lunedì 24 gennaio 2022

Azione e reazione

 





Tutto era cominciato per caso.

Nemmeno lui ci credeva, ma qualcosa stava accadendo.

Enrico era sempre stato un uomo pratico, concreto, non credeva a baggianate come il malocchio, la sfortuna, le stregonerie. Molto semplicemente le cose accadevano e i creduloni attribuivano la causa degli eventi a qualche potere oscuro, per debolezza e ignoranza. Lui non era certo il tipo da farsi impressionare da un gatto nero che attraversava la strada o dal passare sotto una scala. Al massimo era in apprensione per il gatto e controllava che sulla scala non ci fosse un operaio incapace, che potesse rovesciargli in testa un carico di attrezzi pesanti!

E quando tutto era iniziato, ovviamente Enrico non ci aveva fatto caso.

Piccole cose, senza importanza, il collega presuntuoso, che gli aveva soffiato un affare, aveva perso la sua stilografica Montblanc, alla sua vicina che stendeva la biancheria ancora gocciolante al piano di sopra, si erano spezzate le corde e tutto era finito nel fango del cortile, Enrico non coglieva nessun collegamento. Qualcuno ha le mani lunghe in ufficio e una Montblanc fa gola, in quanto alle corde da bucato, erano vecchie e da cambiare.

Poi era successo il fatto del tipo in palestra. Un bestione di cento chili, lo aveva preso in odio, senza motivo pensava Enrico, ma chissà perché quando la sera lo incrociava, l’energumeno faceva sempre in modo di passargli davanti, alla macchina per gli addominali, alla doccia, lasciandogli respirare il suo puzzo. A Enrico la cosa iniziava a dare fastidio ma non avrebbe potuto far ragionare quel bestione senza rischiare l’osso del collo. Non ne poteva più quando una sera un bilanciere carico di pesi, si era staccato dalla staffa ed era caduto sul braccio del gigante, fratturandogli radio e ulna e lussandogli il gomito. L’uomo si era messo a gridare come un bambino per il dolore insopportabile e quando i barellieri lo avevano finalmente portato via, aveva guardato Enrico con la faccia bagnata dalle lacrime e un’espressione fanciullesca di paura.

Una sera, stava attraversando il viale, quando un’auto proveniente dalle sue spalle aveva svoltato all’improvviso, frenando quando era a mezzo metro dalle sue gambe. Enrico si era paralizzato come avrebbe fatto un leprotto colpito dai fari in mezzo alla careggiata. Gli era scappato un verso strano e un’oscenità, poi aveva accettato le scuse un po’ fasulle dell’autista imprudente e si era rimesso in cammino. L’auto, una potente berlina bianca era ripartita, facendo stridere le gomme. Erano passati forse cinque secondi quando Enrico aveva sentito uno schianto secco, era tornato sui suoi passi e aveva osservato l’auto bianca accartocciata contro un platano. Il conducente era sceso, aveva fatto due passi tenendosi la fronte e si era seduto per terra. Vedendo i primi curiosi avvicinarsi al luogo dell’incidente, Enrico aveva preferito tenersi alla larga.

Enrico era sempre stato un uomo razionale, certo, ma dopo una serie di eventi quantomeno bizzarri, aveva cominciato a ragionare diversamente.

E se fosse stato davvero lui a causare quelle cose? Se avesse fatto partire una qualche specie d’influsso? Un fascio di radiazione negativa, in grado di agire sulla materia, modificandola? Se fosse stato in grado di modificare gli atomi degli oggetti, alterare il pensiero e la volontà delle persone?

Ma che diavolo stava pensando?

Niente di tutto ciò era possibile e si sentì mortificato e si vergognò di se stesso per averlo creduto.

Non era da lui, si disse, nessuno aveva questo potere, al massimo nei film.

E lui non era un attore.

Nessuno lo avrebbe scritturato per qualche parte, nemmeno come controfigura, pensò mentre osservava la sua faccia riflessa allo specchio e si contava le nuove rughe. Da qualche tempo aveva delle profonde occhiaie e sembrava invecchiato di dieci anni. Si sentiva vecchio e un peso sull’anima gli impediva di sentirsi felice.

Per qualche tempo non successe altro, poi ci fu il dramma.

Enrico aveva avuto una fidanzata storica, un rapporto logoro che si era prolungato per nove anni e si era trascinato tra alti e bassi. Lena non era una ragazzina e qualche volta gli accennava che avrebbero potuto cambiare vita, stabilizzare la loro unione ma lui non ne aveva avuta la minima intenzione. Lei lo aveva piantato una gelida sera d’inverno, quando il freddo attorno sembrava una mite primavera in confronto al freddo che aveva dentro.

Enrico sperò che lei soffrisse e che la pagasse per il dolore che lui aveva provato ma quando, dopo una settimana morì la madre della giovane, si rese conto che non avrebbe avuto il coraggio nemmeno di guardarla in faccia. Non andò al funerale, sebbene quella donna gli avesse voluto bene, forse più di sua figlia.

Enrico capì di avere scavato un solco troppo profondo tra lui e la sua ex e niente avrebbe riempito quella distanza.

Con i suoi rancori si stava rovinando la vita. Capiva che le cose sarebbero continuate a succedere, anche quelle più negative ma sapeva che avrebbe dovuto smettere di desiderare il male.

E doveva smettere di vivere tutto come una colpa.

Andò in ospedale a trovare il tipo della palestra. Lo avevano operato e qualcosa non andava per il verso giusto, così stava prolungando la degenza tra antibiotici ed esami. Accettò con sorpresa e gratitudine i biscotti che Enrico gli aveva portato e si rivelò una persona timida e riservata che si nascondeva dietro i muscoli. Enrico gli augurò di rivedersi presto in palestra. Era sincero.

Poi comprò un vaso di mughetti per la vicina. Questa lo guardò con sospetto, poi accettò il dono e gli disse che l’avrebbe messo sul balcone, aveva anche colto l’occasione per scusarsi di far gocciolare la biancheria. Enrico sorrise e tornò a casa sentendosi più leggero. Anche la sua espressione era migliorata, le occhiaie stavano sparendo e sembrava più giovane.

Non avrebbe preteso di farsi perdonare da Lena ma iniziò ad andare al cimitero tutte le settimane a posare dei fiori freschi.

Enrico aveva capito che prima di perdonare gli altri, prima ancora di domandare il loro perdono, doveva imparare a perdonare se stesso.

Non avrebbe più coltivato pensieri di vendetta o negativi, verso nessuno.

Gli eventi, belli o brutti, insignificanti o importanti, avrebbero continuato ad accadere ma lui non si sarebbe sentito responsabile, decise che avrebbe iniziato a sperare solo cose positive e gradevoli.

Se qualcosa di buono fosse accaduto, sarebbe stato piacevole credere di esserne stato la fonte inspiratrice, no?

A chiunque avesse incontrato, pensò Enrico, sorridendo.

E il peso che aveva avuto, senza che se ne accorgesse, svanì.

 

 

 

 

 

 


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