sabato 28 giugno 2025

Il senso di Martino

 





Il lenzuolo è ruvido e gratta la pelle.

Sembra di riposare su carta abrasiva.



Martino avverte il bruciore, che non è più dolore, sotto la garza. Non ricorda il momento del ricovero ma sa che il trauma cranico prevede un iter dal quale non ci si può discostare. TAC, ricovero in osservazione, allettamento, antidolorifici e ghiaccio. E lui si sta sorbendo tutta la trafila.

Entra nella stanza una donna.

Lei non guarda le persone nei letti, non saluta. Efficiente ed efficace come ha richiesto il suo responsabile, il suo sguardo, la sua attenzione, sono rivolte al pavimento che le impegna anche tutte le energie. Pulire e sanificare, non le è richiesto altro.

Quel detersivo finirà per farle del male, pensa Martino. Anche se non legge l'etichetta, il contenitore è troppo distante dal suo letto, sa che contiene etanoammina, un composto che sebbene sia incolore, ha un leggero odore di ammoniaca. La signora ovviamente non ne è consapevole e prosegue a passare lo straccio.

Lui è sorpreso da quella sua considerazione, stupito ma fino a un certo punto e si gratta leggermente sopra la medicazione con il mignolo.

La signora incaricata delle pulizie finisce ed esce per dirigersi con efficienza svizzera verso un'altra stanza.

Entra una donna in divisa, molto giovane e molto bella. Sorride e saluta i ricoverati. Martino la saluta e osserva le mani curate della giovane donna. Oleammide, Parabeni Petrolati e Siliconi, sostanze che non dovrebbero stare sulla pelle di una giovane donna. Fa per parlare, vorrebbe spiegare all'infermiera di non utilizzare le creme che contengono tali sostanze ma si rende conto che non sa come fare, non saprebbe spiegare a qualcuno come fa a sapere quello che sa, così come non lo sa spiegare neanche a se stesso. Certo che quella botta in testa lo ha cambiato, gli permette, anzi lo costringe a sentire odori e a riconoscere sostanze di cui non ha mai sentito parlare. Ma com’è possibile, si chiede, può un trauma cranico causare questo cambiamento?

Il lenzuolo continua a grattare e l'odore della formaldeide contenuta nel detersivo usato per il lavaggio lo turba e non gli permette di riposare.

Improvvisamente prende la decisione. Deve uscire da quel luogo, chiederà di essere dimesso.

Attende che passi un medico in visita.

Martino deve osservare il digiuno e dopo la prima colazione (degli altri) un medico entra. Si presenta in modo formale. Si tratta del direttore, e come tale adegua i suoi gesti misurati e il suo parlare forbito. Gli altri degenti ne hanno timore reverenziale e fanno bene, lui ha assoluto potere sulle persone assistite nel suo servizio.

Martino avverte chiaro, sotto l’alcool contenuto del dopobarba del primario, il butilidrossitoluene, un conservante potenzialmente pericoloso, e oltre a quello un odore più profondo, un prodotto enzimatico originato dalla riproduzione cellulare di un carcinoma.

È spaventato, dovrebbe informare il medico ma si chiede con quale diritto farlo. E poi il medico è l’altro, lui è solo il paziente e quindi tiene la bocca chiusa, non vuole essere trasferito in psichiatria.

Il primario lo informa che la TAC eseguita ha dato esito negativo e se vuole, può essere dimesso nel primo pomeriggio.

Martino quasi non ascolta, distratto dai suoi pensieri. Si chiede: tutto questo che senso ha?  Certo che vorrebbe uscire dall’ospedale e tornare a casa ma più ancora vorrebbe che qualcuno lo liberasse da quella condizione, lo riportasse allo stato precedente, senza superpotere, ma libero.

Tornato in se, insiste per essere dimesso immediatamente. Il Direttore della struttura non ha nulla in contrario ma gli chiede di firmare in cartella la volontà di essere dimesso contro il parere del sanitario.

Martino firma e si dispone ad aspettare la lettera delle dimissioni.

Si cambia, toglie quel ridicolo camice e veste i panni di prima del trauma. Quanto vorrebbe liberarsi oltre che dal camice ospedaliero anche da quella dannata “condizione” ma non si pente di non averne parlato col primario.

Pensa che non dovrà parlare con nessuno se non vuole finire i suoi giorni rinchiuso in qualche istituto per la cura di malattie mentali.

Più tardi l’infermiera viene a prenderlo con una carrozzina, Martino si vergogna, non vuole sembrare più malato di quello che è, quindi rifiuta l’assistenza.

Basta non può restare un minuto di più in quel reparto.

Non vuole riconoscere gli odori dei prodotti chimici, dei disinfettanti, delle persone, delle malattie, della morte imminente.

S’incammina con le sue carte in mano senza nemmeno conoscere la strada ma è fortunato e vede l’uscita.

Indovina anche la posizione degli ascensori, scopre di trovarsi al terzo piano, scende premendo lo zero e si trova in un corridoio che finisce nella vasta sala d’ingresso del nosocomio.

Oltre le vetrate c’è la sua libertà.



Si chiede come sarà d’ora in avanti la sua vita ma adesso la priorità è andare fuori.

Nel salone c’è l’efficiente signora di prima che ha appena lavato il pavimento di marmo lucido e si appresta a posizionare gli avvisi per la cautela ma non fa in tempo perché Martino è troppo veloce. La scivolata è inevitabile, così come la caduta a terra comprensiva di trauma contusivo all’occipite.

Martino è prontamente soccorso e trasportato nei meandri dell’ospedale.

Non può opporsi, non è cosciente e forse per lui questa è una fortuna.



Il primario legge i referti mentre lui se ne sta col respiro pesante e la bava sul mento nel letto che aveva occupato solo qualche ora prima.



Poi lentamente riemerge alla coscienza.

Prima annebbiato, poi sempre più lucido.

E finalmente, uscito dalla nebbia dell’inconsapevolezza... VEDE.



E gli è chiara finalmente, l’essenza stessa dell’universo.








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