domenica 2 aprile 2023

Giselle sbagliata

 





Giselle sale lentamente le scale.

Ce la farebbe a percorrerle a due a due, non è un problema fisico. Ci mancherebbe, alla sua età.

La fatica nel salire è tutta nella sua testa.

La camera sta al terzo piano e lei preferisce lasciare l’ascensore libero, a disposizione degli ospiti della struttura.

L’infermiera di turno le sorride. Le ha detto più di una volta Non so come fai, come lo sopporti, ma lui è solo e lei l’unica persona che ha.

Suo nonno non è mai stato tenero con lei, figlia indesiderata, figlia fuori del matrimonio, figlia di un padre che non ha nemmeno conosciuto perché quella poco di buono di sua madre nemmeno con le botte ha voluto rivelare la verità.

Suo nonno non si mai mostrato tenero nei suoi confronti e tantomeno ora lo è, ma almeno ora ha la demenza come giustificazione.

Entra spingendo la porta e come saluto si sente rimbrottare:

-Ti sembra questa l’ora di arrivare? Me le hai comprate le alici sott’olio, che ti avevo chiesto?

Giselle sa che a volte il nonno non la riconosce e la scambia per la figlia. Dimentica che sua figlia non c’è più e forse è meglio che non ricordi.

Lei invece ricorda tutto, ricorda che lui è stato l’unica figura maschile in casa da sempre e che si è sempre vantato di averle fatto anche da padre. Suo nonno è stato molte cose ma di sicuro non un padre.

-Il negozio era chiuso, le alici le comprerò domani.

Lui bofonchia due incomprensibili parole con tono poco gentile e torna a guardare fuori dalla finestra.

-Tutto il giorno chiuso in questa prigione e tu dimentichi di comprarmi le alici… ma cos’hai nella testa? Un giorno di questi la apro quella finestra e mi butto di sotto e chi si è visto, si è visto!

La ragazza pensa che forse piangerebbe, certo, ma poco e forse sarebbe meglio per tutti ma subito si pente di quel pensiero crudele.

-Nonno, non dire così, dai le alici te le porto presto…

Lui stavolta si gira e le mostra un sorriso dolce che le riempie il cuore d’incertezza. Non sa se odiare o amare quell’uomo che è tutto ciò che rimane della sua famiglia e la sua malattia non la aiuta a scegliere.

Giselle ricorda tutto, per esempio ricorda quando, in prima elementare, aveva fatto quel disegno, una grande torta nuziale e la scritta, un po’ sbilenca, OGGI SPOSI e sotto i nomi Giselle ed Eva.

Lo aveva mostrato orgogliosa a suo nonno che era venuto a prenderla fuori dalla scuola e lui senza parlare le aveva assestato uno schiaffo a mano aperta sulla guancia. Poteva ancora sentire il bruciore e il gusto salato delle sue lacrime che le avevano inondato il viso.

-Non scrivere mai più una cosa del genere! Aveva intimato l’uomo, all’epoca ancora giovane e tonico. Il ceffone le aveva fatto male, e tanto, ma anche averlo preso davanti alla scuola con tutte le compagne e i bambini che erano rimasti a osservare la scena, incuriositi e intimoriti e si erano stretti alle mani delle proprie madri.

Chissà se anche Eva l’aveva vista. Giselle non aveva mai trovato il coraggio di chiederlo e aveva semplicemente continuato a essere innamorata della sua amica con le treccine e a desiderare segretamente di poterla sposare un giorno.

Sua madre non si era mai sposata. Non aveva trovato il tempo forse, forse non aveva trovato l’uomo o forse quello che non aveva trovato, era solo il coraggio. All’educazione sentimentale di Giselle, poiché lei lavorava tutto il giorno e la sera accudiva alla bambina e al genitore, avevano pensato i compagni di scuola, poi fumetti e fotoromanzi e infine la televisione. Ma Giselle si sentiva sbagliata, come quando alle medie era finita a una festa pomeridiana e un tipo della terza C l’aveva baciata a tradimento sulla bocca, lei si era sentita sporca e aveva passato dieci minuti in bagno a lavarsi, con l’acqua bollente che le scottava le labbra.

-Tu sei strana, lo sai? Non sei come tua madre…

Suo nonno la sorprende con quest’affermazione. Lei sa che è vero. Non è come sua madre che ha pensato solo a lavorare finché il tumore le ha tolto ogni forza e di sicuro non è come suo nonno che era all’antica perfino per la propria generazione.

In quanto a suo padre, non sa e non lo può sapere se sia come lui. Non che gliene importi.

Lei è come è, e nessuno la potrà cambiare.

Non ci saranno schiaffi, non ci saranno botte.

L’infermiera si affaccia alla porta e chiede, sussurrando, se va tutto bene.

Le sembra protettiva ma non nei riguardi dell’anziano.

Giselle pensa che dovrebbe chiederle di prendere un caffè, o qualcosa del genere.

L’anziano che era rimasto per un po’ in silenzio, all’improvviso tuona a voce alta:

-Oggi o mai più, ogni giorno è buono ma oggi o mai più.

Giselle sorride, a suo nonno fuori di testa, all’infermiera che è rimasta sulla porta e sembra non voler andare più via, alla sua solitudine, alla vita…

Forse ha ragione suo nonno, ora o mai più.

Si gira verso la porta e sorride alla donna.








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