sabato 29 novembre 2025

Sebastiano, l'ultimo poeta

 





Sebastiano lo ricordo bene.

Viveva nel piccolo appartamento sotto al mio, già a quei tempi aveva più di settant’anni.

Sebastiano usciva poco, una volta di sabato per fare la spesa, occasionalmente per i controlli dal medico. Non ricordo ricevesse mai visite, ma non sono il tipo che si è mai fatto gli affari dei vicini.

Lo vedevo dal terrazzino, che utilizzo ancora oggi come rifugio per le mie letture, mentre usciva in balcone per innaffiare i gerani e in quelle occasioni scambiavamo le nostre rade parole.

Anche se brevi dialoghi, avevo sempre la sensazione di essere più ricco, rientrando in casa.

Non mancava mai di farmi notare la fragranza e il tepore dell’aria all’inizio della primavera o di condividere la bellezza delle diverse tonalità dell’indaco, poco prima del tramonto.

Una volta mi disse che non avrebbe sopportato il buio della notte senza prima gustare la tavolozza di colori preparata dalla natura, quando il sole andava a ristorarsi nei mari del sud.

Fu da quel momento che iniziai a riportare le considerazioni di quel vecchio su di un quaderno, che ancora oggi conservo con cura.

Anche perché Sebastiano non avrebbe potuto.

Non sapeva scrivere.

Appena si accorse che ero il tipo di vicino discreto, educato e rispettoso, iniziò a scambiare qualche frase, non mi risulta avesse altri contatti nel condominio.

Un giorno venne da me, si scusò molte volte per il disturbo ma aveva ricevuto una lettera dalla banca e dovette confessarmi, pieno di vergogna e rosso per l’imbarazzo, che ne riconosceva il logo ma che non era in grado di leggere e capire quello che c’era scritto. Provò anche a spiegarmi, a giustificare la sua “debolezza”, come la definiva lui, derivante dal fatto di avere frequentato la scuola fino alla seconda elementare ma che dopo suo padre lo aveva costretto a lasciare perché era necessario il suo aiuto al lavoro nei campi e lo aveva ritirato dalla scuola “come si ritira un pacco alle poste” e quello che aveva imparato era considerato poco importante dalla sua famiglia. Chiaramente nella sua casa non vi era presenza di alcun libro né transitavano giornali e lui non aveva potuto conservare molto di quell’alfabeto che prometteva di contenere mille e mille mondi che anche se lui bramava non avrebbe mai visitato.

Dopo quel giorno gli offrii il mio aiuto ma lui approfittò ben poche volte. Con le bollette se la cavava, i numeri sapeva usarli e faceva i calcoli a mente. Conosceva alcune opere classiche perché amava il teatro, c’era stato tante volte con sua moglie e ora che era rimasto solo, ascoltava tutti i programmi radiofonici che mettevano in programmazione racconti. Mi sono chiesto più volte, col senno del poi, come avrebbe reagito se avesse saputo dell’universo di internet e dell’esistenza dei Podcast… ma Sebastiano era uomo di altri tempi e l’offerta esistente gli bastava.

“Ma tu li hai mai visti i colori del paradiso?” Mi chiese un pomeriggio afoso di un’estate caldissima. Ero seduto in balcone a tentare di leggere Viaggio al termine della notte ma faceva caldo anche dentro il romanzo e mi veniva sonno. La voce di Sebastiano mi colse e mi strappò dal sopore. “Quali sarebbero i colori del paradiso?” Mormorai confuso e lui continuò come se parlasse più a se stesso che a un'altra persona.

“Il nero profondo degli occhi di una donna che ti ama, che diventa brillante quando ti guarda ma che se non fai attenzione si tramuta nel nero di un pozzo in cui cadere e perdersi per sempre, il blu del mare in lontananza che senza che ti accorgi si fonde con il colore del cielo quando scende la notte, il verde delle foglie in primavera, brillante più di mille smeraldi e il bianco accecante, che taglia come una lama, dei raggi del sole che passano attraverso le foglie e ti feriscono gli occhi… nessun quadro contiene questi colori”

Stavo per rispondere una stupidaggine come, dovresti scrivere queste considerazioni ma mi fermai in tempo, mi sembrò comunque che il silenzio avesse trasmesso il messaggio con dolorosa puntualità.

E dopo il silenzio, lui proseguì.

“E la senti la musica? Il suono regolare e maestoso dell’universo che si muove e ruota tutte le cose? Il rombo del nostro pianeta che sfreccia nel vuoto assieme agli altri, con il sole e tutte le altre stelle che viaggiano verso chissà cosa? Lo senti nel cuore della notte, quando sembra tutto immobile e silenzioso e quel rombo muto è così spaventoso? Non dirmi che non lo senti?”

Invitai Sebastiano a salire per bere un tè ma lui rifiutò, mi disse che gli dispiaceva avermi disturbato e che sarebbe rientrato per godersi il fresco della sua cucina.

Una sera, mentre irrigava i fiori e staccava minuscole foglioline secche dalle piantine, mi vide, alzò l’indice ad ammonirmi:

“Non posare mai nemmeno un dito su un essere vivente, se non per una carezza e se tendi la mano che sia solo per aiutare l’altro a rialzarsi dopo una caduta.”

Avrei risposo di sentirmi una persona mite ma lui non mi lasciò il tempo di aprire bocca, perché continuò.

“Gli uomini che colpiscono una donna o un bambino sono i più perduti, sono condannati perché camminano su questa terra ma in realtà vivono già all’inferno, e questo cerca di invadere il mondo attraverso di loro. Non basterebbe un oceano di lacrime per chiedere pietà di certi gesti”

Mi colse alla sprovvista, capii la sera, vedendo il notiziario e sentendo annunciare l’ennesimo caso di violenza.

Ha ragione Sebastiano, non basterebbe un oceano di lacrime a chiedere pietà.

 

Sono passati tanti anni, ci sono momenti in cui mi manca quel bizzarro vecchio del mio vicino.

Ora nell’appartamento sotto, sono venuti a vivere due giovani, lui barba rada sul mento e un sorriso contagioso, lei capelli rame e un’aria bambinesca con un miliardo di efelidi.

Sono chiassosi e divertenti, salutano con trasporto e la notte non s’imbarazzano a farsi sentire quando fanno l’amore.

Hanno portato gioia, anche se non tutti apprezzano.

A Sebastiano sarebbero piaciuti.

Chissà, forse anche a loro sarebbero piaciute le storie che mi raccontava quel vecchio poeta, strambo e saggio allo stesso tempo.

Quel vecchio analfabeta, che mi ha insegnato che non basta guardare ma occorre vedere, che non è solo sentire ma ascoltare e capire.

Sebastiano che quando raccontava, dipingeva.

Quel poeta che non sapeva scrivere ma con le parole ti entrava dritto nel cuore.

Proprio come fanno i poeti.

 

 

 




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