sorriso e si era portata le mani sul viso, pudica e tenera, in un gesto
che da solo mi aveva fatto innamorare. Lei si era avvicinata alla mia guancia e
mi aveva schioccato un bacino leggero e casto. Le sue labbra erano petali e la
sua pelle profumava di primavera. Poi aveva risposto seria: Se lo farai, allora
ti darò un bacio vero.
Fu
quello il preciso momento in cui smisi di capire il mondo. Le ore in classe
passavano lente, l’unica consolazione era il viso sorridente di Adele che solo
io riuscivo a vedere proiettato sulla lavagna. Un professore mi dovette
chiamare più volte, per farmi uscire dalla trance, scatenando le grasse risate
della classe. Poveri ingenui, ridevano di me perché non conoscevano l’amore.
Presi
da parte Mimmo, gli dissi che doveva insegnarmi a suonare una canzone. Lui mi
rispose subito: Sei scemo? Non sai nemmeno come si tiene, la chitarra! Ma io
avevo bisogno di lui e non lo lasciai in pace finché non si arrese e mi propose
La canzone del sole!
Cosa?
Ma nemmeno mi piace… io sognavo di suonare pezzi folk, di cantautori maledetti,
magari con un mozzicone di sigaro in bocca, e ora Mimmo mi suggeriva di mettere
una margherita tra le labbra e con la mia voce stridula, imitare Battisti…
Le bionde trecce,
gli occhi azzurri e poi
Le tue calzette
rosse
E l'innocenza sulle
gote tue
Due arance ancor
più rosse…
No,
non avrei cantato quei versi sdolcinati, dopotutto Adele non aveva le trecce e
nemmeno gli occhi azzurri. Provai a resistere ma l’amico fu inflessibile. Tu
hai le mani come due zappe, non posso insegnarti altro in poco tempo, questa è
semplice, ha solo tre accordi, anche un impedito come te potrebbe impararla…
forse.
Quel
forse mi sfidò e mi spinse ad
accettare, quello e il pensiero della promessa di Adele, il sogno di un suo
bacio, di quelle labbra morbide sulle mie, l’odore buono, come di pane appena sfornato,
che la avvolgeva ovunque andasse. Accettai, dissi di sì e Mimmo si mise le mani
nei capelli.
Insomma,
alla soglia dei quattordici anni di notte sognavo Jimmy Page e David Gilmour, Jimi
Hendrix e B.B. King, Eric Clapton e Mark Knopfler e di giorno provavo fino allo
sfinimento i tre accordi ripetuti la, mi,
re, mi, che mi avrebbero permesso di suonare La canzone del sole e sognavo Adele, le sue efelidi e le sue labbra
vellutate. Suonavo, se si può utilizzare questo verbo, chiuso nella mia stanza,
circondato dai poster dei mostri sacri della musica, immaginando che anche loro
dovevano avere iniziato storpiando accordi e torturando le orecchie delle
proprie famiglie.
Mi
esercitavo durante i bui e noiosi pomeriggi di un inverno alla fine, fu un
periodo difficile, mio fratello maggiore mi dileggiava e mi scoraggiavo
facilmente ma vedere Adele nei corridoi, che mi sorrideva da lontano e portava
la sua mano sulla bocca, mi spronava a continuare. Mimmo arrivava, trascinando
la sua pesante chitarra e obbligandomi a lunghe e dolorose sessioni e fu così
che dopo poche settimane fui in grado di riprodurre il brano, che lui suonava
con facilità assoluta, in una versione abbastanza accettabile. Giunse perfino
ad ammettere: Le tue zappe hanno iniziato a muoversi come si deve e hai anche
un insospettato senso del ritmo, forse puoi farcela! Nonostante avesse ripetuto
quel forse, il giudizio di Mimmo
provocò un tuffo al cuore, sentivo che le labbra di Adele si stavano
avvicinando alle mie.
Un
ostacolo imprevisto le fece allontanare, non riuscivo a imparare il testo. Lo
trovavo stucchevole e banale, ma dopo tutta la fatica fatta per imparare gli
accordi non era il momento di fare gli schizzinosi, e poi la canzone era bella
e forse sarebbe piaciuta ad Adele.
Adele.
Adele. Adele. Adele del mio cuore.
Qualunque
cosa, farò qualunque cosa, dissi a Mimmo, che sopportava stoicamente le
debolezze dell’amico col cuore rapito. Un foglietto, mi propose, con le parole
scritte, incerottato sul legno della chitarra, era la soluzione. Non
preoccuparti, lo fanno anche i grandi, mi rassicurò Mimmo ed io gli credetti.
Tutto
era pronto, prima delle vacanze di primavera, portai a scuola la chitarra. Ero
eccitato, il cuore mi pulsava veloce tanto da farmi male. Avrei suonato nel
corridoio della scuola, davanti a tutti, se non era una prova di coraggio
quella… La cercai alla prima ora, poi all’intervallo. Osai affacciarmi alla sua
classe ignorando i risolini delle compagne.
Ma
Adele non c’era.
Venni
a sapere che i suoi avevano divorziato e lei aveva seguito la madre in un'altra
città. La mia Adele non era più lì, la ragazzina che aveva promesso di darmi un
bacio. Per qualche tempo ebbi la morte nel cuore, nemmeno Mimmo si avvicinava
per parlare.
In
un impeto di rabbia tagliai le corde della chitarra e la nascosi in fondo all’armadio.
Il mondo andava avanti ma io mi ero fermato. Avrei voluto annegare nelle mie
lacrime.
Un
giorno, prima delle vacanze estive, Mimmo venne vicino con un’espressione
furbetta e mi porse un pacchetto di carta, dicendo: Regalino! Oggi vengo da te
e le montiamo, vediamo che cosa ricordi. Si allontanò sorridendo. Aprii il
sacchetto e vidi cosa c’era dentro. Corde metalliche da chitarra classica. Il
mio amico faceva sul serio. Venne a casa mia, rimise a posto la chitarra e la
accordò. Non suonava male. Poi me la porse. Io sapevo suonare solo una canzone
e feci quella. Sì, condivisi, non suonava male. Capii che era il momento di
ripartire e provare a raggiungere il mondo che non ne voleva sapere di
fermarsi. Imparai altri accordi, molte altre canzoni, alcune in inglese,
imparai a cantare mentre suonavo. La cosa si fece interessante mi diede piacere
e anestetizzava il mio dolore e durante gli anni del liceo feci parte di
numerose band, tutte con molti sogni e poche certezze ma ci divertivamo. Poi mi
diedi all’ingegneria informatica e la chitarra venne richiusa nell’armadio.
Questa volta senza tagliare le corde!
E’
curioso, a quattordici anni, ogni volta che vedevo Adele, mi tornava in mente
che dovevo imparare La canzone del sole,
poi per anni ogni volta che davano quel brano alla radio, mi tornava alla mente
Adele, il suo viso, il suo profumo. Il dolore per quel bacio mancato che non ricevetti
mai. Chissà se la mia vita sarebbe stata diversa.
Non
lo so e non importa, quel bacio non lo aspetto più da decenni, ma quella
promessa è stata un bene, mi ha regalato la musica.
E
quella l’ho ancora nelle dita.
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