venerdì 30 agosto 2024

Emilio che parla agli animali

 





Emilio frena perché in discesa la bici ha acquistato troppa velocità e lui non vuole ridursi male come quella volta che era caduto alla fine della discesa.

L’infermiere aveva dovuto staccare le pietruzze di ghiaia più piccole con le pinzette, dalle larghe abrasioni che si era provocato sul fondo schiena ed Emilio era stato costretto a pranzare in piedi per una settimana. E aveva pianto. Molto.

La bici si ferma sul vialetto.

Emilio si guarda dietro. Allarga un braccio e, come comparsa dal nulla, una piccola gazza bianca e nera plana dolcemente, fermandosi leggera sul suo polso.

Il ragazzo sorride, bisbiglia qualcosa, poi il pennuto si volta a guardare verso di lui, allarga il piccolo becco nero, emette un flebile, stridulo gracchio e vola via silenzioso, com’è arrivato.

Emilio è contento che sia successo lontano da casa sua.

A casa non capiscono.

Gli hanno fatto sopportare una montagna di visite.

La psicologa infantile, quella dell’età evolutiva, ore di logopedia… il neurologo, anche un dottore con l’accento estero, che aveva indossato per la visita un piccolo, buffo naso rosso da clown.

Ma Emilio non aveva riso, perché un dottore che indossa un naso da clown resta un dottore e non è capace di far ridere, almeno non quello che era venuto da lui, piuttosto lo aveva colmato di una sorta di malinconia che non si era saputo spiegare.

Emilio non era muto. Aveva anzi una bella voce e non sembrava avere disturbi cognitivi.

Nessuno riusciva a comprendere le ragioni del suo mutismo, e lui non si sentiva malato, non sentiva di avere un problema. Perché poi, non parlare doveva per forza essere un problema?

I suoi prolungati silenzi erano indecifrabili e intollerabili per la sua famiglia. Emilio era capace di stare giorni e giorni, settimane intere senza pronunciare una parola. A volte se ne usciva con brevi, smozzicate quanto improvvise frasi, che riempivano di speranza i genitori, ma il più delle volte non ne sentiva il bisogno, era in grado di comunicare a gesti o con piccoli cenni del capo.

Per Emilio il problema ce l’avevano gli altri, quelli che parlano senza avere qualcosa da dire.

Sua madre iniziò a preoccuparsi maggiormente quando lo trovò a tu per tu con il gatto del vicino, un grosso e grasso siamese che non usciva quasi mai dal proprio appartamento, tranne che per brevi e pigri giri nel cortile. Era rimasto immobile per un minuto intero, il naso umido contro quello di Emilio. Emilio era corso in cortile e, salito su una scala, aveva recuperato una palla di pezza dalla tettoia antipioggia del portoncino. Poi aveva lasciato la palletta davanti alla porta del vicino perché questi la consegnasse al legittimo proprietario.

Ogni volta che Emilio usciva con la madre, questa doveva fermarsi a ogni passante che avesse un cucciolo al guinzaglio perché non c’era cane che non gli facesse le feste. Il ragazzino dava loro una grattatina dietro le orecchie, bisbigliava qualcosa e i cani tornavano a trotterellare per la loro strada, seguiti dagli orgogliosi padroni.

Quando aveva sei anni, i genitori lo portarono al delfinario di Rimini. Appena i conduttori dello spettacolo chiesero chi, tra i bambini se la sentisse di avvicinare gli animali, Emilio senza chiedere il permesso, si tuffò come un fulmine e prima che mamma e papà potessero aprire bocca, lui era già a bordo vasca.

In quel periodo era già in piena fase mutacica e lo specialista di turno aveva predetto fallacemente che tutto si sarebbe risolto con la scolarizzazione.

Quel giorno i delfini erano nervosi e inquieti tanto da rischiare l’annullamento del programma ma quando Emilio scese e iniziò a parlare con loro, i tursiopi presero a fare capriole come non avevano mai fatto, compreso il più pigro che solitamente si limitava a farsi ingozzare di pesce.

Fu un successo di meraviglia e stupore, gli unici a non essere meravigliati furono i genitori di Emilio.

Inutile precisare che a casa, il mondo di Emilio tornò nel silenzio più completo.

Sono passati due anni dallo spettacolo al delfinario, Emilio ci pensa ancora e ride ricordando gli allegri scoppiettii singhiozzanti e i fischi che quei simpatici mammiferi gli avevano dedicato.

Ora però è tardi ed è ora di tornare a casa.

Emilio guarda il cellulare, i suoi l’hanno comprato e gli hanno chiesto di rispondere ai messaggi. Emilio lo fa.

D’improvviso ha un’idea, inforca la sella e vola sui pedali fino a casa.

Si tratta di una cosa troppo grande e bella e sa che non può scrivere, non sarebbe sufficiente.

Suona due volte, si precipita in cucina e appena la mamma gli da retta, quasi le urla in faccia:

“Cosa ne pensi se prendiamo un cane?”

La mamma di Emilio resta un momento immobile sbigottita e incredula. Poi senza nemmeno cercare di arrestare le lacrime lo stringe forte senza riuscire a pronunciare una parola.

Ma Emilio ha capito subito la risposta.

A volte le parole sono superflue.