Ho un’armonica a bocca
ma non la suono mai.
Prende polvere nel
cassetto, sotto le calze e quando lo apro, faccio finta di non vederla.
Credo sia in tonalità
di DO ma non ne sono sicuro. Quello di cui sono sicuro è che la suonerei tutte
le sere, se vivessi in un altro dove e in un altro quando.
E mi piacerebbe, quanto
mi piacerebbe.
Me ne starei seduto sul
porticato di legno davanti casa, a godermi il fresco e a guardare la luce del
giorno che lenta lascia spazio al nero della notte, passando per tutte le
tonalità dell’arancione, del viola e del blu.
Farei risuonare la voce
aspra dell’armonica e farei abbaiare i cani dei vicini.
Guarderei la polvere
della giornata, depositarsi lenta sulla strada e sui cespugli. Farei cigolare
la sedia a dondolo per interrompere quello scricchiolio e il suono
dell’armonica solo per sorseggiare il rum contenuto nel bicchiere scheggiato
poggiato sul pavimento.
Lo so, è la classica
visione romantica dei primi coloni nei territori del west, che tanti film ci
hanno proposto ma che ci volete fare, Sergio Leone impera nell’inconscio
collettivo e non solo lì.
La mia armonica.
Vorrei averla se
vivessi nel diciannovesimo secolo in una cittadina fondata dove prima c’erano
solo prateria e bisonti e rapaci arrivati dalle vicine montagne in cerca di
cibo.
Naturalmente vorrei
anche avere una colt calibro quarantacinque sei colpi nella fondina e una carabina
Winchester, poggiata sulla parete di casa, proprio alle spalle della sedia a
dondolo, una discreta assicurazione sulla vita in un posto dove mancano molte
cose ma soprattutto è assente uno sceriffo.
Perché una cittadina
porta tante cose, una ferrovia in costruzione, luoghi di ristoro, scambio e commercio
tra le persone, affari. E porta tanti soldi. E i soldi portano anche ladri e
truffatori. Gente cui piacciono l’alcool, le donne, il poker e soprattutto piacciono
proprio i soldi, tanti, fatti senza dover passare la giornata a sudare vangando
e zappando il campo o trasportando merce pesante sulla schiena.
Le strade fangose, le
costruzioni di legno che presto saranno banche, alberghi e mercati e saloon
attirano le persone come il miele fa con le mosche e la ferrovia, appena
terminata, trasformerà questo piccolo agglomerato di contadini in una città
viva e fiorente.
Meglio essere armati,
non c’è dubbio.
Mi rendo conto di stare
raccontando una serie di luoghi comuni che tutti conoscono e hanno ben presente
a causa dei film, dei romanzi, dei telefilm come si chiamavano una volta e
delle serie televisive, come si chiamano oggi.
Tutti abbiamo ben
presente l’immagine del pianista del Saloon, con i suoi occhialetti tondi da
miope, chino sulla tastiera a leggere spartiti e a evitare bicchieri volanti e
proiettili vaganti. Tutti abbiamo sognato la bellissima ma poco raffinata e
pure avanti con gli anni maitresse, avanzare provocante e procace con una sottile
sigaretta fumante stretta tra le dita guantate. Tutti conosciamo il barbiere
del posto, con lacci a reggere le maniche della camicia bianca che alterna con
eguale destrezza rasoi da barba a pinze cavadenti e tutti abbiamo ben presente
il tizio vestito di nero che passa a prendere le misure a clienti senza più un
alito di vita, riconosciamo il gringo messicano dal sombrero e dal poncho,
sappiamo che un fazzoletto davanti alla faccia serve a non mangiare la polvere
durante una galoppata ma è buono anche per assaltare e rapinare una diligenza.
Sappiamo bene quando il
baro sta per tirare fuori l’asso dalla manica, lo tradisce un guizzo del
muscolo facciale e capiamo in anticipo quando il pistolero sta per premere il
grilletto in un duello. Conosciamo il suo sguardo, lo leggiamo nei suoi occhi.
Ecco perché mi
piacerebbe essere armato.
Quello che non mi
spiego è perché dell’armonica.
Forse perché non posso
fare a meno della musica e di uno strumento che possa riprodurla, anche in un posto
così duro.
Forse perché penso che
sia questo a distinguerci nel mondo animale tra le altre mille caratteristiche
che al contrario rendono gli animali migliori di noi.
Forse perché vorrei
vivere in un luogo che mi permettesse di suonarla seduto sul porticato di casa invece
di trascorrere le serate a inebetirmi davanti uno schermo.
Tutte queste cose, di
certo.
Allora meglio smettere
di sognare.
Vado in camera, apro il
cassetto.
Tiro fuori l’armonica
dalla custodia.
Mi verso un dito di
rum.
Mi siedo sulla sedia a
dondolo e soffio nello strumento.
I cani del vicinato
iniziano il loro concerto.
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