Sebastiano
lo ricordo bene.
Viveva
nel piccolo appartamento sotto al mio, già a quei tempi aveva più di settant’anni.
Sebastiano
usciva poco, una volta di sabato per fare la spesa, occasionalmente per i
controlli dal medico. Non ricordo ricevesse mai visite, ma non sono il tipo che
si è mai fatto gli affari dei vicini.
Lo
vedevo dal terrazzino, che utilizzo ancora oggi come rifugio per le mie
letture, mentre usciva in balcone per innaffiare i gerani e in quelle occasioni
scambiavamo le nostre rade parole.
Anche
se brevi dialoghi, avevo sempre la sensazione di essere più ricco, rientrando
in casa.
Non
mancava mai di farmi notare la fragranza e il tepore dell’aria all’inizio della
primavera o di condividere la bellezza delle diverse tonalità dell’indaco, poco
prima del tramonto.
Una
volta mi disse che non avrebbe sopportato il buio della notte senza prima
gustare la tavolozza di colori preparata dalla natura, quando il sole andava a ristorarsi
nei mari del sud.
Fu
da quel momento che iniziai a riportare le considerazioni di quel vecchio su di
un quaderno, che ancora oggi conservo con cura.
Anche
perché Sebastiano non avrebbe potuto.
Non
sapeva scrivere.
Appena
si accorse che ero il tipo di vicino discreto, educato e rispettoso, iniziò a
scambiare qualche frase, non mi risulta avesse altri contatti nel condominio.
Un
giorno venne da me, si scusò molte volte per il disturbo ma aveva ricevuto una
lettera dalla banca e dovette confessarmi, pieno di vergogna e rosso per l’imbarazzo,
che ne riconosceva il logo ma che non era in grado di leggere e capire quello
che c’era scritto. Provò anche a spiegarmi, a giustificare la sua “debolezza”,
come la definiva lui, derivante dal fatto di avere frequentato la scuola fino
alla seconda elementare ma che dopo suo padre lo aveva costretto a lasciare
perché era necessario il suo aiuto al lavoro nei campi e lo aveva ritirato
dalla scuola “come si ritira un pacco alle poste” e quello che aveva imparato
era considerato poco importante dalla sua famiglia. Chiaramente nella sua casa
non vi era presenza di alcun libro né transitavano giornali e lui non aveva
potuto conservare molto di quell’alfabeto che prometteva di contenere mille e
mille mondi che anche se lui bramava non avrebbe mai visitato.
Dopo
quel giorno gli offrii il mio aiuto ma lui approfittò ben poche volte. Con le
bollette se la cavava, i numeri sapeva usarli e faceva i calcoli a mente.
Conosceva alcune opere classiche perché amava il teatro, c’era stato tante
volte con sua moglie e ora che era rimasto solo, ascoltava tutti i programmi
radiofonici che mettevano in programmazione racconti. Mi sono chiesto più
volte, col senno del poi, come avrebbe reagito se avesse saputo dell’universo
di internet e dell’esistenza dei Podcast… ma Sebastiano era uomo di altri tempi
e l’offerta esistente gli bastava.
“Ma
tu li hai mai visti i colori del paradiso?” Mi chiese un pomeriggio afoso di un’estate
caldissima. Ero seduto in balcone a tentare di leggere Viaggio al termine della notte ma faceva caldo anche dentro il
romanzo e mi veniva sonno. La voce di Sebastiano mi colse e mi strappò dal
sopore. “Quali sarebbero i colori del paradiso?” Mormorai confuso e lui continuò
come se parlasse più a se stesso che a un'altra persona.
“Il
nero profondo degli occhi di una donna che ti ama, che diventa brillante quando
ti guarda ma che se non fai attenzione si tramuta nel nero di un pozzo in cui cadere
e perdersi per sempre, il blu del mare in lontananza che senza che ti accorgi
si fonde con il colore del cielo quando scende la notte, il verde delle foglie
in primavera, brillante più di mille smeraldi e il bianco accecante, che taglia
come una lama, dei raggi del sole che passano attraverso le foglie e ti feriscono
gli occhi… nessun quadro contiene questi colori”
Stavo
per rispondere una stupidaggine come, dovresti scrivere queste considerazioni
ma mi fermai in tempo, mi sembrò comunque che il silenzio avesse trasmesso il
messaggio con dolorosa puntualità.
E
dopo il silenzio, lui proseguì.
“E
la senti la musica? Il suono regolare e maestoso dell’universo che si muove e
ruota tutte le cose? Il rombo del nostro pianeta che sfreccia nel vuoto assieme
agli altri, con il sole e tutte le altre stelle che viaggiano verso chissà
cosa? Lo senti nel cuore della notte, quando sembra tutto immobile e silenzioso
e quel rombo muto è così spaventoso? Non dirmi che non lo senti?”
Invitai
Sebastiano a salire per bere un tè ma lui rifiutò, mi disse che gli dispiaceva
avermi disturbato e che sarebbe rientrato per godersi il fresco della sua
cucina.
Una
sera, mentre irrigava i fiori e staccava minuscole foglioline secche dalle piantine,
mi vide, alzò l’indice ad ammonirmi:
“Non
posare mai nemmeno un dito su un essere vivente, se non per una carezza e se
tendi la mano che sia solo per aiutare l’altro a rialzarsi dopo una caduta.”
Avrei
risposo di sentirmi una persona mite ma lui non mi lasciò il tempo di aprire
bocca, perché continuò.
“Gli
uomini che colpiscono una donna o un bambino sono i più perduti, sono
condannati perché camminano su questa terra ma in realtà vivono già all’inferno,
e questo cerca di invadere il mondo attraverso di loro. Non basterebbe un
oceano di lacrime per chiedere pietà di certi gesti”
Mi
colse alla sprovvista, capii la sera, vedendo il notiziario e sentendo
annunciare l’ennesimo caso di violenza.
Ha
ragione Sebastiano, non basterebbe un
oceano di lacrime a chiedere pietà.
Sono
passati tanti anni, ci sono momenti in cui mi manca quel bizzarro vecchio del
mio vicino.
Ora
nell’appartamento sotto, sono venuti a vivere due giovani, lui barba rada sul
mento e un sorriso contagioso, lei capelli rame e un’aria bambinesca con un
miliardo di efelidi.
Sono
chiassosi e divertenti, salutano con trasporto e la notte non s’imbarazzano a
farsi sentire quando fanno l’amore.
Hanno
portato gioia, anche se non tutti apprezzano.
A
Sebastiano sarebbero piaciuti.
Chissà,
forse anche a loro sarebbero piaciute le storie che mi raccontava quel vecchio
poeta, strambo e saggio allo stesso tempo.
Quel
vecchio analfabeta, che mi ha insegnato che non basta guardare ma occorre
vedere, che non è solo sentire ma ascoltare e capire.
Sebastiano
che quando raccontava, dipingeva.
Quel
poeta che non sapeva scrivere ma con le parole ti entrava dritto nel cuore.
Proprio
come fanno i poeti.

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