Michele non piange da più di vent’anni.
L’ultima volta che ha pianto è stata al
funerale di suo padre.
Aveva quattordici anni.
Non era successo tanto perché ne sentisse
il bisogno, quanto perché vedeva gli altri farlo.
Sua madre, sua zia e i colleghi dell’uomo
erano straziati e spremevano ettolitri di lacrime, il pianto di Michele durò
tre minuti.
In
realtà era infastidito da tutta quella dimostrazione di emotività. Gli
sembrava, come dire, non fuori luogo bensì inutile.
Badate bene, la sua non era insensibilità,
era tutt’altro che impassibile di fronte quel lutto, qualsiasi cosa
comportasse, piuttosto era una sorta di pigrizia dell’anima.
Indolenza dell’essere.
Così era cresciuto Michele, senza mai
lamentarsi troppo quando soffriva, senza mai esultare troppo per una gioia.
Quando la nazionale di calcio vinse i
mondiali Michele partecipò al corteo con bandiere e trombe ma non cantò i cori
con i suoi compagni di scuola.
Quando una studentessa del suo liceo fu
aggredita da un molestatore e ricoverata in ospedale, lui partecipò alla
fiaccolata di protesta ma dimenticò di accendere la fiammella e restituì
intatta la sua candela.
Questa sua apparente freddezza, impassibilità di
fronte a tutto non gli rese comoda la vita. La sua ex fidanzata lo lasciò molto
presto, mentre la sua ex moglie durò qualche anno di più. Michele non riuscì a
versare lacrime nemmeno per queste occasioni perdute, pur soffrendo molto. O almeno
soffrendo abbastanza.
Era sempre calmo, difficilmente si spazientiva per
qualcosa.
Sopportava il caldo estremo d’estate quanto il freddo
polare d’inverno. Semmai gli davano fastidio quelli che si lamentavano sempre,
li trovava… banali!
Non si lagnava del traffico, al massimo alzava il
volume dell’autoradio.
Non chiamava ad alta voce il cameriere per un difetto
nella cottura della pizza.
Semplicemente accettava le cose.
Michele trovava troppo faticoso, dispendioso tradire
le proprie emozioni, anche solo permettersi di provarne.
Di tanto in tanto qualcuno glielo faceva notare.
Allora si accendeva un campanello d’allarme, una piccola spia come quella di un
guasto al motore o della riserva di carburante.
Ma la spia tornava presto a spegnersi e l’allarme da
fievole che era in principio, finiva per tacere lasciandolo nella sua
imperturbabile apparente indifferenza.
Fino alla sera dell’incidente.
Un suo vecchio amico era stato travolto da un’auto
pirata mentre costeggiava la statale, pedalando sulla sua bici. Invece di
prestare soccorso, l’automobilista era fuggito, inseguito da sensi di colpa,
vergogna e vana speranza di passarla liscia.
Il ferito era stato notato da un camionista, soccorso
e trasferito in ospedale con fratture varie e una milza rotta che lo aveva quasi
ucciso, ma i sanitari erano stati più veloci e lo avevano restituito alla vita
e alla sua enorme sofferenza. Michele era andato a trovarlo tutte le sere senza
riuscire a dire qualcosa, qualcosa che fosse di conforto, qualcosa che potesse
diminuire il dolore, qualcosa che regalasse speranza.
Si era sentito un inutile e freddo pezzo di carne in
movimento.
Si era chiesto a lungo, guardando il soffitto notturno
della sua camera, quale fosse il senso della sua amicizia.
Poi, una sera, preparando una cena precotta, Michele rovesciò
la padella dal fornello e versò sul polso dell’olio bollente.
Quel dolore acuto, urente, insopportabile lo fece
gridare. Urlò di dolore e mentre lo faceva una lacrima prese a scorrere sulla
sua guancia.
Il lancinante dolore al braccio lo avvicinò a capire
cosa potesse provare il suo amico in trazione dentro un letto d’ospedale, cosa
potevano aver provato la sua ex moglie e le tante persone che aveva visto
soffrire e aveva sentito lamentarsi.
Il dolore di quella sera e le lacrime che gli stavano
bagnando in viso, lo riportarono a ritroso fino al giorno del funerale di suo
padre.
Allora Michele iniziò a singhiozzare, ora aveva la
faccia bagnata, il gusto del sale nelle narici e sulle labbra gli dava una
strana sensazione di conforto.
Stava piangendo come piange un neonato, per tutto il
dolore mai provato prima, e tra i singhiozzi aveva capito che quel pianto lo
stava guarendo.
Era finito l’effetto della sua anestesia.
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