sabato 1 febbraio 2025

La mia armonica

 





Ho un’armonica a bocca ma non la suono mai.

Prende polvere nel cassetto, sotto le calze e quando lo apro, faccio finta di non vederla.

Credo sia in tonalità di DO ma non ne sono sicuro. Quello di cui sono sicuro è che la suonerei tutte le sere, se vivessi in un altro dove e in un altro quando.

E mi piacerebbe, quanto mi piacerebbe.

Me ne starei seduto sul porticato di legno davanti casa, a godermi il fresco e a guardare la luce del giorno che lenta lascia spazio al nero della notte, passando per tutte le tonalità dell’arancione, del viola e del blu.

Farei risuonare la voce aspra dell’armonica e farei abbaiare i cani dei vicini.

Guarderei la polvere della giornata, depositarsi lenta sulla strada e sui cespugli. Farei cigolare la sedia a dondolo per interrompere quello scricchiolio e il suono dell’armonica solo per sorseggiare il rum contenuto nel bicchiere scheggiato poggiato sul pavimento.

Lo so, è la classica visione romantica dei primi coloni nei territori del west, che tanti film ci hanno proposto ma che ci volete fare, Sergio Leone impera nell’inconscio collettivo e non solo lì.

La mia armonica.

Vorrei averla se vivessi nel diciannovesimo secolo in una cittadina fondata dove prima c’erano solo prateria e bisonti e rapaci arrivati dalle vicine montagne in cerca di cibo.

Naturalmente vorrei anche avere una colt calibro quarantacinque sei colpi nella fondina e una carabina Winchester, poggiata sulla parete di casa, proprio alle spalle della sedia a dondolo, una discreta assicurazione sulla vita in un posto dove mancano molte cose ma soprattutto è assente uno sceriffo.

Perché una cittadina porta tante cose, una ferrovia in costruzione, luoghi di ristoro, scambio e commercio tra le persone, affari. E porta tanti soldi. E i soldi portano anche ladri e truffatori. Gente cui piacciono l’alcool, le donne, il poker e soprattutto piacciono proprio i soldi, tanti, fatti senza dover passare la giornata a sudare vangando e zappando il campo o trasportando merce pesante sulla schiena.

Le strade fangose, le costruzioni di legno che presto saranno banche, alberghi e mercati e saloon attirano le persone come il miele fa con le mosche e la ferrovia, appena terminata, trasformerà questo piccolo agglomerato di contadini in una città viva e fiorente.

Meglio essere armati, non c’è dubbio.

Mi rendo conto di stare raccontando una serie di luoghi comuni che tutti conoscono e hanno ben presente a causa dei film, dei romanzi, dei telefilm come si chiamavano una volta e delle serie televisive, come si chiamano oggi.

Tutti abbiamo ben presente l’immagine del pianista del Saloon, con i suoi occhialetti tondi da miope, chino sulla tastiera a leggere spartiti e a evitare bicchieri volanti e proiettili vaganti. Tutti abbiamo sognato la bellissima ma poco raffinata e pure avanti con gli anni maitresse, avanzare provocante e procace con una sottile sigaretta fumante stretta tra le dita guantate. Tutti conosciamo il barbiere del posto, con lacci a reggere le maniche della camicia bianca che alterna con eguale destrezza rasoi da barba a pinze cavadenti e tutti abbiamo ben presente il tizio vestito di nero che passa a prendere le misure a clienti senza più un alito di vita, riconosciamo il gringo messicano dal sombrero e dal poncho, sappiamo che un fazzoletto davanti alla faccia serve a non mangiare la polvere durante una galoppata ma è buono anche per assaltare e rapinare una diligenza.

Sappiamo bene quando il baro sta per tirare fuori l’asso dalla manica, lo tradisce un guizzo del muscolo facciale e capiamo in anticipo quando il pistolero sta per premere il grilletto in un duello. Conosciamo il suo sguardo, lo leggiamo nei suoi occhi.

Ecco perché mi piacerebbe essere armato.

Quello che non mi spiego è perché dell’armonica.

Forse perché non posso fare a meno della musica e di uno strumento che possa riprodurla, anche in un posto così duro.

Forse perché penso che sia questo a distinguerci nel mondo animale tra le altre mille caratteristiche che al contrario rendono gli animali migliori di noi.

Forse perché vorrei vivere in un luogo che mi permettesse di suonarla seduto sul porticato di casa invece di trascorrere le serate a inebetirmi davanti uno schermo.

Tutte queste cose, di certo.

Allora meglio smettere di sognare.

Vado in camera, apro il cassetto.

Tiro fuori l’armonica dalla custodia.

Mi verso un dito di rum.

Mi siedo sulla sedia a dondolo e soffio nello strumento.

I cani del vicinato iniziano il loro concerto.




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