giovedì 10 novembre 2022

educazione

 





Un giorno, stavo passeggiando con un mio amico e attraversando la strada sulle strisce pedonali, ho sollevato la mano e ho sorriso, ringraziando l’automobilista che si era bloccato per farci passare.

L’uomo ha ricambiato con un’alzata appena accennata delle dita, lo scambio muto non manca mai di darmi soddisfazione.

Il mio amico ha iniziato scuotere la testa e con tono contrariato mi ha detto:

“Non sei tenuto a ringraziare. Ai sensi del codice stradale lui si deve fermare davanti alla presenza di pedoni sulle strisce!”

Io non rispondo ma lo guardo con stupore. C’è qualcosa che non capisco, qualcosa che stona.

Lui si premura di spiegare:

“Questo non sarà mai un paese civile, se si deve ringraziare uno che segue il codice e si ferma a un passaggio pedonale”.

Sembra tutto soddisfatto della precisazione.

Io replico:

“Sì, ma questo non sarà mai un paese educato se nessuno sarà capace di dire grazie.”

La risposta non sembra piacergli.

“Cerca di capire, provo a chiarire mentre camminiamo, oggi tutti conoscono molto bene quali sono i propri diritti, chiunque può elencare ciò che gli spetta, nei più diversi ambiti ma la maggioranza sembra dimenticare il proprio dovere. Ci rivolgiamo agli altri senza usare, non dico amore e tantomeno tenerezza ma almeno empatia. La persona dietro allo sportello è considerata un’estensione del computer e se non soddisfa velocemente le nostre esigenze siamo pronti a sbranarla. Davanti agli intoppi siamo pronti a diventare scortesi e aggressivi e non ci facciamo problemi a insultare uno sconosciuto che ha l’unica colpa, quella di non piacerci e di averci incontrato nel giorno sbagliato”.

Il mio amico non si convince. “Che cosa devo fare se trovo un incompetente? Ringraziare?”

Io sorrido, il sarcasmo e l’ironia non sono il suo forte ma capisco le sue obiezioni.

“Per esempio si potrebbe salutare, dimostrare che lo riconosciamo come essere umano e che in quanto tale è fallibile…”.

“Sì, e ci faccio anche amicizia…”

“Se vuoi, puoi farlo… io suggerivo solo un briciolo di compassione”.

Lui ormai è distratto, pensa ad altro. Capisco che vuole cambiare argomento. Ecco che all’improvviso l’argomento arriva sotto forma di feci canine che lui non accorgendosi, calpesta. Inizia a sbraitare un elenco d’imprecazioni, non necessariamente in ordine alfabetico. A me scappa da ridere e lui mi guarda malissimo.

“Che cosa vuoi farci, ormai le strade e gli spazi verdi sono diventati una vasta toilette per animali. Anche questa è questione di educazione, proprio come quelle auto ferme in doppia fila che stanno bloccando l’autobus e quei monopattini messi di traverso sul marciapiede, che abbiamo dovuto scavalcare…”.

Lui è arrabbiatissimo e sfrega ripetutamente la suola a terra. “Quindi questa è colpa delle persone allo sportello che perdono la pazienza? Oppure di chi ti attraversa davanti al muso dell’auto e non ti degna di uno sguardo?”

Io sorrido. Forse non è il momento adatto.

Forse dovrei attendere che abbia le scarpe pulite.

Ma non posso aspettare, penso che forse sì, un fenomeno sia figlio dell’altro. Che non ci siano diritti senza doveri. Che bisognerebbe trattarci reciprocamente con più umanità e rispetto. Che l’educazione vada insegnata ai più piccoli ma anche gli adulti possono imparare.

Che l’empatia può essere un rimedio.

Che l’educazione può essere una soluzione.

“Certo che i cani sono carini ma la roba che hai sotto la scarpa manda un odore…”.

Il mio amico scoppia a ridere, mi dà una pacca e si gira.

Sono certo che per lui esista salvezza.

 





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