Giselle sale lentamente
le scale.
Ce la farebbe a percorrerle
a due a due, non è un problema fisico. Ci mancherebbe, alla sua età.
La fatica nel salire è
tutta nella sua testa.
La camera sta al terzo
piano e lei preferisce lasciare l’ascensore libero, a disposizione degli ospiti
della struttura.
L’infermiera di turno
le sorride. Le ha detto più di una volta Non
so come fai, come lo sopporti, ma lui è solo e lei l’unica persona che ha.
Suo nonno non è mai
stato tenero con lei, figlia indesiderata, figlia fuori del matrimonio, figlia
di un padre che non ha nemmeno conosciuto perché quella poco di buono di sua
madre nemmeno con le botte ha voluto rivelare la verità.
Suo nonno non si mai
mostrato tenero nei suoi confronti e tantomeno ora lo è, ma almeno ora ha la
demenza come giustificazione.
Entra spingendo la
porta e come saluto si sente rimbrottare:
-Ti sembra questa l’ora
di arrivare? Me le hai comprate le alici sott’olio, che ti avevo chiesto?
Giselle sa che a volte
il nonno non la riconosce e la scambia per la figlia. Dimentica che sua figlia
non c’è più e forse è meglio che non ricordi.
Lei invece ricorda
tutto, ricorda che lui è stato l’unica figura maschile in casa da sempre e che
si è sempre vantato di averle fatto anche da padre. Suo nonno è stato molte
cose ma di sicuro non un padre.
-Il negozio era chiuso,
le alici le comprerò domani.
Lui bofonchia due
incomprensibili parole con tono poco gentile e torna a guardare fuori dalla
finestra.
-Tutto il giorno chiuso
in questa prigione e tu dimentichi di comprarmi le alici… ma cos’hai nella
testa? Un giorno di questi la apro quella finestra e mi butto di sotto e chi si
è visto, si è visto!
La ragazza pensa che
forse piangerebbe, certo, ma poco e forse sarebbe meglio per tutti ma subito si
pente di quel pensiero crudele.
-Nonno, non dire così,
dai le alici te le porto presto…
Lui stavolta si gira e
le mostra un sorriso dolce che le riempie il cuore d’incertezza. Non sa se
odiare o amare quell’uomo che è tutto ciò che rimane della sua famiglia e la
sua malattia non la aiuta a scegliere.
Giselle ricorda tutto,
per esempio ricorda quando, in prima elementare, aveva fatto quel disegno, una
grande torta nuziale e la scritta, un po’ sbilenca, OGGI SPOSI e sotto i nomi
Giselle ed Eva.
Lo aveva mostrato
orgogliosa a suo nonno che era venuto a prenderla fuori dalla scuola e lui
senza parlare le aveva assestato uno schiaffo a mano aperta sulla guancia.
Poteva ancora sentire il bruciore e il gusto salato delle sue lacrime che le
avevano inondato il viso.
-Non scrivere mai più
una cosa del genere! Aveva intimato l’uomo, all’epoca ancora giovane e tonico.
Il ceffone le aveva fatto male, e tanto, ma anche averlo preso davanti alla
scuola con tutte le compagne e i bambini che erano rimasti a osservare la scena,
incuriositi e intimoriti e si erano stretti alle mani delle proprie madri.
Chissà se anche Eva l’aveva
vista. Giselle non aveva mai trovato il coraggio di chiederlo e aveva
semplicemente continuato a essere innamorata della sua amica con le treccine e
a desiderare segretamente di poterla sposare un giorno.
Sua madre non si era
mai sposata. Non aveva trovato il tempo forse, forse non aveva trovato l’uomo o
forse quello che non aveva trovato, era solo il coraggio. All’educazione
sentimentale di Giselle, poiché lei lavorava tutto il giorno e la sera accudiva
alla bambina e al genitore, avevano pensato i compagni di scuola, poi fumetti e
fotoromanzi e infine la televisione. Ma Giselle si sentiva sbagliata, come
quando alle medie era finita a una festa pomeridiana e un tipo della terza C l’aveva
baciata a tradimento sulla bocca, lei si era sentita sporca e aveva passato
dieci minuti in bagno a lavarsi, con l’acqua bollente che le scottava le labbra.
-Tu sei strana, lo sai?
Non sei come tua madre…
Suo nonno la sorprende
con quest’affermazione. Lei sa che è vero. Non è come sua madre che ha pensato solo
a lavorare finché il tumore le ha tolto ogni forza e di sicuro non è come suo
nonno che era all’antica perfino per la propria generazione.
In quanto a suo padre,
non sa e non lo può sapere se sia come lui. Non che gliene importi.
Lei è come è, e nessuno
la potrà cambiare.
Non ci saranno
schiaffi, non ci saranno botte.
L’infermiera si
affaccia alla porta e chiede, sussurrando, se va tutto bene.
Le sembra protettiva ma
non nei riguardi dell’anziano.
Giselle pensa che
dovrebbe chiederle di prendere un caffè, o qualcosa del genere.
L’anziano che era
rimasto per un po’ in silenzio, all’improvviso tuona a voce alta:
-Oggi o mai più, ogni
giorno è buono ma oggi o mai più.
Giselle sorride, a suo
nonno fuori di testa, all’infermiera che è rimasta sulla porta e sembra non
voler andare più via, alla sua solitudine, alla vita…
Forse ha ragione suo
nonno, ora o mai più.
Si gira verso la porta
e sorride alla donna.
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