domenica 21 marzo 2021

Il santone

 






Quando mi chiamò il direttore per assegnarmi quel lavoro, non feci una bella espressione.

Mi disse “Il biglietto aereo è già prenotato, ti aspettano alle quindici, dopodomani, al check in, mi raccomando, un’ora prima!” io sbuffai, feci un fischio, poi mi arresi, con un “va bene capo, vado" e mentre uscii dall'ufficio, mi sentii raggiungere dalla sua voce che diceva qualcosa come: scrivi un bell'articolo!

Come se potessi scrivere altro, risposi, senza falsa modestia.

Certo, non era nei programmi volare fino a Sofia, in Bulgaria. Tantomeno scrivere qualcosa sul santone del momento. Tutti nel mondo, hanno scritto qualcosa su di lui, o si apprestano a farlo.

Sammarck, come si fa chiamare, parla alle folle dai suoi social e a quanto pare è molto seguìto. Molto seguito è riduttivo, ha dodici milioni di follower tra Instagram e Twitter e qualcuno di più su Facebook. Qualunque cosa dica o scriva è immediatamente ricondiviso in trentasei lingue. Non esagero, sono numeri che ha scaricato la nostra solerte segretaria Anna. E Anna non è una che scherzi, quando si tratta di numeri.

Ecco che così, due giorni dopo, mi appresto a volare verso la capitale della Bulgaria, dove mi attente un Uber pagato profumatamente dal mio giornale, che mi porterà attraverso trecento chilometri montuosi e aridi, fin nella cittadina che Sammarck ha scelto come nuova Gerusalemme.

Non mi era piaciuto, questo santone del ventunesimo secolo, fin dalla sua prima apparizione pubblica, allora giovane dalle guance glabre. Uscito da una deludente apparizione in politica, aveva esordito sulla scena esoterica, spiritualista con un solenne sciopero della fame. Questo lo aveva fatto dimagrire al limite del possibile, senza rimetterci le penne e il suo caso era venuto alla luce sulla stampa del suo paese. Poi aveva iniziato a delirare, con una serie di previsioni sulle vicende politiche e culturali prima nazionali, poi planetarie al limite dello scandaloso, attirando simpatie di estremisti, complottisti, attivisti e compagnia bella. Ad ascoltare le sue parabole, il mondo ha i giorni contati, le banche sono governate dal diavolo, i governi sono retti nel segno di pochissimi ricchi che decidono la sorte di forti e deboli. Inutile dire che, per salvarci, dobbiamo lasciare le nostre famiglie, vendere tutto e seguirlo sulle montagne dove si è rintanato.

A sentire i suoi sermoni, al pianeta rimangono, se va bene, un paio d'anni. Inoltre, gentilmente, ha fornito un Iban bancario su cui versare i soldi che non serviranno alla nostra salvezza. Tutto ha un sapore già provato, dalle sette pseudoreligiose ai massoni, tutti con importanti giri d’affari e in grado di spolpare e rovinare i più sprovveduti e sono rimasto scettico ma vi sorprenderebbe leggere i commenti della gente pronta a versargli patrimoni.

Quindi sono partito, atterrato e salito sul mio Uber che guida una Lada Niva dell'ottantacinque. Il conducente parla un inglese rozzo e qualche termine d’italiano. Per lo più parolacce. Capisce subito che non sono un credente. 
Do you need a interview? Sì, rispondo e gli mostro il registratore. 
Lui scuote la testa, Sammark don’t release interview.

It's not a problem. I will go Home. Rispondo io. Gli sorrido. Lui mi sorride sdentato e continua a guidare e intercetta tutte ma proprio tutte le buche e vi assicuro che sono tante.

Dopo tre ore di mal d’auto arriviamo in un paesino poverissimo e sporco. Accorrono i bambini che mi circondano e toccano tutto, mi sembra di stare in Africa. 
 I need a room. 
Mi indicano un motel. Affitto una stanza e mi sdraio cercando di dimenticare la guida dell’Uber.

Incredibilmente riesco anche a dormire. La sveglia alle sei del mattino mi sconvolge e mi fa cadere dal letto. Ho male alla schiena, dove comprimevano le molle rotte, il santone dovrà darmi spiegazioni. Bevo un caffè che ha il sapore d’olio motore riciclato. Esco. Il mio Uber, non so perché ma devo avergli ispirato simpatia, ha chiamato un suo cugino di qui, un tipo con ancora meno denti, che si offre di farmi da guida per pochi dollari. Parla a gesti ma sembra efficiente.

Arriviamo alla corte.

Centinaia di persone di tante nazionalità diverse, vestite in mille modi, compongono un circo rumoroso accampato sul prato ma la mia guida taglia in due la folla facendomi sentire importante.

Sembra che Sammarck sia in un camerino, che si stia preparando per una diretta social e non vorrà essere disturbato. Sento gridare dal corridoio. Una porta si spalanca e vedo Sammarck in persona, davanti ad un enorme vassoio di sushi, che mastica e urla a un povero truccatore: 
More black. More black, idiot, I want deep bags under my eyes! 
Poi mi vede e chiama la sicurezza.

Due mastodonti mi sollevano come un sacchetto di patatine e mi accompagnano, poco gentili, fuori dalla proprietà. La mia guida mi raggiunge e mi scuote la polvere, forse temendo per la sua paga.

Gli allungo dieci dollari e dalla sua espressione penso che mi darebbe sua figlia in sposa ma non sono pronto per il matrimonio e non ho tempo né voglia di accertarmene.


Il viaggio di ritorno è leggero, non sento le buche e non soffro la nausea. Riordino i pensieri, sarà un bell’articolo. Ne sono certo.

Mi metterò contro mezzo pianeta e forse dovrò nascondermi. 
Pazienza.

La fine del mondo, per oggi, è rimandata.














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